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Appunti di Giurisprudenza - Università degli Studi di Firenze

Riassunto per l'esame di Diritto processuale civile, basato sul corso e sullo studio autonomo del libro consigliato da Prof. Marinucci Elena Sara Chiara: Lezioni di diritto processuale civile, Proto Pisani. Università degli Studi di Firenze, facoltà di Giurisprudenza. Scarica il file in PDF!
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Esame Istituzioni di Diritto Romano

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. B. Sordi

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Appunti di Istituzioni di diritto romano. I giuristi romani nel creare diritto partivano dalla tutela delle posizioni giuridiche. La posizione giuridica diventava rilevante all’interno dell’ordinamento nel momento in cui esiste uno strumento processuale o extraprocessuale idoneo a garantirla. I giuristi romani partivano dalla tutela per poi esaminare la regolamentazione dei singoli casi. Questo è il motivo fondamentale per il quale quando si studiano le istituzioni di diritto romano si studia anche il processo. Con posizione giuridica si fa riferimento a un fatto che smette di essere un fatto che ha una validità naturalistica e diventa un fatto che ha un rilievo nel diritto nel momento in cui c’è una forma di tutela che tutela quella situazione. Esempio: la dote non è stato un istituto giuridicamente rilevante riconosciuto dal diritto civile per lungo tempo, non esisteva una regola imposta dall’ordinamento che imponesse di dotare una figlia, ma era una pratica avvertita come obbligata dal punto di vista sociale; sarà soltanto nel momento in cui viene concessa una azione che consente alla donna o ai parenti della donna di ricevere indietro la dote una volta che il matrimonio era sciolto che noi vediamo che questa regola che prima era solo sociale emerge ora anche a livello del giuridico. Il diritto romano non è un diritto positivo. Non possiamo studiare gli istituti di diritto romano prescindendo dal contesto storico in cui sono nati e si sviluppano, stabilizzano e mutano. Il diritto romano è stato prodotto tra l’VIII sec a.C e il VI sec. d.C nel bacino mediterraneo. Per parlare del diritto privato romano useremo questa periodizzazione che divide a sua volta l’esperienza romana in quattro periodi: - Età monarchica (VIII sec. a.C – VI sec a.C) - Età repubblicana (VI-I sec a.C) - Principato (I sec a.C – III sec. d.C) - Tardo-antichità (IV sec. d.C – VI sec d.C) In ognuno di questi periodi potremmo affrontare uno studio pubblicistico, cioè la storia delle istituzioni pubbliche romane, uno studio storia della produzione normativa, uno studio del diritto privato e una storia del diritto penale. 02/03 Parliamo di istituzioni di diritto romano perché studiare le istituzioni significa studiare il modo elementare che nel loro complesso gli istituti creati (nel caso del diritto romano) dai romani per regolarizzare i loro rapporti reciproci. Il termine istituzioni rinvia allo studio dei concetti elementari di una disciplina. L’unica opera che conosciamo di un giurista romano si intitola proprio Institutiones, e non è un caso per quanto riguarda la materia giuridica, perché in realtà nella letteratura romana i manuali di istituzioni erano i manuali in cui si davano le prime indicazioni di una disciplina. Studiamo le istituzioni di diritto romano perché la conoscenza storica e il diritto romano per noi è la conoscenza delle nostre radici dirette del nostro ordinamento giuridico. Questo distingue quello che è un puro conoscitore delle norme da quello che è invece un giurista, che padroneggia nell’insieme le categorie e sa conoscere anche l’origine di questi concetti. I giuristi del diritto romano sono esperti del diritto in Roma e hanno la funzione di produrre diritto, sono delle fonti del diritto che proiettano la loro interpretazione relativa anche alle altre fonti del diritto, come le leggi delle assemblee. Sono dei veri e propri intellettuali che si occupano di approfondire i temi giuridici delle loro opere. Sono soggetti la cui elaborazione intellettuale funge da fonte del diritto. Hanno prodotto una ricchissima letteratura, che si sviluppa a partire dal I sec a.C al V sec d.C. Le due opere attraverso le quali ci è arrivato il diritto romano sono le istituzioni di Gaio e il corpus iuris civilis di Giustiniano. Le istituzioni di Gaio. Gaio è un giurista che vive nel II sec d.C. è un giurista la cui identità è nebulosa. Gaio è stato scarsamente citato dagli altri giuristi. Alcuni frammenti di alcune sue opere sono conservati nel Digesto. Le istituzioni di gaio è l’unica opera che ci è giunta direttamente. Nel 1816 un diplomatico tedesco (Niebhur) era alla biblioteca capitolare di Verona e trova questo codice scritto su pergamena che conteneva le opere di San Girolamo. Questo codice è un codice palinsesto cioè ha una scrittura superiore e si rende conto che sotto quella scrittura ci deve essere qualcos’altro e trova sotto di essa le istituzioni di Gaio. I solventi utilizzati nell800 erano molto forti e in alcune parti danneggiano anche la scrittura inferiore che non è quindi stato possibile recuperare. Una buona parte di queste lacune sono però state colmate dal ritrovamento di Arangio Ruiz che in Egitto ha trovato nel 900 un codice pergamenaceo che in tante parti ha consentito di integrare le lacune del codice veronese. Questa opera era strutturata in quattro libri il cui contenuto era: - un commentario primo dedicato interamente alle persone, cioè su tutte le regole relative allo status delle persone; - nel secondo e terzo commentario erano conservati tutte le riflessioni relative a rapporti giuridici patrimoniali per i quali si intendono sia i diritti reali, sia le obbligazioni, sia le successioni; - il quarto commentario era interamente dedicato alle regole relative al processo. Il corpus iuris civilis. È un nome che è stato dato a questa opera nel medioevo. È una raccolta di materiale normativo divisa in 4 libri di diversa provenienza. Questa opera fu redatta nel VI sec d.C per volere dell’imperatore Giustiniano. Giustiniano ha un progetto politico molto ambizioso che è quello di riconquistare anche la parte occidentale dell’impero e riunire quindi l’impero romano nella sua interezza, ma ritiene che dietro un grande progetto politico debba esserci anche un grande progetto culturale e per ricomporre l’identità di Roma era necessario un progetto culturale che rappresentasse la vera identità autoctona di Roma antica. Decide quindi di ricostruire l’identità culturale partendo dal diritto. Roma è il luogo di nascita della scienza giuridica e del giurista. Giustiniano può disporre di scienziati del diritto di grande livello dal punto di vista intellettuale, tra i quali Triboniano che pone a capo di una commissione incaricata di redigere tre tipologie di opere: il primo che viene redatto è il codex iustinianus, una raccolta di costituzioni, ossia materiale normativo di provenienza imperiale, che vede la luce nel 528 d.C. Giustiniano chiede che siano raccolte tutte le fonti prodotte dall’epoca di Adriano fino ai suoi giorni. Nel 530 poi vede la luce la seconda opera che è i digesta, una raccolta di frammenti delle opere giurisprudenziali da Quinto Mucio Scevola a Ermogeniano e Arcadio Carisio. La terza opera risale al 530 d.C ed è le Institutiones Iustiniani, un manuale destinato allo studio del diritto. L’ultima opera è costituita da un nuovo codice, il Codex Repetitae Praelectionis del 534 d.C, il quale sostituisce il codice precedente, aggiungendo le costituzioni e il materiale legislativo prodotto nel frattempo. ll Digesto. È una raccolta di frammenti delle opere giurisprudenziali di vari giuristi. L’opera del giurista più antico che viene riportata nel digesto è quella di Quinto Mucio Scevola. Giustiniano ha bisogno di raccogliere la disciplina in un'unica opera della regolamentazione di tutti i rapporti privatistici relativi al processo. Voleva raccogliere tutto il diritto vigente alla sua epoca. Tutta la disciplina del diritto privato. Per fare questo poteva chiedere ai suoi compilatori di costruire un’intelaiatura con matrice codicistica per dividere la materia giuridica in tante sezioni e poteva chiedere ai suoi collaboratori di riempire queste sezioni con le varie discipline dei vari articoli, e invece Giustiniano chiede loro di leggete tutte le opere dei giuristi di cui loro disponevano e trarre da esse tutte le parti che ritenevano più funzionali a spiegare le varie parti della disciplina di tutti gli istituti; gli articoli invece di scriverli loro di prima mano, venivano tratti da opere di altri giuristi. Il digesto è composto da 50 libri. Ogni libro era diviso in titoli e ogni titolo era diviso in frammenti. Giustiniano ha chiesto di prendere i frammenti, conservando per ciascuno di essi l’autore, il libro e l’opera da cui sono tratti. Grazie a questa conservazione è possibile ricostruire il pensiero di questi giuristi. Noi consociamo questo codice tramite un manoscritto (il manoscritto Princeps), che è databile al VI sec. d.C, coevo alla datazione del Digesto, che è arrivato a Firenze nel 1406 come bottino di guerra e tramite questo manoscritto noi conosciamo il corpus iuris civilis e in particolare il Digesto. Questo manoscritto è stato poi oggetto di studio sin dal medioevo e è sul Digesto che lavorano i commentatori. Possiamo quindi vedere come questo Digesto è contenuto in una parte centrale del foglio e il bordo è interamente riempito dai commenti dei glossatori. Nell’XI sec c’è stata una riscoperta degli studi giuridici operata sul digesto, collegata a un meccanismo di rinnovamento degli studi giuridici. La storia delle istituzioni. La fondazione di Roma. Quando parliamo della fondazione di Roma noi non abbiamo origini sicure. Tuttavia, abbiamo una buona mole di indicazioni che ci consentono di costruire un quadro attendibile. Sappiamo molto più sulle origini di Roma rispetto alle origini di tante altre città antiche. Questo perché conosciamo tante tradizioni relative ai miti fondativi di Roma, che ci divengono da molteplici autori antichi. Questi racconti, sulla cui attendibilità si è molto discusso nei tempi passati, sappiamo essere molto più attendibili di quanto credevamo un tempo. L’attendibilità di questi racconti ci è confermata da studi comparativi, scoperte archeologiche ecc. Questi dati archeologici confermano che Roma doveva essere stata fondata attorno alla metà dell’VIII sec e che la Roma arcaica era stata governata da una forma istituzionale di tipo monarchico. Questa monarchia non è stata uguale a se stessa in tutte le fasi dell’epoca monarchica: c’è una prima fase della monarchia, definita come fase proto-urbana, pre-civica, che va dalla metà dell’VIII sec a.C agli anni 30 del VII sec a.C e che viene denominata monarchia sabino-latina, in cui vediamo una forma di organizzazione della società in cui l’aggregazione cittadina politica è ancora in formazione e poi dagli anni 30 del VII sec. a.C fino alla fine dell’età monarchica abbiamo la seconda fase della monarchia in cui l’organizzazione della comunità è più propriamente politica e che si chiama monarchia etrusca. La prima aggregazione urbana di Roma che viene organizzata secondo questo.
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Esame Diritto romano

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. B. Sordi

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Appunti di Diritto romano. Secondo una ricostruzione seguita da gran parte degli storici, la nascita di Roma rappresenta l’esito di un processo di unificazione di più città realizzatosi verso la metà dell’ VIII secolo a.C tra minori comunità stanziate sul Palatino e sui colli circostanti. • Erano comunità a base familiare, aggregazioni di familiae, unite da un progenitore eroico, spesso mitico, e con interessi condivisi di varia natura, da quelli religiosi a quelli della difesa esterna. • Queste aggregazioni familiari si riscontrano presso altri popoli di stirpe indoeuropea a cui appartenevano anche quei latini che avrebbero dato origine al nucleo cittadino più antico sul monte Palatino: i latini denominavano queste comunità “gentes”. • Prevalente è l’ipotesi che Roma si sia presentata inizialmente come una federazione di gentes, cioè una lega con un’assemblea rappresentativa formata dai capi-famigia (patres) delle genti più potenti, che esprimevano, a loro volta, il rex. • La sovranità stava quindi in questa assemblea gentilizia di cui il rex appare come delegato per l’esecuzione delle decisioni assunte dai patres e per la rappresentanza all’esterno della lega. Con l’avvento della monarchia etrusca si sarebbe avuta, poi, una redistribuzione del potere pubblico a scapito dei patres e a vantaggio del rex che, da monarca delegato, sarebbe divenuto un tiranno. Da qui la reazione rivoluzionaria da parte dei patres e delle famiglie più antiche e influenti che vrebbero cacciato il rex e instaurato, in luogo del “regnum” la res publica. In questa il governo sarebbe spettato ancora all’assemblea dei patres, denominata senatus, tramite magistrati eletti nelle assemblee del popolo, la cui scelta non poteva però prescindere dal gradimento dello stesso senato. Una conferma di questi assetti di potere si rinviene nell’interregnum e nella sua disciplina. Il potere di auspicare era prerogativa del rex e doveva precedere l’assunzione di ogni decisione rilevante in merito al governo della città. Morto il re questo potere ritornava ai patres. Morto il re i patres governavano la città uno alla volta per 5 giorni a testa, fino a quando un interrex avesse ritenuto fosse giunto il momento per l’assemblea di scegliere un nuovo re: ciò lascia intendere che la titolarità del potere in questione fosse dell’assemblea come di ogni singolo pater e che il monarca fosse, anche in quest’ambito, nulla più di un delegato. L’interregno era però presente anche nella costituzione della repubblica e aveva luogo quando fossero venuti a mancare entrambi i consoli, cioè i magistrati supremi che, caduto il regno, avevano preso il posto del re. E’ quindi possibile che l’interregnum sia stato così inteso al fine di sostenere la continuità tra regnum e res publica. Per l’età monarchica resta la questione se la scelta del nuovo re fosse del senato o se quest’ultimo si limitasse a fare una proposta al popolo e sembra difficile ipotizzare che il popolo avrebbe potuto facilmente prescindere dall’indicazione dei patres. Diritto e giuristi nella storia di Roma. Il Corpus Iuris Civilis. Quanto conosciamo del diritto romano si trova riunito in un’unica raccolta di testi, che durante il rinascimento cominciò a prendere il nome di corpus iuris civilis: questa fu compilata nella prima metà del VI secolo d.C da un gruppo di esperti su incarico di Giustiniano, imperatore della parte orientale dell’impero romano. Il Corpus Iuris Civilis è composto da quattro distinte opere: i Digesta, il Codex, le Institutiones e le Novellae. Giustiniano iniziò, nel 528, con l’ordinare una nuova raccolta di costituzioni, a partire dal principato di Adriano, fino ai suoi tempi: un ampio Codex che avrebbe dovuto sostituire i tre precedenti: il Gregoriano, l’Ermogeniano e il Teodosiano. Il nuovo codice fu pubblicato già nel 529, ma ebbe tuttavia vita breve in quanto, dopo soli quattro anni, fu sostituito da una seconda edizione, con una struttura diversa. Ben presto gli intenti dell’imperatore si rivelarono di più vasta portata; nel dicembre del 530, con la costituzione Deo Auctore, egli affidò al suo ministro Triboniano l’incarico di presiedere una commissione con il compito di redigere un’ampia raccolta di testi estratta dalle opere di antichi giuristi, ordinati non cronologicamente, ma per materia, e disposti secondo una divisione in libri e in titoli. Lo scopo era versare la parte giudicata migliore dell’antico pensiero giuridico nella forma di un codice in modo da integrare organicamente gli antichi iura (opere dei giuristi del passato) con le nuove leges (costituzioni imperiali) nel rinnovato ordine. I commissari giustinianei dovevano, quindi: a) Scegliere i giuristi e le opere da utilizzare; b) Scegliere tra queste opere i brani ritenuti meritevoli di essere trascritti nella raccolta; c) Inserire i testi nel disegno della nuova compilazione; d) Modificare le strutture originali dei brani riprodotti, ove sembrasse opportuno alterarne i contenuti per armonizzarli in modo adeguato con lo spirito e le disposizioni del nuovo impianto codificatorio. In tal modo la storia effettiva del pensiero giuridico romano era cancellata e salvata: mentre se ne conservavano i testi, si oscurava la memoria del suo svolgimento reale, che sopravviveva solo nei nomi dei giuristi e nei titoli delle opere, riportati all’inizio di ogni brano riprodotto nella raccolta. Le scritture originali e i profili individuali dei singoli autori venivano come polverizzati, proprio mentre se ne salvavano le dottrine, per formare i tasselli di una specie di imponente mosaico letterario e giuridico. Il nuovo codice, cui fu dato il nome di Digesta, fu pronto in tre anni; pubblicato il 16 dicembre del 533 e entrò in vigore il 30 di quello stesso mese. E’ composto da 50 libri divisi in sette parti, di cui soltanto le prime tre hanno una certa coerenza architettonica. I libri erano quasi tutti ripartiti in titoli, dentro i quali erano riprodotti i testi dei giuristi selezionati, montati in una sequenza tale da suggerire al lettore l’impressione di trovarsi di fronte ai frammenti ricomposti di un unico discorso, che si svolgeva per l’intero titolo: effetto a volte riuscito, a volte del tutto mancato. La promulgazione dei Digesta non esaurì l’impegno di Giustiniano: prima ancora che essi vedessero la luce, egli aveva incaricato Triboniano di provvedere alla stesura di un manuale istituzionale perché le scuole di diritto potessero disporre di un testo aggiornato per il loro insegnamento, in grado di sostituire le vecchie istituzioni di Gaio. Anche questa nuova opera fu rapidamente conclusa, nel novembre del 533. Sempre nelo stesso anno, Giustiniano decise anche di procedere a una nuova stesura del primo Codex, che tenesse conto dell’importante legislazione che aveva accompagnato la preparazione dei Digesta. Il nuovo codice fu pubblicato nel novembre del 534. Era diviso in 12 libri, ripartiti in titoli, all’interno di ciascuno dei quali erano collocate in ordine cronologico constitutiones da Adriano e Giustiniano stesso, sui cui testi i commissari avevano avuto facoltà di intervenire con libertà non inferiore a quella ottenuta per i Digesta. L’attività legislativa di Giustiniano non si arrestò e, fino al 542, fu varato un notevole numero di provvedimenti legislativi, che, raccolti on il nome di Novellae, dopo la morte del sovrano, entrano a far parte dell’insieme della sua opera. I Digesta. Delle quattro opere che componevano il Corpus Iuris Civilis, maggior attenzione da parte dei giuristi fu attirata dai Digesta, in quanto in quelle pagine era stata conservata la parte più importante e originale dell’intera esperienza giuridica nel mondo antico. Essi erano un insieme di un codice e un’antologia e avrebbero infatti dovuto assolvere una duplice funzione: - Un’immediata vigenza normativa, di un’autentica codificazione che garantisse con l’autorevolezza dei classici la certezza del diritto per la rinascita della società e dello stato bizantini nel VI secolo. - Salvare la parte ritenuta migliore dell’eredità letteraria del pensiero giuridico romano, sottraendola al disastro della sua trasmissione. Questo salvataggio era però avvenuto sotto il peso di una doppia condizione: esso aveva implicato per prima cosa una drastica selezione. Gli scritti dei giuristi antichi non erano stati recuperati nella loro interezza, ma vennero, invece, selezionati e smembrati affinché solo una piccola parte dei resti poté essere inserita nei digesta: tutto quel che rimase fuori non fu più ricopiato in nuove edizioni e andò definitivamente disperso. Si pensava inoltre che i testi dei digesta serbassero traccia di un diverso tipo di alterazioni, prodottesi prima della compilazione giustinianea, nella vicenda della loro tradizione manoscritta, dalla prima edizione, fino all’arrivo nelle biblioteche bizantine; e che inoltre alcune opere non fossero altro se non veri e propri falsi, composti molto più tardi e pubblicati sotto il nome di qualche antico maestro. Si ipotizzava così l’esistenza di un terzo strato di scrittura nei digesta, imputabile a interventi sia consapevoli, sia involontari da parte degli editori che avevano pubblicato nel corso del tempo l’opera utilizzata infine dai compilatori. Il salvataggio giustinianeo implicò tuttavia un altro pesante prezzo:oltre alla selezione di ciò che si salvava e ciò che si condannava all’oblio,esso comportò sui resti conservati, la sovraimpressione di un’impronta a loro del tutto estranea: la forma del codice. Questa fu scelta da Giustiniano e dai suoi collaboratori per consentire l’impiego pratico, a fini normativi, della loro opera di recupero dell’antica tradizione giuridica. Si trattò di una decisione che facilitò il cammino moderno del diritto romano, preservandolo entro un involucro che ne assicurava la maneggevolezza e ne migliorava la fruibilità. La forma di codice risultava quindi un contenitore resistentissimo, ma anche uno specchio deformante, che cancellava i termini autentici dell’antica cultura giuridica romana, nel momento stesso in cui contribuiva a salvarne la memoria. Il lavoro dei giuristi romani. Secondo i compilatori del Corpus Iuris la storia della giurisprudenza romana doveva apparire come un blocco monolitico, dotato di coesione. Se non lo immaginiamo mosso da un simile convincimento, l’intero progetto che ha ispirato la costruzione dei digesta risulterebbe incomprensibile. Tale intuizione era giusta solo per metà: la parte di vero corrispondeva all’esistenza reale di una struttura profonda di metodi, di concetti e di paradigmi rintracciabili in modo uniforme nell’intero svolgimento del pensiero giuridico romano. La costanza di uno stile di analisi formatosi definitivamente negli ultimi secoli della repubblica e mai più abbandonato. L’errore consisteva invece nell’oscurare il lato essenziale che intorno a quel nucleo uniforme si era venuta sviluppando sin dall’inizio anche una rete di diversità, di linee evolutive non coincidenti, di individualità e situazioni storiche particolari, di contrasti culturali e di potere, la cui attenta comprensione non era meno importante per la conoscenza dell’insieme di quanto lo fosse l’esatta determinazione dei punti di unità. Un dato rimane comunque indubbio: nella visione giustinianea come nella nostra il cuore dell’intera civiltà giuridica romana si identifica con l’attività scientifico-letteraria dei giuristi, che riguardò essenzialmente quello che noi oggi chiamiamo diritto privato. Certo, la corrispondenza non è totale. Accanto al lavoro della giurisprudenza, l’esperienza giuridica romana conobbe un’imponente presenza della legislazione: dalle XII tavole ancora in piena epoca arcaica (metà V secolo a.C), all’attività normativa delle assemblee popolari, in età repubblicana e augustea (IV-I secolo a.C), sino all’articolarsi della legislazione imperiale. Un ruolo non di minore importanza fu svolto dall’editto del pretore: un testo che si era venuto stratificando per secoli attraverso un lavoro che aveva coinvolto centinaia di magistrati almeno dal III secolo a.C. fino alla definitiva stabilizzazione del suo dettato all’epoca di Adriano. Ma questo insieme così vario non era mai stato concretamente operante al di fuori della fitta trama di prescrizioni, interpretazioni e integrazioni che vi aveva costruito intorno la giurisprudenza. I giuristi romani non furono quindi solo dei sapienti, dei conoscitori o degli scienziati del diritto, ma per una parte della loro storia ne furono anche i più importanti costruttori e produttori. Anzi, l’età dell’oro del sapore giuridico romano coincise quasi completamente con la stagione della piena affermazione, nel tessuto istituzionale della società romana, di un modello che noi chiamiamo di “diritto giurisprudenziale”: di un ordine giuridico, cioè, dove la creazione del diritto era concentrata nelle mani dei giuristi, indipendentemente dal fatto che ricoprissero cariche pubbliche. Essi infatti assolvevano alla loro funzione non come magistrati del popolo romano, o come funzionari del principe, anche se durante la repubblica furono quasi sempre magistrati e spesso collaboratori o funzionari del principe nell’epoca del principato. Quel che indichiamo come diritto romano è dunque il diritto di questi prudentes: un diritto non di leggi, non di testi normativi, non di codici, ma di giuristi, di un ceto di esperti privati non identificabile con l’amministrazione o con il governo. Quando la centralità del lavoro della giurisprudenza si venne appannando, nel III secolo d.C., a vantaggio di un’inedita concentrazione legislativo-burocratica della creazione normativa, fu l’intero diritto romano a entrare in una zona d’ombra.
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Esame Diritto Costituzionale Speciale

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. E. Longo

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Appunti di Diritto costituzionale speciale. Nuovi e vecchi diritti: il caso Cappato. È il caso di Fabiano Antoniani (dj Fabo), il quale nella notte del 13 giugno 2014, a seguito di un incidente entra in coma rimanendo paralizzato. Il problema relativo alla vicenda giudiziaria è che Fabiano antoniani inizia a fare delle cure e a immaginarsi cosa sarebbe potuto succedere nel momento in cui non avrebbe più voluto quella condizione in cui si trovava. Tra il 2014-2015 inizia a pensare di morire chiedendo alla fidanzata di interessarsi alla questione e quindi di andare in Svizzera per avviare un processo per l’eutanasia. In questo entra in contatto con Marco Cappato con cui si reca in questa clinica svizzera e dopo 4 giorni, il 27 febbraio del 2017, muore attraverso uno stantuffo che muove con la mandibola e fa partire questa sostanza che si diffonde nelle vene producendo la sua morte. Cappato, una volta morto Antoniani decide di autodenunciarsi alla polizia di Milano perché avrebbe compiuto un atto di aiuto alla morte di Fabiano Antoniani, atto punito dal codice penale (art 580 c.p). Questa è una previsione che fa riferimento all’aiuto o istigazione al suicidio. Dal punto di vista giuridico la questione è molto semplice, perché è evidente che l’azione giudiziaria che Cappato intraprende mira ad arrivare alla dichiarazione da parte della Corte d’Assise o della Corte Costituzionale o della Corte di Cassazione dell’affermazione del diritto a morire. Nel nostro ordinamento giuridico non esiste un diritto a morire, tuttavia negli ultimi anni, sia per ragioni legate all’avanzamento della scienza e della tecnologia, ci siamo trovati sempre più spesso di fronte a casi nei quali persone rimanevano in vita grazie a sondini naso-gastrici, pur non avendo più la possibilità di muoversi. La corte d’assise di Milano si trova di fronte al problema di capire se la norma del codice penale, prevedendo l’aiuto al suicidio anche laddove chi ha aiutato non ha modificato la volontà del soggetto che si suicida, sia incostituzionale per violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost. La questione è un po’ ambigua perché si parla del problema dell’art 580 c.p, ma in realtà dietro a questa questione molto tecnica relativa alla differenza aiuto e istigazione al suicidio, c’è la volontà di chi ha avviato tutta questa lunga questione giudiziale di arrivare all’esistenza di un nuovo diritto. Il problema parte sotto la specie dei due elementi che ogni giudice a quo deve motivare alla corte costituzionale per chiedere alla corte di pronunciarsi circa l’incostituzionalità di una norma, che sono: la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Per quanto riguarda la rilevanza, cioè l’esistenza di un nesso esistente tra il giudizio a quo e il giudizio di costituzionalità, il giudice di Milano dice che la condotta di Cappato non ha inciso sul processo deliberativo di Antoniani in relazione alla decisione di porre fine alla propria vita e quindi l’imputato deve essere assolto dall’addebito di aver rafforzato il proposito di suicidio. Quindi la corte di cassazione non ha sciolto il dubbio della corte d’assise. L’interpretazione dell’art 580, che risulta sostenuta dal diritto vivente, unitamente all’importanza dei diritti di cui si tratta, rende necessario il ricorso alla corte costituzionale, alla quale è possibile rivolgersi allorquando il giudice remittente all’alternativa di adeguarsi all’interpretazione che non condivide può assumere una pronuncia in contrasto, probabilmente destinata ad essere riformata. La corte d’assise quindi non solo non ritiene che la corte di cassazione sia definitiva sul punto, ma in un certo senso non si fida. Il problema da un punto di vista penalistico ha a che fare con l’offensività della previsione dell’art 580 e quindi capire qual è il bene giuridico che viene tutelato dall’art 580 e la condotta penalmente rilevante che ha a che fare con questo articolo. Nel fare questo la corte d’assise deve risolvere il problema legato al fatto che il codice penale aveva previsto questa norma già originariamente e il codice penale è di origine fascista, quindi il problema è andare a ripescare qual è l’origine e l’intenzione del legislatore nel 1900 e capire se poi successivamente questa interpretazione può essere confermata o smentita alla luce della protezione dei diritti fondamentali che ha inaugurato la costituzione italiana nel ’48. La corte chiede per la decisione aiuto alla corte europea dei diritti dell’uomo, la quale interviene con la sentenza Pretty, in cui si afferma che, interpretando alcune disposizioni della CEDU, non può ritenersi riconosciuto il diritto a morire per mano di un terzo o con l’assistenza dello stato e che gli stati hanno diritto a controllare attraverso il diritto penale generale le attività pregiudizievoli per la vita e la sicurezza dei terzi. In secondo luogo, nel caso Haas vs Svizzera, la corte EDU dice che si garantisce il diritto di un individuo di decidere con quali mezzi e a che punto la propria vita finirà a condizione che egli o ella sia in grado di raggiungere liberamente una propria decisione sulla questione e agire di conseguenza che è uno degli aspetti essenziali del diritto alla vita privata sancito dall’art 8 CEDU. Dunque, la corte d’assise prima utilizza l’argomento storico, mentre adesso quello legato alla tutela multilivello dei diritti per dire che, pur avendo la corte EDU affrontato l’argomento pur non avendo deciso dell’esistenza di un diritto a morire, si è posta il problema e ha lasciato libertà sia agli stati che alle persone di decidere in merito a questi aspetti. Quindi non abbiamo una giurisprudenza della corte EDU favorevole, ma abbiamo una giurisprudenza della corte EDU che è permissiva a favore dell’esistenza di un tale diritto. In questo percorso argomentativo la corte di assise di Milano utilizza un’altra carta, che è la legge 219/2017, sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, che è una legge che disciplina il consenso informato in relazione a certe tipologie di cure a cui sono sottoposte quelle persone che non possono nutrirsi o respirare autonomamente. Questa legge interviene sugli aspetti del consenso lasciando la possibilità di una forma seppur limitata di eutanasia laddove non c’è più niente da fare e si tratti di aiutare attraverso cure le persone che si trovino in queste circostanze ad avere un decesso non drammatico. Bisogna tenere in considerazione che la legge in esame non riconosce il diritto al suicidio assistito, anzi, l’art 1 prevede proprio espressamente che non è possibile chiedere al medico trattamenti che sono contrari alla legge e soprattutto non è possibile, come è accaduto nel caso in questione, pretendere che un medico prescriva un farmaco che produce la morte. La corte di assise di Milano rispetto a questo dice che il problema non è risolvibile attraverso il diritto vivente. Ora emerge un altro problema che è quello della punizione delle condotte stabilite dall’art 580c.p.: qui la corte d’assise dice che i principi costituzionali legati all’autodeterminazione e alla tutela della salute che hanno portato alla legge del 2017 devono anche presidiare l’interpretazione della norma del codice penale orientando l’interprete all’individuazione di un bene giuridico tutelato e di conseguenza della tutela dello stesso. Il problema si intreccia con un aspetto penalistico rilevante che è quello della condotta e della pena dell’art 580. In forza dei canoni di offensività, ragionevolezza e proporzione della pena deve intervenire la corte costituzionale. La corte d’assise non riesce a prendere una posizione perché ha interesse a ottenere di più, il diritto a morire, della semplice dichiarazione di incostituzionalità. Secondo la Corte di Assise, in relazione a questi principi, le condotte di agevolazione del suicidio che non incidono sul percorso deliberativo dell’aspirante suicida non siano sanzionabili. La corte d’assise chiede quindi alla corte costituzionale di fare in modo che attraverso la dichiarazione di incostituzionalità sia possibile non punire Marco Cappato. L’ordinanza della corte costituzionale n°207/2018. La corte costituzionale prima approva un’ordinanza e poi successivamente, un anno dopo, nel novembre del 2019 dichiara la questione di costituzionalità. La corte costituzionale di fronte a un caso così importante e innovativo cerca di passare la palla al legislatore, e per questo approva con questa ordinanza di sospendere il giudizio e di attendere che il legislatore, entro un anno, prenda una decisione, e se il legislatore non avrà deciso entro un anno essa stessa riprendendo in mano la causa si vedrà costretta a dichiarare l’incostituzionalità della norma secondo una serie di indicazioni che poi si trovano nell’ordinanza. Quindi è una sorta di dichiarazione di incostituzionalità sospesa in attesa dell’intervento del legislatore. Il problema che la corte costituzionale affronta è quello di capire se l’incriminazione dell’aiuto al suicidio possa essere o no ritenuta compatibile con la costituzione. Nella prima parte dell’ordinanza, la corte costituzionale esclude categoricamente che dall’art 2 della CEDU possa discendere il diritto a morire. Qui la corte dice che dal fatto che l’art 2 Cost e l’art 2 CEDU affermino i diritti inviolabili e il diritto alla vita, non discende che esiste un diritto al rinunciare a vivere, cosa che è stata affermata dalla corte EDU nel caso Pretty, e neppure può essere sostenuta l’esistenza di questo diritto dalla inoffensività dell’aiuto al suicidio, considerato il diritto alla autodeterminazione individuale rispetto alla vita che si fa discendere dagli art 2 e 13 comma 1 della costituzione. La corte costituzionale non vuole riconoscere il nuovo diritto richiesto da Cappato e dalla corte d’assise. Secondo la corte costituzionale il bene giuridico tutelato è la difesa della vita, ma soprattutto delle persone più deboli, di coloro che potrebbero essere maggiormente influenzabili attraverso l’istigazione all’aiuto al suicidio. La corte costituzionale riprende il problema dell’interpretazione conforme alla CEDU e dice che queste stesse considerazioni valgono a escludere che la norma censurata si ponga in contrasto con l’art 8 CEDU e su questo dice che la corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto un ampio margine di apprezzamento dicendo che queste tipologie di incriminazioni sono lasciate alla discrezionalità degli stati e questo lo ha stabilito soprattutto nel caso Pretty. Anche in questo caso, però, la corte dice che occorre considerare specificamente situazioni come quella in oggetto, che sono inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma che sono portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni complesse, ma non di restituire loro le funzioni vitali. La corte dice che in questo caso poteva essere applicata la legislazione sulle DAT, che stabilisce che in certe circostanze la disciplina del consenso informato permette la non punibilità del medico che consente alla persona di avere un buon decorso di una malattia fino a arrivare addirittura alla morte, con tutte le indicazioni legate alla legge del 2017. La legge del 2017 riconosce capacità di agire e diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, però non garantisce un diritto a coloro che vogliono morire. Qui si chiude la parte nella quale la corte costituzionale ripercorre l’argomentazione della corte d’assise e la precisa. A questo punto la corte costituzionale aggiunge qualcosa alla vicenda e dice che oggi non esiste una risposta nella legge alla condizione di chi, come Fabiano Antoniani, si trovava nella difficoltà e voleva terminare la sua esistenza. Nell’ordinamento esiste soltanto la possibilità di eliminare le sofferenze, ma mai garantire ai medici una impunità nel momento in cui determinano la morte di un paziente. La corte, poi, riguardo il tema della morte dignitosa, dice che seppure non possiamo considerare che esiste il diritto a morire, dobbiamo garantire una morte dignitosa in certe tipologie di situazioni dove la sofferenza della persona sarebbe così forte da non eguagliare il rimanere in vita. La corte propone che, entro tale ambito, (persona che abbia una patologia irreversibile, sofferenze psichiche irreversibili e intollerabili, trattamenti di sostegno vitale necessari e che però sia capace di prendere decisioni libere e consapevoli), il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze. La corte costituzionale così facendo rinvia al legislatore. Sentenza n°242/2019. La decisione finale della corte costituzionale. La corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art 580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dalla legge del 2017, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi di una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche intollerabili, ma pienamente capace di decisioni libere e consapevoli sempre che tali condizioni e modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale previo parere del comitato etico territoriale competen
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Esame Diritto processuale civile

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. I. Pagni

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Appunti di Diritto processuale civile. Art 2697 c.c: norma che distribuisce l’onere della prova. La differenza tra onere e obbligo è che l’obbligo presuppone che un comportamento sia doveroso, l’onere presuppone che invece quel comportamento debba essere messo in atto se si vuole ottenere un certo risultato. 22/09 Struttura del codice di procedura civile. Il codice civile è strutturato su 6 libri, mentre il codice processuale è strutturato su 4 libri, corrispondenti ciascuno a un settore diverso della materia. È un codice che risale al 1942, scritto da tre processualisti e un magistrato (Calamandrei, Carnelutti, Redenti e Leopoldo Conforti). Nonostante nasca in un periodo fascista, non ha un’impostazione fascista se non per quanto riguarda la figura dell’allora giudice-istruttore, ma anche su questo è più la tecnica processuale che ha condotto all’istituzione di quella figura con determinati poteri. Il primo libro, intitolato “alle disposizioni generali”, non tiene conto dell’innovazione tecnologica, quindi ci sono una serie di regole che nascono dalla digitalizzazione che fanno sì che questo processo telematico sia contenuto in norme separate di difficile raccordo rispetto alle norme del codice, tanto che quelle previsioni contenute in norme secondarie vengono riprese, calate all’interno del primo libro e poi abbinate alle disposizioni di attuazione. Il secondo libro inizia all’art 163 c.p.c, intitolato “del processo di cognizione”, che parla dell’atto introduttivo del processo civile, che è l’atto di citazione, e va avanti trattando prima del processo davanti al tribunale, quello che regola le liti civili e commerciali, e poi andando avanti col libro secondo e arrivando all’art. 409 c.p.c, del processo del lavoro, che fu introdotto nel 1973 e calato all’interno del codice di procedura in queste norme. A seguire le cause previdenziali e le controversie locatizie. Percorrendo il secondo libro del codice dobbiamo anche sottolineare il fatto che questo processo, che sia quello ordinario di cognizione di diritti civile e commerciali, che sia quello del lavoro, che sia quello previdenziale o che sia quello delle controversie locatizie, è comunque un processo a cognizione piena. La cognizione piena è un tipo di processo nel quale il legislatore ha ritenuto di predeterminare le forme e i termini del processo. Una cognizione sommaria è, invece, un processo nel quale il legislatore non ha scritto tutte le regole del gioco, ma ha tratteggiato nelle linee essenziali alcune norme e principi fondamentali (contraddittorio, la difesa, il diritto di difendersi provando), dopodiché ha lasciato al giudice la possibilità di dettare regole più minuziose per lo svolgimento del procedimento. Cognizione piena non perché il livello di approfondimento sia necessariamente migliore e maggiore, ma perché cognizione piena si accompagna a predeterminazione di forme e termini. Viceversa, la cognizione sommaria è una cognizione nella quale la predeterminazione delle forme e dei termini non è totale. Questo spiega anche perché questo secondo libro del codice è molto lungo: parte dall’art 163 e si conclude con l’art 447 bis, che tratta delle norme applicabili alle controversie locatizie. Uno degli errori che possono essere commessi nell’ambito del processo di cognizione, sia quello ordinario, sia quello del lavoro, locatizio, ecc., è quello di incorrere in decadenze. Decadenza non intesa come prescrizione, per tale intendendosi la consumazione di un potere perché non è stato esercitato nei termini, ma decadenza intesa come decadenza processuale, quindi se il legislatore dice che un certo atto deve essere compiuto entro un certo termine, se quell’atto non viene compiuto in quel termine scatta la decadenza e la conseguente preclusione all’esercizio di quel potere. Il terzo libro del codice tratta invece “del processo di esecuzione”. L’esecuzione forzata viene inevitabilmente dopo che il soggetto creditore ha in mano un titolo esecutivo per avviare l’esecuzione forzata. Il creditore non è solo colui che ha diritto a ricevere il pagamento di una somma di denaro, ma ha diritto a ricevere una altrui prestazione nei suoi confronti. Obbligo di dare di fare e di non fare o obbligo di consegnare un oggetto. Dunque, quando si parla di diritto di credito non si deve con la mente pensare al pagamento di una somma di denaro ma si deve pensare al diritto a una prestazione. Il fatto che il diritto di credito abbia natura relativa spiega anche l’istituto dell’esecuzione forzata. In un sistema come il nostro che non consente la ragion fattasi, il ricorso all’uso delle armi per farsi ragione o per ottenere soddisfazione immediata sul piano dell’accertamento del diritto, a maggior ragione non consentirà la possibilità che chi ha ottenuto ragione con una sentenza vada poi a casa del soggetto che ha torto per ottenere la sua soddisfazione. L’esecuzione forzata presuppone, invece che se io devo vincere la resistenza dell’obbligato, o l’obbligato paga spontaneamente, o se così non è non posso recarmi all’abitazione del debitore, ma devo mandarvici un terzo che si procura l’adempimento forzoso. Il terzo libro, quindi, è un libro che diversamente dagli altri si occupa di un segmento del processo che viene dopo che il creditore della prestazione ha ottenuto un titolo esecutivo in giudizio, oppure si è munito comunque di un titolo esecutivo che non necessariamente deve aversi in giudizio ma che può anche avere natura stragiudiziale.
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Esame Diritto privato I

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. V. Putorti'

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
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Appunti di Diritto privato. L’ordinamento giuridico. Per ogni società è necessario un complesso di regole che disciplinino i rapporti tra gli individui e apparati che si incarichino di farle osservare. La costituzione di una società implica però la costituzione di un gruppo organizzato. A tal fine occorrono tre condizioni: • la presenza di alcune regole di condotta che governino il comportamento che ogni membro del gruppo deve osservare per assicurare una pacifica convivenza, risolvere i conflitti e facilitare la collaborazione tra i consociati nel perseguimento di fini comuni. • Che queste regole siano stabilite e attuate da appositi organi ai quali tale compito sia affidato in base a precise regole di struttura o di competenza o organizzative. • Che le regole di condotta e quelle di struttura vengano effettivamente osservate. Questo non implica che sempre e tutte le regole siano osservate da tutti e in ogni situazione: alcune regole vengono inevitabilmente trasgredite, modificate o diversamente interpretate, ma il principio di effettività segna il limite entro il quale può dirsi che un complesso di regole (ordinamento) disciplina un gruppo. Se ad un certo momento l’organizzazione non è più in grado di funzionare e di far rispettare le norme che stanno alla sua base, significa che, o la collettività si è sciolta, o che alla sua vita presiede non più la precedente organizzazione, ma un nuovo sistema di regole. Un ordinamento giuridico è tale se esiste un’autorità capace di attuarlo, di farne rispettare le regole. La legittimazione di quell’autorità deriva , nei sistemi democratici dal consenso dei consociati. L’ordinamento di una collettività costituisce quindi il suo diritto oggettivo, cioè come sistema delle regole che organizzano la vita sociale. Diverso è il diritto soggettivo, ovvero la situazione giuridica appartenente a un determinato individuo. Situazioni giuridiche soggettive. Alla base delle situazioni giuridiche soggettive si trova la nozione di interesse. Un interesse è il bisogno che vi è tra un individuo e un’unità del mondo esterno. Tra un conflitto di interesse è l’ordinamento giuridico a stabilire quale prevalga sull’altro. La soccombenza o la prevalenza dell’interesse è dato dalla qualifica che l’ordinamento dà a tale interesse. L’esercizio del diritto soggettivo deve essere distinto dalla sua realizzazione, la quale consiste nella soddisfazione materiale dell’interesse protetto. La realizzazione può essere spontanea o coattiva: quest’ultima si verifica quando occorre far ricorso ai mezzi che l’ordinamento predispone per la tutela del diritto soggettivo. L’interesse può assumere vari atteggiamenti: - Si può avere un interesse nella protezione di un bene da parte dell’ordinamento che deve fornire all’individuo gli strumenti necessari per realizzarlo (conservazione del bene). In tal caso l’ordinamento per la realizzazione di questo interesse deve fornirmi tali strumenti: 1) Potere di godimento del bene 2) Potere di disposizione (poter vendere il bene) 3) Per poter godere del bene devo avere il potere di esercitare sul bene le attività attraverso le quali possa godere del bene. In tal caso siamo in presenza di DIRITTO SOGGETTIVO ASSOLUTO. Questo implica l’esistenza di un interesse, l’atteggiarsi dell’interesse come interesse alla conservazione del bene e strumenti da parte dell’ordinamento per realizzare l’interesse. In qualunque conflitto che si determini tra me e un terzo prevale il titolare del diritto soggettivo assoluto. - Interesse nell’acquisizione del bene secondo il quale viene stipulato un contratto con il libraio e successivamente l’ordinamento mi fornisce gli strumenti per acquisire il bene. Questo passa attraverso poteri diversi e l’attribuzione di strumenti diversi: 1) Potere di pretesa (posso pretendere che un terzo mi consegni il bene); ci deve essere, quindi, qualcuno che ha una situazione soggettiva passiva 2) Non c’è un potere di godimento perché ancora non sono in possesso del bene. 3) Resta il potere di disposizione. In tal caso siamo in presenza di DIRITTO SOGGETTIVO RELATIVO. Vi è una pluralità indeterminata di attività che non possono esser poste in essere da terzi nei confronti di un bene di mia proprietà. Queste sono situazioni giuridiche passive che si caratterizzano nel DOVERE, ovvero nell’astenersi dal compiere attività che possono pregiudicare la relazione che esiste tra soggetto e bene. Il dovere si caratterizza nel riguardare tutti i consociati e ha un contenuto negativo (astenersi da…), ha un contenuto generico Il diritto soggettivo relativo prevede invece un OBBLIGO. Chi ne è titolare deve compiere, a differenza del dovere, una specifica attività (consegna del bene  implica un’attività del dare). Il contenuto specifico dell’obbligo si traduce sempre in un dare o un fare o un non fare. Io soddisfo il mio interesse all’acquisizione del bene quando un terzo mi ha consegnato il bene; ho quindi bisogno dell’intervento o la cooperazione di un soggetto terzo. Il rapporto tra situazione giuridica e persona è detto Titolarità. La situazione giuridica soggettiva maggiormente tutelata dall’ordinamento è il diritto soggettivo. Il diritto soggettivo è il potere della volontà attribuito a un soggetto dall’ordinamento giuridico per la realizzazione di un interesse. L’ordinamento giuridico dello stato e la pluralità degli ordinamenti. Per il perseguimento di fini di differente natura, gli uomini danno vita a organizzazioni di vario tipo: Chiese, partiti politici, sindacati. Tra tutte, maggiore importanza assume la società politica: questa si propone finalità di ordine generale e consiste nell’assicurare i presupposti necessari affinché le varie attività promosse dai bisogni stessi possano svolgersi in modo ordinato e pacifico. L’organizzazione politica, per poter assumere i propri compiti, assume una struttura articolata. Nel corso della storia le società politiche hanno assunto forme diversissime: dalle comunità primitive alle tribù nomadi, dalla polis agli imperi, dalla società feudale ai regni, ai comuni, alle signorie. Oggi è centrale la nozione di stato: comunità di individui, stanziata in un certo territorio, sul quale lo stato esercita la sovranità, e organizzata sulla base di un certo sistema di regole, ossia un ordinamento giuridico. Un ordinamento giuridico si dice originario quando superiorem non recognoscit, ossia quando la sua organizzazione non è soggetta a un controllo di validità da parte di un’altra entità: è il caso, oltre che dei singoli stati, della Chiesa cattolica, della Comunità europea. Gli ordinamenti sovranazionali. L’unione europea. Ai sensi dell’art. 10 Cost. “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Il diritto internazionale è un diritto che ha fonte essenzialmente consuetudinaria, ovvero trae origine dalla prassi delle relazioni tra gli stati, o pattizia, che nasce, cioè, da appositi accordi di carattere bilaterale o plurilaterale che ciascuno stato stringe con altri e si impegna a rispettare. Art.11 Cost. Stabilisce che “l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Il principio rende ammissibile la sottoposizione dello stato alle regole di un’organizzazione sovranazionale, le cui norme e provvedimenti vincolano l’operatività degli organi dello stato stesso, con una conseguente limitazione della sovranità dello stato. Tale norma era pensata in vista della partecipazione dell’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite e ha avuto un’importanza decisiva ai fini del contributo dell’Italia al processo di unificazione dell’Europa. Infatti, l’adesione dell’Italia alle comunità europee ha implicato l’accettazione di limiti alla sovranità dello stato, che si è sottoposto alla volontà della maggioranza degli altri stati membri. Il processo di integrazione europea è stato lungo e difficoltoso e oggi attraversa una fase delicata. Partendo dai tre Trattati istitutivi (CECA – 1951, CEE e EURATOM – 1957) di organismi volti a creare alcune istituzioni comuni e orientati alla definizione di un’area di libera circolazione delle merci, si è proceduto verso un progressivo allargamento del numero di stati aderenti. Fondamentali nel processo di formazione dell’Unione Europea sono stati: • Il Trattato di Maastricht (1992), che entrò in vigore nel 1993, che contirne il trattato sull’UE , con il quale si fissano le regole politiche e i parametri economici richiesti per l’adesione all’Unione dei vari stati. Ha inoltre introdotto la nozione di cittadinanza europea, con la quale si mirava a rafforzare i diritti che ciascuno stato membro doveva riconoscere ai cittadini degli altri stati. • Il Trattato di Amsterdam (1997), entrato in vigore nel 1998, con il quale si ha un ulteriore rafforzamento della nozione di cittadinanza europea. • Il Trattato di Nizza (2001), con il quale è stata proclamata senza valore giuridico la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza). • Il tentativo costituzionale del 2004, trattato firmato a Roma, che fallì perché il nuovo trattato avrebbe dovuto sostituire quelli precedenti e non fu ratificato da tutti gli stati membri entro il termine stabilito del 1 novembre 2006. • Il Trattato di Lisbona (2007), entrato in vigore nel 2009, con il quale è stato attribuito valore giuridico alla Carta di Nizza , che ora costituisce la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, enunciando i principi fondamentali che devono essere rispettati dall’UE in sede di applicazione del diritto comunitario. La Carta di Nizza non va confusa con la CEDU, il Trattato internazionale sottoscritto da Consiglio d’Europa nel 1950 ed entrato in vigore nel 1953 (per l’Italia nel 1955). La norma giuridica. L’ordinamento è costituito da un insieme di regole che disciplinano la vita della comunità. Ciascuna di queste regole si chiama norma. Ciascuna di tali norme si dice giuridica poiché il sistema di regole da cui è assicurato l’ordine di una società rappresenta il diritto oggettivo di quella società. La giuridicità di una norma dipende dal fatto che essa vada considerata, in base a criteri fissati da ciascun ordinamento, dotata di autorità, in quanto inserita nel sistema giuridico e suscettibile di essere resa vincolante nei confronti di tutti i consociati. Ciò avviene quando una certa regola trovi origine in un atto o in un fenomeno normativo, cioè un fenomeno che sia idoneo a porsi come fonte di norme giuridiche. La norma giuridica si distingue dalla norma morale anche quando entrambe presentino lo stesso contenuto in quanto, mentre ciascuna norma morale è assoluta, ovvero trova la propria validità solo nel suo contenuto e quindi obbliga soltanto l’individuo che decide di adeguarvisi, ed è perciò autonoma, la norma giuridica deriva la propria forza dal fatto di essere prevista da un atto dotato di autorità nell’ambito di organizzazione di una collettività, così che anche quando disciplina l’azione del singolo, essa si presenta come eteronoma, cioè imposta al singolo da altri. I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano fonti. La norma è solitamente espressione della volontà di un organo investito del potere di elaborare regole destinate ad entrare a far parte dell’ordinamento giuridico. Occorre non confondere la formulazione concreta dell’atto di esercizio del potere normativo, ossia il testo, nel caso di una disposizione normativa scritta, con il precetto, ossia il significato di quel testo; l’individuazione di tale significato è il risultato di un’operazione di interpretazione del testo medesimo. Non bisogna neppure confondere il concetto di norma giuridica con quello di legge. Per un certo verso la legge è un certo e definito tipo di atto normativo scritto, che nel nostro ordinamento è elaborato da organi a ciò competenti secondo le procedure stabilite dalla carta costituzionale; per un altro verso una legge può contenere, e di regola contiene, molte norme, ma una norma può anche risultare soltanto dal combinato disposto di più disposizioni legislative, ciascuna delle quali può regolare anche un solo aspetto di un fenomeno complesso. Interpretazione. Interpretare una norma giuridica significa cogliere il significato di tale norma. Il significato dato a una determinata norma da un operatore giuridico non è vincolante, ma dipende dal grado di persuasività che io riesco a trasmettere agli altri; in caso contrario ognuno interpreterà la norma in modo personale (interpretazione dottrinale). Se invece una norma è interpretabile in più modi, per dare una certezza può intervenire il legislatore che attraverso una legge ordinaria successiva e autonoma dà a quella norma. Tale interpretazione è vincolante perché stabilita da una norma giuridica. Questa norma, però, spesso è soggetta a interpretazione. Criteri di interpretazione. Es: art 12 preleggi Codice Civile  questa norma va a sua volta interpretata alla luce dell’attuale sistema giuridico (diverso da quello passato). Non si può quindi applicare questa norma così come è stata attuata in passato. Ai sensi di tale articolo alle norme va attribuito un significato letterale, ma questo non è mai sufficiente a comprendere il significato della norma. Diritto positivo e diritto naturale. Il diritto positivo di una determinata società è rappresentato dal complesso delle norme da cui è costituito ciascun ordinamento giuridico. Il diritto naturale è talvolta inteso come matrice dei singoli diritti positivi, talaltra come criterio di valutazione critica dei concreti ordinamenti; talvolta come un complesso di principi eterni e universali, talaltra considerato anch’esso storicamente condizionato e quindi mutevole; talvolta legato a concezioni religiose circa la natura dell’uomo, talaltra ricollegato esclusivamente alla ragione umana, o addirittura alla natura delle cose, ossia alla realtà esterna, in cui ogni legislatore troverebbe un limite invalicabile. Il diritto naturale non riesce a trovare un fondamento obiettivo e univoco. La storia dimostra che il contenuto stesso del diritto di natura è andato mutando: nelle società antiche era ritenuta naturale la condizione di schiavitù di alcuni uomini. Oggi sono molti gli atti della comunità internazionale che enunciano l’esistenza di diritti umani spettanti a ciascun individuo, senza necessità che una norma positiva li attribuisca, e che nessun legislatore ha il potere di ledere o sacrificare. La struttura della norma. La fattispecie. Una norma è un enunciato prescrittivo che si articola nella formulazione di una ipotesi di fatto, al cui verificarsi la norma ricollega una determinata conseguenza o effetto giuridico che può consistere nell’acquisto di un diritto, nell’insorgenza di un’obbligazione, nell’estinzione o modificazione di un diritto. La norma si struttura come un periodo ipotetico: si compone della previsione di un accadimento futuro ed eventuale e dell’affermazione di una conseguenza giuridica che deriva dal verificarsi dell’evento prefigurato dall’enunciato normativo. La fattispecie è la parte della norma che descrive l’evento che intende regolare. Si distinguono una fattispecie astratta e una concreta. Per fattispecie astratta si intende il fatto descritto ipoteticamente da una norma ad indicare quanto deve verificarsi affinché si produca una data conseguenza giuridica. Per fattispecie concreta si intende, invece, non più un modello configurato ipoteticamente, ma un determinato fatto o complesso di fatti realmente verificatisi, rispetto ai quali la norma descrive gli effetti giuridici che ne derivano. Inoltre, mentre l’individuazione della fattispecie astratta si risolve in un’operazione intellettuale, di interpretazione del testo normativo, volta a individuare i presupposti materiali dell’applicazione di determinate regole, l’indagine sulla fattispecie concreta consiste nell’accertamento del fatto storico per porre a confronto tale fenomeno con l’ipotesi astratta prevista e regolata dalla legge. La fattispecie può consistere in un unico fatto (fattispecie semplice) o può essere costituita da una pluralità di fatti giuridici (fattispecie complessa). Se la fattispecie si compone di una serie di fatti che si susseguono nel tempo, si possono verificare effetti prodromici o preliminari, prima che l’intera serie sia completata. La sanzione. Le norme giuridiche si caratterizzano per il fatto di essere suscettibili di attuazione forzata (coercizione) o sarebbero comunque garantite dalla predisposizione della comminatoria di una conseguenza in danno del trasgressore, di una sanzione, la cui minaccia favorirebbe l’osservazione spontanea della norma, attraverso una forma di coazione psicologica volta a dissuadere dal tenere comportamenti antigiuridici. Spesso accanto a norme di condotta (primarie), il legislatore prevede una risposta o reazione dell’ordinamento (norme secondarie). La difesa dell’ordinamento non viene infatti perseguita solo attraverso misure repressive o restaurative di una situazione preesistente illegittimamente violata, ma anche mediante misure preventive, di vigilanza e dissuasione, e perfino con l’ausilio di norme che si limitano a affermazioni di principio che svolgono un’importante funzione esemplare, indipendentemente dalla previsione di qualsiasi sanzione. Se la sanzione non può considerarsi tratto essenziale di tutte le norme giuridiche, deve peraltro riconoscersi che l’ordinamento di una società politica prevede sempre l’allestimento di un apparato coercitivo, tendente a assicurare la salvaguardia della collettività e degli interessi e valori da questa condivisi contro minacce esterne o interne e l’applicazione delle conseguenze sanzionatorie previste in astratto da singole norme per il caso di loro violazione. La sanzione può operare in modo diretto, realizzando il risultato materiale che la legge prescrive, o in modo indiretto: in questo caso l’ordinamento si avvale di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o per reagire alla sua violazione. Caratteri della norma giuridica. I caratteri essenziali della norma giuridica sonno la generalità e l’astrattezza dei relativi precetti. Della generalità si intende sottolineare che la legge non deve essere dettata per singoli individui, ossia formulata in modo da essere applicata a una sola persona o a una schiera di soggetti identificati. Con l’astrattezza si intende sottolineare che la legge non deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, ma per fattispecie astratte, ossia per situazioni descritte ipoteticamente. Importante nella formulazione della norma giuridica è l’esigenza del rispetto del principio di eguaglianza sancito dall’art.3 Cost. questo presenta due profili: uno formale e uno sostanziale. • Il comma 1 sancisce il principio di eguaglianza formale e afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, ne di razza, lingua, religione, opinioni politiche”. La norma fa riferimento ai soli cittadini; la Corte Costituzionale ha precisato, quindi, che il principio di eguaglianza deve essere rispettato anche nei confronti degli stranieri, quanto meno per quanto riguarda i diritti fondamentali della persona. Si tratta di un vincolo rivolto al legislatore ordinario e opera nel senso che l’individuazione delle categorie di soggetti cui ciascuna norma è destinata deve avvenire in modo non arbitrario, con criteri che evitino di trattare situazioni omogenee in modo differenziato o situazioni disomogenee in modo eguale. Il controllo del principio di uguaglianza è affidato alla Corte Costituzionale,il quale può dichiarare l’illegittimità di una norma di legge quando ravvisi un’irragionevole o arbitraria differenziazione normativa di situazioni che siano omogenee, ovvero un’assimilazione di trattamento nei confronti di situazioni che, in realtà sono diverse.
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Esame Diritto Penale II

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. F. Giunta

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Appunti delle lezioni di Diritto penale II con il professore Giunta Fausto Biagio. Utili per preparare l'esame in quanto sono state non solo riprese parole per parole ma anche revisionate e quindi corrette.
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Esame Diritto ecclesiastico

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. M. Croce

Università Università degli Studi di Firenze

Schemi e mappe concettuali
Si tratta di schemi che ho preparato per riassumere due degli argomenti dell'esame di Diritto ecclesiastico: il matrimonio e l'8xmille. Alcuni degli argomenti che richiedono in sede di esame utili per passarlo.
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Appunti delle lezioni del prof. Ferrara degli argomenti che ha spiegato ma che non sono presenti nel manuale da lui consigliato per preparare l'esame di Diritto amministrativo II. Quindi sono fondamentali per preparare in modo completo l'esame.
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Appunti delle lezioni di Diritto amministrativo II (Giustizia amministrativa) del prof. Ferrara relative alla parte spiegata anche nel suo manuale con il quale accompagnare lo studio per la preparazione dell'esame.
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Appunti delle lezioni di Diritto internazionale cognomi A-G della prof.ssa Deborah Russo dell'anno 2024/2025. Utili per preparare l'esame di diritto internazionale in forma scritta e poterlo sostenere in tempi rapidi.
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- Lezioni di Beatrice Gambineri 2023/2024. - Integrato con parti del manuale di A. Proto Pisani. - Contiene sia il Modulo A che il Modulo B. - Completamente sostitutivi per l'esame di Diritto processuale civile.
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Esame Istituzioni di Diritto Romano

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. P. Giunti

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Gli appunti di Istituzioni di diritto romano comprendono tutti gli appunti presi a lezione con la docente. Inoltre sono integrati con mappe concettuali utili alla comprensione di argomenti e soprattutto per il ripasso ai fini dell'esame.
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Esame Diritto privato I

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. A. Gorgoni

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Il file contiene gli appunti presi a lezione, integrati dai capitoli del libro (Torrente). Negli appunti sono affrontati, oltre ai concetti base, casi concreti integrati da qualche sentenza. E' solo la prima parte per sostenere l'esame di Diritto privato I e non comprende tutto il programma.
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Esame Diritto Commerciale A

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. L. Stanghellini

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Il file comprende gli appunti presi a lezione attentamente, integrati dalle slides che il professore ha fornito durante le lezioni di Diritto commerciale. il file comprende i temi trattati per affrontare la prima parte dell'esame di diritto commerciale.
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Esame Storia del diritto II

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. I. Stolzi

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Gli appunti comprendono tutte le lezioni sostenute dalla docente. sono scritti in modo chiaro e molto utili ai fini della preparazione dell'esame. Sugli stessi ho preparato l'esame, superandolo a pieni voti.
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Esame Informatica giuridica

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. G. Stefani

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Gli appunti in questione trattano del corso di Informatica giuridica e comprendono, oltre le lezioni del docente, anche il libro indicato a lezione. Studiando dagli stessi ho sostenuto l'esame passandolo con il massimo dei voti.
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Riassunto per l'esame di Filosofia del Diritto, basato sul corso e sullo studio autonomo del libro consigliato da Prof. Santoro Emilio: Diritto e giustizia , Ross. Università degli Studi di Firenze, facoltà di Giurisprudenza. Scarica il file in PDF!
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Riassunto per l'esame di Diritto amministrativo, basato sul corso e sullo studio autonomo del libro consigliato da Prof. Torricelli Simone: Diritto delle pubbliche amministrazioni. Un'introduzione, Simone Torricelli, Domenico Sorace. Università degli Studi di Firenze, facoltà di Giurisprudenza. Scarica il file in PDF!
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Sentenza Cassazione civile in pdf da esercitarsi per l’esame di Laboratorio di diritto privato applicato: responsabilità civile e contratti. Corso di laurea in scienze dei servizi giuridici facoltà di giurisprudenza anno accademico 2023/2024. Con il professore Federico Bambi.
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