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Appunti degli studenti per corsi ed esami del Prof. Sordi Bernardo

Appunti di Istituzioni di diritto romano. I giuristi romani nel creare diritto partivano dalla tutela delle posizioni giuridiche. La posizione giuridica diventava rilevante all’interno dell’ordinamento nel momento in cui esiste uno strumento processuale o extraprocessuale idoneo a garantirla. I giuristi romani partivano dalla tutela per poi esaminare la regolamentazione dei singoli casi. Questo è il motivo fondamentale per il quale quando si studiano le istituzioni di diritto romano si studia anche il processo. Con posizione giuridica si fa riferimento a un fatto che smette di essere un fatto che ha una validità naturalistica e diventa un fatto che ha un rilievo nel diritto nel momento in cui c’è una forma di tutela che tutela quella situazione. Esempio: la dote non è stato un istituto giuridicamente rilevante riconosciuto dal diritto civile per lungo tempo, non esisteva una regola imposta dall’ordinamento che imponesse di dotare una figlia, ma era una pratica avvertita come obbligata dal punto di vista sociale; sarà soltanto nel momento in cui viene concessa una azione che consente alla donna o ai parenti della donna di ricevere indietro la dote una volta che il matrimonio era sciolto che noi vediamo che questa regola che prima era solo sociale emerge ora anche a livello del giuridico. Il diritto romano non è un diritto positivo. Non possiamo studiare gli istituti di diritto romano prescindendo dal contesto storico in cui sono nati e si sviluppano, stabilizzano e mutano. Il diritto romano è stato prodotto tra l’VIII sec a.C e il VI sec. d.C nel bacino mediterraneo. Per parlare del diritto privato romano useremo questa periodizzazione che divide a sua volta l’esperienza romana in quattro periodi: - Età monarchica (VIII sec. a.C – VI sec a.C) - Età repubblicana (VI-I sec a.C) - Principato (I sec a.C – III sec. d.C) - Tardo-antichità (IV sec. d.C – VI sec d.C) In ognuno di questi periodi potremmo affrontare uno studio pubblicistico, cioè la storia delle istituzioni pubbliche romane, uno studio storia della produzione normativa, uno studio del diritto privato e una storia del diritto penale. 02/03 Parliamo di istituzioni di diritto romano perché studiare le istituzioni significa studiare il modo elementare che nel loro complesso gli istituti creati (nel caso del diritto romano) dai romani per regolarizzare i loro rapporti reciproci. Il termine istituzioni rinvia allo studio dei concetti elementari di una disciplina. L’unica opera che conosciamo di un giurista romano si intitola proprio Institutiones, e non è un caso per quanto riguarda la materia giuridica, perché in realtà nella letteratura romana i manuali di istituzioni erano i manuali in cui si davano le prime indicazioni di una disciplina. Studiamo le istituzioni di diritto romano perché la conoscenza storica e il diritto romano per noi è la conoscenza delle nostre radici dirette del nostro ordinamento giuridico. Questo distingue quello che è un puro conoscitore delle norme da quello che è invece un giurista, che padroneggia nell’insieme le categorie e sa conoscere anche l’origine di questi concetti. I giuristi del diritto romano sono esperti del diritto in Roma e hanno la funzione di produrre diritto, sono delle fonti del diritto che proiettano la loro interpretazione relativa anche alle altre fonti del diritto, come le leggi delle assemblee. Sono dei veri e propri intellettuali che si occupano di approfondire i temi giuridici delle loro opere. Sono soggetti la cui elaborazione intellettuale funge da fonte del diritto. Hanno prodotto una ricchissima letteratura, che si sviluppa a partire dal I sec a.C al V sec d.C. Le due opere attraverso le quali ci è arrivato il diritto romano sono le istituzioni di Gaio e il corpus iuris civilis di Giustiniano. Le istituzioni di Gaio. Gaio è un giurista che vive nel II sec d.C. è un giurista la cui identità è nebulosa. Gaio è stato scarsamente citato dagli altri giuristi. Alcuni frammenti di alcune sue opere sono conservati nel Digesto. Le istituzioni di gaio è l’unica opera che ci è giunta direttamente. Nel 1816 un diplomatico tedesco (Niebhur) era alla biblioteca capitolare di Verona e trova questo codice scritto su pergamena che conteneva le opere di San Girolamo. Questo codice è un codice palinsesto cioè ha una scrittura superiore e si rende conto che sotto quella scrittura ci deve essere qualcos’altro e trova sotto di essa le istituzioni di Gaio. I solventi utilizzati nell800 erano molto forti e in alcune parti danneggiano anche la scrittura inferiore che non è quindi stato possibile recuperare. Una buona parte di queste lacune sono però state colmate dal ritrovamento di Arangio Ruiz che in Egitto ha trovato nel 900 un codice pergamenaceo che in tante parti ha consentito di integrare le lacune del codice veronese. Questa opera era strutturata in quattro libri il cui contenuto era: - un commentario primo dedicato interamente alle persone, cioè su tutte le regole relative allo status delle persone; - nel secondo e terzo commentario erano conservati tutte le riflessioni relative a rapporti giuridici patrimoniali per i quali si intendono sia i diritti reali, sia le obbligazioni, sia le successioni; - il quarto commentario era interamente dedicato alle regole relative al processo. Il corpus iuris civilis. È un nome che è stato dato a questa opera nel medioevo. È una raccolta di materiale normativo divisa in 4 libri di diversa provenienza. Questa opera fu redatta nel VI sec d.C per volere dell’imperatore Giustiniano. Giustiniano ha un progetto politico molto ambizioso che è quello di riconquistare anche la parte occidentale dell’impero e riunire quindi l’impero romano nella sua interezza, ma ritiene che dietro un grande progetto politico debba esserci anche un grande progetto culturale e per ricomporre l’identità di Roma era necessario un progetto culturale che rappresentasse la vera identità autoctona di Roma antica. Decide quindi di ricostruire l’identità culturale partendo dal diritto. Roma è il luogo di nascita della scienza giuridica e del giurista. Giustiniano può disporre di scienziati del diritto di grande livello dal punto di vista intellettuale, tra i quali Triboniano che pone a capo di una commissione incaricata di redigere tre tipologie di opere: il primo che viene redatto è il codex iustinianus, una raccolta di costituzioni, ossia materiale normativo di provenienza imperiale, che vede la luce nel 528 d.C. Giustiniano chiede che siano raccolte tutte le fonti prodotte dall’epoca di Adriano fino ai suoi giorni. Nel 530 poi vede la luce la seconda opera che è i digesta, una raccolta di frammenti delle opere giurisprudenziali da Quinto Mucio Scevola a Ermogeniano e Arcadio Carisio. La terza opera risale al 530 d.C ed è le Institutiones Iustiniani, un manuale destinato allo studio del diritto. L’ultima opera è costituita da un nuovo codice, il Codex Repetitae Praelectionis del 534 d.C, il quale sostituisce il codice precedente, aggiungendo le costituzioni e il materiale legislativo prodotto nel frattempo. ll Digesto. È una raccolta di frammenti delle opere giurisprudenziali di vari giuristi. L’opera del giurista più antico che viene riportata nel digesto è quella di Quinto Mucio Scevola. Giustiniano ha bisogno di raccogliere la disciplina in un'unica opera della regolamentazione di tutti i rapporti privatistici relativi al processo. Voleva raccogliere tutto il diritto vigente alla sua epoca. Tutta la disciplina del diritto privato. Per fare questo poteva chiedere ai suoi compilatori di costruire un’intelaiatura con matrice codicistica per dividere la materia giuridica in tante sezioni e poteva chiedere ai suoi collaboratori di riempire queste sezioni con le varie discipline dei vari articoli, e invece Giustiniano chiede loro di leggete tutte le opere dei giuristi di cui loro disponevano e trarre da esse tutte le parti che ritenevano più funzionali a spiegare le varie parti della disciplina di tutti gli istituti; gli articoli invece di scriverli loro di prima mano, venivano tratti da opere di altri giuristi. Il digesto è composto da 50 libri. Ogni libro era diviso in titoli e ogni titolo era diviso in frammenti. Giustiniano ha chiesto di prendere i frammenti, conservando per ciascuno di essi l’autore, il libro e l’opera da cui sono tratti. Grazie a questa conservazione è possibile ricostruire il pensiero di questi giuristi. Noi consociamo questo codice tramite un manoscritto (il manoscritto Princeps), che è databile al VI sec. d.C, coevo alla datazione del Digesto, che è arrivato a Firenze nel 1406 come bottino di guerra e tramite questo manoscritto noi conosciamo il corpus iuris civilis e in particolare il Digesto. Questo manoscritto è stato poi oggetto di studio sin dal medioevo e è sul Digesto che lavorano i commentatori. Possiamo quindi vedere come questo Digesto è contenuto in una parte centrale del foglio e il bordo è interamente riempito dai commenti dei glossatori. Nell’XI sec c’è stata una riscoperta degli studi giuridici operata sul digesto, collegata a un meccanismo di rinnovamento degli studi giuridici. La storia delle istituzioni. La fondazione di Roma. Quando parliamo della fondazione di Roma noi non abbiamo origini sicure. Tuttavia, abbiamo una buona mole di indicazioni che ci consentono di costruire un quadro attendibile. Sappiamo molto più sulle origini di Roma rispetto alle origini di tante altre città antiche. Questo perché conosciamo tante tradizioni relative ai miti fondativi di Roma, che ci divengono da molteplici autori antichi. Questi racconti, sulla cui attendibilità si è molto discusso nei tempi passati, sappiamo essere molto più attendibili di quanto credevamo un tempo. L’attendibilità di questi racconti ci è confermata da studi comparativi, scoperte archeologiche ecc. Questi dati archeologici confermano che Roma doveva essere stata fondata attorno alla metà dell’VIII sec e che la Roma arcaica era stata governata da una forma istituzionale di tipo monarchico. Questa monarchia non è stata uguale a se stessa in tutte le fasi dell’epoca monarchica: c’è una prima fase della monarchia, definita come fase proto-urbana, pre-civica, che va dalla metà dell’VIII sec a.C agli anni 30 del VII sec a.C e che viene denominata monarchia sabino-latina, in cui vediamo una forma di organizzazione della società in cui l’aggregazione cittadina politica è ancora in formazione e poi dagli anni 30 del VII sec. a.C fino alla fine dell’età monarchica abbiamo la seconda fase della monarchia in cui l’organizzazione della comunità è più propriamente politica e che si chiama monarchia etrusca. La prima aggregazione urbana di Roma che viene organizzata secondo questo.
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Dal corso del Prof. B. Sordi

Università Università degli Studi di Firenze

Appunti esame
Appunti di Diritto romano. Secondo una ricostruzione seguita da gran parte degli storici, la nascita di Roma rappresenta l’esito di un processo di unificazione di più città realizzatosi verso la metà dell’ VIII secolo a.C tra minori comunità stanziate sul Palatino e sui colli circostanti. • Erano comunità a base familiare, aggregazioni di familiae, unite da un progenitore eroico, spesso mitico, e con interessi condivisi di varia natura, da quelli religiosi a quelli della difesa esterna. • Queste aggregazioni familiari si riscontrano presso altri popoli di stirpe indoeuropea a cui appartenevano anche quei latini che avrebbero dato origine al nucleo cittadino più antico sul monte Palatino: i latini denominavano queste comunità “gentes”. • Prevalente è l’ipotesi che Roma si sia presentata inizialmente come una federazione di gentes, cioè una lega con un’assemblea rappresentativa formata dai capi-famigia (patres) delle genti più potenti, che esprimevano, a loro volta, il rex. • La sovranità stava quindi in questa assemblea gentilizia di cui il rex appare come delegato per l’esecuzione delle decisioni assunte dai patres e per la rappresentanza all’esterno della lega. Con l’avvento della monarchia etrusca si sarebbe avuta, poi, una redistribuzione del potere pubblico a scapito dei patres e a vantaggio del rex che, da monarca delegato, sarebbe divenuto un tiranno. Da qui la reazione rivoluzionaria da parte dei patres e delle famiglie più antiche e influenti che vrebbero cacciato il rex e instaurato, in luogo del “regnum” la res publica. In questa il governo sarebbe spettato ancora all’assemblea dei patres, denominata senatus, tramite magistrati eletti nelle assemblee del popolo, la cui scelta non poteva però prescindere dal gradimento dello stesso senato. Una conferma di questi assetti di potere si rinviene nell’interregnum e nella sua disciplina. Il potere di auspicare era prerogativa del rex e doveva precedere l’assunzione di ogni decisione rilevante in merito al governo della città. Morto il re questo potere ritornava ai patres. Morto il re i patres governavano la città uno alla volta per 5 giorni a testa, fino a quando un interrex avesse ritenuto fosse giunto il momento per l’assemblea di scegliere un nuovo re: ciò lascia intendere che la titolarità del potere in questione fosse dell’assemblea come di ogni singolo pater e che il monarca fosse, anche in quest’ambito, nulla più di un delegato. L’interregno era però presente anche nella costituzione della repubblica e aveva luogo quando fossero venuti a mancare entrambi i consoli, cioè i magistrati supremi che, caduto il regno, avevano preso il posto del re. E’ quindi possibile che l’interregnum sia stato così inteso al fine di sostenere la continuità tra regnum e res publica. Per l’età monarchica resta la questione se la scelta del nuovo re fosse del senato o se quest’ultimo si limitasse a fare una proposta al popolo e sembra difficile ipotizzare che il popolo avrebbe potuto facilmente prescindere dall’indicazione dei patres. Diritto e giuristi nella storia di Roma. Il Corpus Iuris Civilis. Quanto conosciamo del diritto romano si trova riunito in un’unica raccolta di testi, che durante il rinascimento cominciò a prendere il nome di corpus iuris civilis: questa fu compilata nella prima metà del VI secolo d.C da un gruppo di esperti su incarico di Giustiniano, imperatore della parte orientale dell’impero romano. Il Corpus Iuris Civilis è composto da quattro distinte opere: i Digesta, il Codex, le Institutiones e le Novellae. Giustiniano iniziò, nel 528, con l’ordinare una nuova raccolta di costituzioni, a partire dal principato di Adriano, fino ai suoi tempi: un ampio Codex che avrebbe dovuto sostituire i tre precedenti: il Gregoriano, l’Ermogeniano e il Teodosiano. Il nuovo codice fu pubblicato già nel 529, ma ebbe tuttavia vita breve in quanto, dopo soli quattro anni, fu sostituito da una seconda edizione, con una struttura diversa. Ben presto gli intenti dell’imperatore si rivelarono di più vasta portata; nel dicembre del 530, con la costituzione Deo Auctore, egli affidò al suo ministro Triboniano l’incarico di presiedere una commissione con il compito di redigere un’ampia raccolta di testi estratta dalle opere di antichi giuristi, ordinati non cronologicamente, ma per materia, e disposti secondo una divisione in libri e in titoli. Lo scopo era versare la parte giudicata migliore dell’antico pensiero giuridico nella forma di un codice in modo da integrare organicamente gli antichi iura (opere dei giuristi del passato) con le nuove leges (costituzioni imperiali) nel rinnovato ordine. I commissari giustinianei dovevano, quindi: a) Scegliere i giuristi e le opere da utilizzare; b) Scegliere tra queste opere i brani ritenuti meritevoli di essere trascritti nella raccolta; c) Inserire i testi nel disegno della nuova compilazione; d) Modificare le strutture originali dei brani riprodotti, ove sembrasse opportuno alterarne i contenuti per armonizzarli in modo adeguato con lo spirito e le disposizioni del nuovo impianto codificatorio. In tal modo la storia effettiva del pensiero giuridico romano era cancellata e salvata: mentre se ne conservavano i testi, si oscurava la memoria del suo svolgimento reale, che sopravviveva solo nei nomi dei giuristi e nei titoli delle opere, riportati all’inizio di ogni brano riprodotto nella raccolta. Le scritture originali e i profili individuali dei singoli autori venivano come polverizzati, proprio mentre se ne salvavano le dottrine, per formare i tasselli di una specie di imponente mosaico letterario e giuridico. Il nuovo codice, cui fu dato il nome di Digesta, fu pronto in tre anni; pubblicato il 16 dicembre del 533 e entrò in vigore il 30 di quello stesso mese. E’ composto da 50 libri divisi in sette parti, di cui soltanto le prime tre hanno una certa coerenza architettonica. I libri erano quasi tutti ripartiti in titoli, dentro i quali erano riprodotti i testi dei giuristi selezionati, montati in una sequenza tale da suggerire al lettore l’impressione di trovarsi di fronte ai frammenti ricomposti di un unico discorso, che si svolgeva per l’intero titolo: effetto a volte riuscito, a volte del tutto mancato. La promulgazione dei Digesta non esaurì l’impegno di Giustiniano: prima ancora che essi vedessero la luce, egli aveva incaricato Triboniano di provvedere alla stesura di un manuale istituzionale perché le scuole di diritto potessero disporre di un testo aggiornato per il loro insegnamento, in grado di sostituire le vecchie istituzioni di Gaio. Anche questa nuova opera fu rapidamente conclusa, nel novembre del 533. Sempre nelo stesso anno, Giustiniano decise anche di procedere a una nuova stesura del primo Codex, che tenesse conto dell’importante legislazione che aveva accompagnato la preparazione dei Digesta. Il nuovo codice fu pubblicato nel novembre del 534. Era diviso in 12 libri, ripartiti in titoli, all’interno di ciascuno dei quali erano collocate in ordine cronologico constitutiones da Adriano e Giustiniano stesso, sui cui testi i commissari avevano avuto facoltà di intervenire con libertà non inferiore a quella ottenuta per i Digesta. L’attività legislativa di Giustiniano non si arrestò e, fino al 542, fu varato un notevole numero di provvedimenti legislativi, che, raccolti on il nome di Novellae, dopo la morte del sovrano, entrano a far parte dell’insieme della sua opera. I Digesta. Delle quattro opere che componevano il Corpus Iuris Civilis, maggior attenzione da parte dei giuristi fu attirata dai Digesta, in quanto in quelle pagine era stata conservata la parte più importante e originale dell’intera esperienza giuridica nel mondo antico. Essi erano un insieme di un codice e un’antologia e avrebbero infatti dovuto assolvere una duplice funzione: - Un’immediata vigenza normativa, di un’autentica codificazione che garantisse con l’autorevolezza dei classici la certezza del diritto per la rinascita della società e dello stato bizantini nel VI secolo. - Salvare la parte ritenuta migliore dell’eredità letteraria del pensiero giuridico romano, sottraendola al disastro della sua trasmissione. Questo salvataggio era però avvenuto sotto il peso di una doppia condizione: esso aveva implicato per prima cosa una drastica selezione. Gli scritti dei giuristi antichi non erano stati recuperati nella loro interezza, ma vennero, invece, selezionati e smembrati affinché solo una piccola parte dei resti poté essere inserita nei digesta: tutto quel che rimase fuori non fu più ricopiato in nuove edizioni e andò definitivamente disperso. Si pensava inoltre che i testi dei digesta serbassero traccia di un diverso tipo di alterazioni, prodottesi prima della compilazione giustinianea, nella vicenda della loro tradizione manoscritta, dalla prima edizione, fino all’arrivo nelle biblioteche bizantine; e che inoltre alcune opere non fossero altro se non veri e propri falsi, composti molto più tardi e pubblicati sotto il nome di qualche antico maestro. Si ipotizzava così l’esistenza di un terzo strato di scrittura nei digesta, imputabile a interventi sia consapevoli, sia involontari da parte degli editori che avevano pubblicato nel corso del tempo l’opera utilizzata infine dai compilatori. Il salvataggio giustinianeo implicò tuttavia un altro pesante prezzo:oltre alla selezione di ciò che si salvava e ciò che si condannava all’oblio,esso comportò sui resti conservati, la sovraimpressione di un’impronta a loro del tutto estranea: la forma del codice. Questa fu scelta da Giustiniano e dai suoi collaboratori per consentire l’impiego pratico, a fini normativi, della loro opera di recupero dell’antica tradizione giuridica. Si trattò di una decisione che facilitò il cammino moderno del diritto romano, preservandolo entro un involucro che ne assicurava la maneggevolezza e ne migliorava la fruibilità. La forma di codice risultava quindi un contenitore resistentissimo, ma anche uno specchio deformante, che cancellava i termini autentici dell’antica cultura giuridica romana, nel momento stesso in cui contribuiva a salvarne la memoria. Il lavoro dei giuristi romani. Secondo i compilatori del Corpus Iuris la storia della giurisprudenza romana doveva apparire come un blocco monolitico, dotato di coesione. Se non lo immaginiamo mosso da un simile convincimento, l’intero progetto che ha ispirato la costruzione dei digesta risulterebbe incomprensibile. Tale intuizione era giusta solo per metà: la parte di vero corrispondeva all’esistenza reale di una struttura profonda di metodi, di concetti e di paradigmi rintracciabili in modo uniforme nell’intero svolgimento del pensiero giuridico romano. La costanza di uno stile di analisi formatosi definitivamente negli ultimi secoli della repubblica e mai più abbandonato. L’errore consisteva invece nell’oscurare il lato essenziale che intorno a quel nucleo uniforme si era venuta sviluppando sin dall’inizio anche una rete di diversità, di linee evolutive non coincidenti, di individualità e situazioni storiche particolari, di contrasti culturali e di potere, la cui attenta comprensione non era meno importante per la conoscenza dell’insieme di quanto lo fosse l’esatta determinazione dei punti di unità. Un dato rimane comunque indubbio: nella visione giustinianea come nella nostra il cuore dell’intera civiltà giuridica romana si identifica con l’attività scientifico-letteraria dei giuristi, che riguardò essenzialmente quello che noi oggi chiamiamo diritto privato. Certo, la corrispondenza non è totale. Accanto al lavoro della giurisprudenza, l’esperienza giuridica romana conobbe un’imponente presenza della legislazione: dalle XII tavole ancora in piena epoca arcaica (metà V secolo a.C), all’attività normativa delle assemblee popolari, in età repubblicana e augustea (IV-I secolo a.C), sino all’articolarsi della legislazione imperiale. Un ruolo non di minore importanza fu svolto dall’editto del pretore: un testo che si era venuto stratificando per secoli attraverso un lavoro che aveva coinvolto centinaia di magistrati almeno dal III secolo a.C. fino alla definitiva stabilizzazione del suo dettato all’epoca di Adriano. Ma questo insieme così vario non era mai stato concretamente operante al di fuori della fitta trama di prescrizioni, interpretazioni e integrazioni che vi aveva costruito intorno la giurisprudenza. I giuristi romani non furono quindi solo dei sapienti, dei conoscitori o degli scienziati del diritto, ma per una parte della loro storia ne furono anche i più importanti costruttori e produttori. Anzi, l’età dell’oro del sapore giuridico romano coincise quasi completamente con la stagione della piena affermazione, nel tessuto istituzionale della società romana, di un modello che noi chiamiamo di “diritto giurisprudenziale”: di un ordine giuridico, cioè, dove la creazione del diritto era concentrata nelle mani dei giuristi, indipendentemente dal fatto che ricoprissero cariche pubbliche. Essi infatti assolvevano alla loro funzione non come magistrati del popolo romano, o come funzionari del principe, anche se durante la repubblica furono quasi sempre magistrati e spesso collaboratori o funzionari del principe nell’epoca del principato. Quel che indichiamo come diritto romano è dunque il diritto di questi prudentes: un diritto non di leggi, non di testi normativi, non di codici, ma di giuristi, di un ceto di esperti privati non identificabile con l’amministrazione o con il governo. Quando la centralità del lavoro della giurisprudenza si venne appannando, nel III secolo d.C., a vantaggio di un’inedita concentrazione legislativo-burocratica della creazione normativa, fu l’intero diritto romano a entrare in una zona d’ombra.
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Riassunto per l'esame di Storia del Diritto Medievale e Moderno I, basato sul corso e sullo studio autonomo del libro consigliato da Prof. Sordi Bernardo: L’Europa del diritto, Paolo Grossi. Università degli Studi di Firenze, facoltà di Giurisprudenza. Scarica il file in PDF!
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Riassunto per l'esame di Storia del diritto medievale e moderno, basato sul corso e sullo studio autonomo del libro consigliato da Prof. Sordi Bernardo: L’Europa del diritto, Paolo Grossi. Università degli Studi di Firenze, facoltà di Giurisprudenza. Scarica il file in PDF!
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Per superare l’esame di “Storia del diritto medievale e moderno” del Prof. Bernardo Sordi sono necessari gli appunti delle sue lezioni (Medioevo + Modernità) e il manuale “L’Europa del diritto” di Paolo Grossi. Il materiale in vendita comprende solo gli appunti relativi alle lezioni del prof. Sordi. Gli appunti sono stati realizzati nell’anno accademico 2022/2023. Sono chiari, dettagliati, esaustivi. Offrono un’ottima preparazione per l’esame.
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Per superare l’esame di “Storia del diritto medievale e moderno” del Prof. Bernardo Sordi sono necessari gli appunti delle sue lezioni (Medioevo + Modernità) e il manuale “L’Europa del diritto” di Paolo Grossi. Il materiale in vendita comprende solo gli appunti relativi alla parte sul Medioevo delle lezioni del prof. Sordi. Gli appunti sono stati realizzati nell’anno accademico 2022/2023. Sono chiari, dettagliati, esaustivi. Offrono un’ottima preparazione per l’esame.
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Appunti presi durante le lezioni di Storia del diritto medievale e moderno del Professore Bernardo Sordi basati su appunti personali del publisher presi alle lezioni del prof., dell’università degli Studi di Firenze - Unifi. Scarica il file in formato PDF!
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Appunti di storia del diritto medievale e moderno basati su appunti personali del publisher presi alle lezioni del prof. Sordi dell’università degli Studi di Firenze - Unifi, facoltà di giurisprudenza, Corso di laurea magistrale in giurisprudenza. Scarica il file in formato PDF!
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Storia del diritto medievale e moderno per l'esame del professor Sordi. Gli argomenti trattati sono i seguenti: che cos'è il diritto, il confronto per quadri comparabili, l'esperienza giuridica medievale, il pluralismo giuridico, la preesistenza del diritto rispetto al potere.
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