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Estratto del documento

E attorno a tre principi guida, destinati a diventare cardini di ogni

successivo sviluppo giuridico:

- Il con sensualismo, cioè il riconoscimento dell’accordo tra le parti

comunque manifestato indipendentemente dalla forma usata per la

sua espressione.

- La buona fede, cioè l’obbligo delle parti coinvolte in una relazione di

affari a comportarsi con onestà e correttezza.

- La reciprocità, secondo cui alla prestazione economicamente

onerosa, e gia eseguita, di una delle parti, doveva necessariamente

corrispondere una prestazione simmetrica dell’altra o un suo

corrispettivo di pari entità economica.

A questi principi possiamo aggiungere l’equità, la quale caratterizzava

soprattutto il regime di figure che si erano affermate nell’ambito della

giurisdictio pretoria: si trattava di un valore destinato a irradiarsi

sull’intero diritto elaborato dai romani.

I primi secoli del principato.

La preesistenza di un modello labeoniano è forse la chiave per

interpretare le vicende della giurisprudenza romana nel corso del I secolo

a.C., sino al principato di Adriano e poi di Antonino Pio. Le generazioni di

giuristi che seguirono non si fecero coinvolgere nell’ostilità ideologica al

principato che lo aveva visto nascere. Questo tratto genetico non si

trasmise; o almeno non in modo diretto, probabilmente anche grazie alla

prudenza di Augusto, che rinunciò subito a un qualsiasi programma

troppo scoperto di intervento sui meccanismi di creazione del ius, e si

circondò egli stesso di giuristi non sostenitori di alcun progetto eversivo

dell’antico primato giurisprudenziale.

Anche la nuova istituzione del ius respondendi ex auctoritate principis fu

da lui usata con tanta cautela da non provocare alcun serio contraccolpo.

Un simile intervento rivela la preoccupazione per le difficoltà operative

sollevate dalla possibile compresenza di opinioni giurisprudenziali di

difforme tenore: quel ius controversum, attestato già negli ultimi secoli

repubblicani, costituisce un episodio emblematico, ma non certo la sola

dinamica a cui ridurre un proliferare di apporti e soluzioni casistiche ben

altrimenti complesso.

Dopo Augusto, la forza scientifica dell’esemplarità labeoniana venne

utilizzata e rielaborata per tracciare i confini di uno storico compromesso

di potere, che la giurisprudenza praticò e cercò di mantenere per oltre un

secolo, almeno fino a Giuliano. Nel tacito patto che da Labeone in poi

strinsero con il potere imperiale, i giuristi assicurarono alle istituzioni del

principato lealtà e rispetto, ricevendone in cambio la sostanziale garanzia

che la nuova funzione normativa che il principe cominciava a riservarsi

non avrebbe alterato la tradizionale gerarchia giurisprudenziale nella

produzione del diritto.

Il principe sceglieva per ora di non farsi legislatore, ma soltanto egli

stesso giurista tra i giuristi. Non si trattò di un percorso semplice, né

lineare. La transizione dal modello repubblicano di primato

giurisprudenziale a un nuovo equilibrio tra i giuristi e principe ebbe i suoi

momenti oscuri e difficili, anche in rapporto alle convulsioni politiche del

principato nel I secolo d.C, tra Tiberio e Domiziano.

Il consolidamento dei caratteri.

Le oscillazioni della politica imperiale non alterarono mai le linee

evolutive del sapere giuridico. Con le trasformazioni intervenute negli

ultimi secoli della repubblica era stata costruita e messa in campo una

rete di concetti e figure giuridiche che costituiva l’ossatura di un grande

sapere tecnico e specialistico. I suoi principi di fondo non furono mai più

messi in dubbio.

Nel corso del I secolo d.C. si assiste al processo di definitiva acquisizione

e consolidamento dei caratteri e dei piani normativi ereditati dalla

tradizione repubblicana. Il vecchio ius civile si concentra perfettamente

nel breve trattato di Sabino (di soli tre libri), ben presto considerato dalla

giurisprudenza come il punto di riferimento obbligato per le ricognizioni

in materia.

Anche il testo dell’editto pretorio entra in un’epoca di maggiore stabilità

che già anticipa la cristallizzazione definitiva di età adrianea. È probabile

che nel periodo del suo massimo sviluppo le linee dell’attività

giurisdizionale del magistrato non si riflettessero in un programma

preventivo concepito organicamente.

In età ciceroniana deve essersi verificata una svolta, in seguito alla quale

l’organizzazione normativa in cui si delineava la iurisdictio del magistrato

si trasformava in progetto, previsione, programma. Questa

trasformazione sarebbe stata impossibile senza una partecipazione della

giurisprudenza: un contributo che determinò la portata e i campi di

applicazione delle nuove norme, e costruendo su di esse concetti e figure

inedite, finì con il sottrarle all’annuale precarietà della loro vita per

consegnarle ai percorsi ben più lunghi del ius civitatis.

Il diritto romano comincia cosi ad assumere il suo volto più familiare di

un’esperienza giuridica di casi e di azioni o di un sistema di mezzi

processuali predisposto a tutela di una rete orizzontale di rapporti

giuridici tra capifamiglia sottoposti a una assoluta parità di trattamento,

e fissa in modo definitivo i tratti che costituiranno il nucleo della sua

eredità moderna:

- Il suo carattere formale e razionale, cioè elaborato scientificamente,

secondo procedure logiche verificabili in ogni passaggio;

- Il suo carattere di diritto eguale, che presuppone l’eguaglianza

astratta di tutti i soggetti che compaiono all’interno della sua rete

formale, definiti soltanto in base alla posizione che occupano

rispetto alla struttura dell’ente giuridico considerato;

- Il suo carattere di diritto calcolabile, nel senso di un diritto in cui

ogni posizione soggettiva è esattamente predefinita e misurabile in

tutta la sua portata e ampiezza;

- Il suo carattere individualistico e proprietario, cioè il suo essere un

diritto che presuppone come dato sociale acquisito e immodificabile

il godimento individuale di una serie illimitata di beni, e fa del

carattere privato dell’appartenenza un elemento fondante della

stessa soggettività giuridica;

- Il suo specialismo, nel senso di essere un diritto fondato su un

sapere isolato e separato, custodito da un ceto di specialisti e

dotato di una tecnica specifica con una sua propria attitudine verso

la realtà.

i giuristi al governo dell’impero.

Alla fine del II secolo d.C. la giurisprudenza romana conosce un nuovo

ruolo e posizione. La trasformazione si compie sullo sfondo di un

processo di grande rilievo: la nascita di una vera e propria macchina

statale, con compiti di direzione e di controllo sociale e economico, e di

prelievo fiscale, sempre più estesi: prima di allora le istituzioni romane

della politica e dell’amministrazione si sarebbero potute definire “Stato”

nel senso più proprio e moderno della parola.

La nuova configurazione del potere e del governo assorbì completamente

l’autonomia dei giuristi: adesso i personaggi di maggior rilievo della

giurisprudenza severiana sono alti funzionari del governo imperiale:

intellettuali-burocrati chiamati a gestire direttamente un potere mondiale

che si avviava a entrare nell’età del suo declino, insidiato da

contraddizioni, minacce e pericoli.

Mentre, però, i giuristi-magistrati repubblicani avevano alle spalle

un’organizzazione amministrativa semplice e leggera, i ministri-giuristi

degli imperatori severiani orientavano un apparato di una complessità

mai prima sperimentata.

Questo creò una situazione nuova: la tradizionale autonomia della

giurisprudenza non venne oscurata e dissolta dall’esterno. Furono,

invece, gli stessi giuristi severiani ad accettare di mutare di segno il

proprio lavoro e il proprio ruolo. Concedendo alla cancelleria imperiale

l’ormai inevitabile primato nella produzione del diritto, attraverso le

constitutiones, se da un lato segnavano la fine dell’antica

giurisprudenzialità del diritto romano, non facevano altro che dar voce

ancora a se stessi, come protagonisti dell’attività normativa del principe.

Ma mentre lo accantonavano nell’effettività della realtà costituzionale,

essi diedero al vecchio diritto giurisprudenziale una forma definitiva, e

intanto elaboravano un modello del tutto inedito di ordine giuridico, in cui

il potere ormai illimitato del principe-sovrano poteva stemperarsi,

addolcirsi e mitigarsi nel disegno di un giusnaturalismo ecumenico

flessibile e intransigente insieme.

Se Giuliano fu l’esempio più luminoso del giurista-consigliere, Ulpiano lo

fu del giurista- grande funzionario. La sua vastissima opera attende

ancora di essere indagata con criteri storiograficamente attendibili. In

alcuni scritti il vero filo conduttore sembra essere la trama di citazioni di

giuristi del passato, che punteggiano di continuo il discorso: ma i

riferimenti risultano spesso leggermente manipolati, per renderli

omogenei a un programma nel quale la sistemazione dottrinaria prevale

nettamente sulla fedeltà dei rinvii.

Per un paio di decenni, fino verso il 230 d.C., il lavoro degli ultimi grandi

giuristi sembrò mantenersi in equilibrio tra le nuove forme. Proprio

mentre contribuiva a creare con le sue scelte le condizioni della propria

scomparsa, il diritto giurisprudenziale romano ebbe il tempo e la forza di

innalzare a se stesso un monumento in grado di superare in qualche

modo la grande catastrofe che avrebbe scompaginato l’impero tra il III e

il V secolo. Esso gettò così le fondamenta di tutti i successivi recuperi

attualizzanti: da quello giustinianeo, sino agli esperimenti moderni.

Il problema della tradizione romanistica. Le continuità e le

censure.

Dagli ultimi decenni del III secolo d.C. sino a Giustiniano assistiamo a

istituzioni e vicende che si allontanano dai tratti che avevano

caratterizzato il diritto giurisprudenziale romano dal periodo arcaico sino

all’età dei Severi, per comporre un quadro più vicino alla mentalità

giuridica moderna.

Ben presto, si innescano sui testi del corpus iuris civilis e dei digesta

catene di interpretazioni e commenti nell’ambito della cultura giuridica

bizantina: dalla parafrasi di Teofilo alle istituzioni fino a quell’estesa

opera di analisi e comparazioni che ci è nota col nome di Basilici. Ma la

puntuale rilettura del Corpus Iuris Civilis avrebbe assunto un ruolo

centrale soprattutto nella rinascita degli studi giuridici in Occidente, a

partire dall’XI secolo.

I grandi interpreti medievali accentuarono il carattere organico dei

Dettagli
A.A. 2021-2022
24 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ilariapieragnoli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Sordi Bernardo.