Convenzioni internazionali, le leggi ordinarie, i decreti legislativi, i decreti legge, i regolamenti della CE e le
direttive comunitarie direttamente applicabili, le leggi regionali e delle province autonome di Trento e
Bolzano, i regolamenti governativi e ministeriali, i regolamenti regionali, le sentenze di accoglimento della
Corte costituzionale, gli usi, le consuetudini, il diritto straniero o il diritto antico, ecc…
Ai sensi dell'art. 1132 c.p.c. "il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede lire 2
milioni" (nel rispetto però delle norme costituzionali e comunitarie e dei principi regolatori della materia), e
ai sensi dell'art. 114 c.p.c. "il giudice, sia in primo grado che in appello, decide il merito della causa secondo
equità quando esso riguarda diritti disponibili delle parti e queste gliene facciano concorde richiesta".
Non semplice e fonte di molte delicate indagini è l'individuare in cosa esattamente il giudizio di equità si
differenzia dal giudizio secondo diritto.
Mi sembra si possa concordare sulle seguenti proposizioni:
Il giudizio equitativo, non meno che il giudizio legalitario, appartiene al sistema della tutela giurisdizionale
nel quale l'attività del giudice, che la realizza, può essere provocata soltanto dalla pretesa circa la titolarità di
un diritto che si intende far valere, e, in altri termini, di una situazione di vantaggio che è garantita se
corrispondente ad una fattispecie astrattamente descritta da una disposizione di legge.
Ne segue che anche nel giudizio di equità il giudice dovrà fare ricorso alla qualificazione giuridica del diritto
fatto valere in giudizio.
Il giudizio di equità concerne solo l'individuazione della regola sostanziale alla cui stregua risolvere la
controversia, non le regole processuali che rimangono intatte.
Il ricorso al giudizio di equità trae la sua ragion d'essere dalla circostanza che "la legge, nel suo
ineliminabile processo di astrazione generalizzatrice, sacrifica uguaglianze sentite dalla coscienza comune
ovvero differenze del pari sentite", in quanto "la necessità dell'astrazione generalizzatrice che presiede alla
formazione della legge fa sì che il trattamento dei casi marginali pecchi per ingiustizia ovvero per iniquità".
Ne segue che l'equità si pone come la giustizia del caso singolo, nella misura in cui mira a recuperare la
peculiarità della fattispecie concreta pretermessa dalla norma generale ed astratta.
Nel giudizio di equità il distacco del giudice dalla regola legale deve fondarsi non sulla sua coscienza
soggettiva o individuale bensì su valori già emersi nella coscienza sociale, ancorché non tradotti o non
ancora tradotti in termini di legge scritta.
La sentenza pronunciata secondo equità deve essere motivata al pari della sentenza pronunciata secondo
diritto.
Le sentenze pronunciate secondo equità sono inappellabili; contro di esse è ammesso solo il ricorso per
Cassazione, oltre al regolamento di competenza, revocazione ordinaria e straordinaria e opposizione di
terzo.
Differente dall'equità c.d. sostitutiva cui si riferiscono gli artt. 113 e 114 c.p.c. è l'equità c.d. integrativa;
questa seconda specie di equità ricorre ogni qualvolta non l'intera determinazione della fattispecie, ma solo
una sua parte è rimessa al giudizio equitativo del giudice e ("se il danno non può essere provato nel suo
preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa").
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte Pagina 149 di 234
Stefano Civitelli Sezione Appunti
131. I requisiti di validità del processo in generale
Ai fini della valida instaurazione e del valido svolgimento del processo le leggi processuali di ogni tempo e
di ogni luogo richiedono una triplice serie di requisiti:
- che i singoli atti del processo siano posti in essere nel rispetto dei requisiti formali (i cosiddetti requisiti di
forma-contenuto) più o meno analiticamente indicati dalla legge;
- che gli atti si snodino secondo una sequenza temporale più o meno analiticamente predeterminata;
- che gli atti siano posti in essere da soggetti (parti e giudice) muniti di determinati requisiti soggettivi (i
cosiddetti requisiti extraformali: competenza, capacità di essere parte, capacità processuale, legittimazione
ad agire, integrità del contraddittorio, interesse ad agire, ecc…).
Dello svolgimento degli atti del processo secondo una sequenza temporale più o meno analiticamente
preordinata se già in gran parte detto.
L'analisi dovrà invece concentrarsi con una qualche ampiezza soprattutto sui requisiti formali e sui requisiti
extraformali con particolare riguardo alle conseguenze di un loro vizio o di una loro mancanza.
La disciplina dei requisiti formali ed extraformali prevede tutta una serie di strumenti diretti a depurare il
processo da eventuali vizi formali o extraformali allo scopo di consentirne la conclusione con una sentenza
di merito sul diritto fatto valere in giudizio dall'attore: è ciò perché scopo del processo di cognizione è il dire
chi ha ragione e chi ha torto di non concludersi con sentenze di mero rito.
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte Pagina 150 di 234
Stefano Civitelli Sezione Appunti
132. Premessa ai requisiti di forma-contenuto
Per comprendere la disciplina dei requisiti formali dei singoli atti processuali, è opportuno richiamare in via
principale alcuni capisaldi del processo, e cioè le nozioni di azione, di diritto di difesa, di giurisdizione.
L'azione non è altro se non un complesso di poteri processuali che si snodano all'interno di un procedimento
in contraddittorio.
Il diritto di difesa altro non è se non un complesso di poteri processuali (il cui esercizio non è mai doveroso,
ma che se esercitati lo devono essere nel rispetto di determinate forme e di determinati tempi) che si
snodano anche essi all'interno di un procedimento in contraddittorio.
La giurisdizione altro non è se non un complesso di poteri del giudice destinati anche essi a snodarsi in un
procedimento in contraddittorio.
Nell'ambito di questi atti di esercizio di poteri assumono particolare importanza:
- l'atto di inizio del procedimento; esso è costituito dal primo atto di esercizio del potere d'azione, dalla
proposizione della domanda con cui l'attore fa valere un diritto in giudizio e chiede tutela in ordine ad esso;
- l'atto o gli atti diretti a provocare e ad instaurare il contraddittorio;
- il provvedimento (sentenza) con cui il giudice definisce, chiude il procedimento.
I poteri dell'attore, del convenuto e del giudice sono tra loro strettamente coordinati, nel senso che l'esercizio
del potere di un soggetto è funzionale all'esercizio dei poteri degli altri soggetti.
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte Pagina 151 di 234
Stefano Civitelli Sezione Appunti
133. Lo scopo quale metro della validità e invalidità degli atti
processuali
I poteri processuali delle parti e del giudice si esercitano mediante il compimento di atti.
Non sussiste contrapposizione tra atti e poteri processuali: gli atti processuali non sono altro che atti di
esercizio di poteri processuali.
La legge individua (i requisiti extraformali e) i requisiti di forma-contenuto propri di ciascun atto
processuale.
Però, al di là delle singole specifiche previsioni di legge, l'elemento centrale quanto ai requisiti di forma-
contenuto è che il singolo atto sia munito dei requisiti indispensabili per il raggiungimento del suo scopo.
Leggiamo l'art. 156 c.p.c.:
- il primo comma, "non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del
processo, se la nullità non è comminata dalla legge", sembra denunciare una regola di rigido formalismo: ciò
che rileva è il rispetto o no delle forme richieste a pena di nullità;
- il secondo comma prevede che un atto, pur munito di tutti i requisiti formali richiesti a pena di nullità, è
ugualmente nullo quando "manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo".
Ecco emergere il requisito dello scopo come metro dell'invalidità ogni qualvolta il legislatore abbia previsto
per i singoli atti determinati requisiti formali senza specificare però se il requisito è richiesto a pena di
nullità;
- il terzo comma prevede che, nonostante la mancanza di un requisito formale richiesto a pena di nullità o
comunque indispensabile per lo scopo dell'atto, "la nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha
raggiunto lo scopo a cui è destinato": il concreto raggiungimento dello scopo determina sanatoria per
convalidazione oggettiva dell'atto.
Di qui la necessità di individuare con precisione cosa debba intendersi per scopo del singolo atto
processuale.
Lo scopo dei singoli atti processuali è individuabile nel consentire agli altri soggetti del processo di
esercitare quei poteri processuali che la norma processuale attribuisce loro nel segmento di procedimento
che segue il compimento del singolo atto di cui si tratta.
Per questo, ove nonostante la mancanza del requisito di forma-contenuto richiesto dalla legge a pena di
nullità la controparte è stata egualmente in grado di esercitare quel potere, l'art. 1563 c.p.c. dispone la
sanatoria per convalidazione oggettiva della nullità; e l’art. 157 c.p.c. dispone la sanatoria per convalida
azione soggettiva della nullità ove la parte, nel cui interesse era posto il requisito di forma-contenuto
mancante, rinuncia a far valere la nullità "nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di
esso".
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte Pagina 152 di 234
Stefano Civitelli Sezione Appunti
134. La convalidazione oggettiva, la convalidazione soggettiva e la
rinnovazione degli atti nulli
La disciplina delle nullità per vizi inerenti a requisiti di forma-contenuto è pertanto quanto di più
antiformalistico si possa immaginare.
Espressione diretta di questo principio sono:
- la convalidazione oggettiva ex art. 1563 c.p.c.: l'esercizio tempestivo ad opera della controparte del potere
cui era funzionale il requisito di forma mancante rende irrilevante il vizio che non potrà essere più
denunciato da alcuno;
- la convalidazione soggettiva ex art. 157 c.p.c.: ove il requisito di forma-contenuto sia funzionale
all'esercizio di un potere della controparte e non del giudice, l'unico soggetto legittimato a dolersi della
mancanza del requisito è la controparte (l'art. 157 c.p.
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