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AL CORSO

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1. INTRODUZIONE AL CORSO

LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA DEL 1975

La riforma del diritto di famiglia del 1975

Il corso, quest’anno, è prospettato in funzione di un anniversario: i 50 anni dall’entrata in vigore della legge 19

maggio del 1975 n. 171. Questa legge è stata votata in aula il 22 aprile in seguito a 9 anni di lunga riflessione.

Questa legge segna la riforma del diritto di famiglia. Tale legge ha segnato un’autentica svolta nel sistema

giuridico e, per i suoi contenuti, nella storia culturale e sociale del nostro paese. All’epoca, segnò una vera e

propria epoca nuova che si apriva. Dopo l’approvazione della legge, i giornali del 1975 scrissero “il pater familias

è stato mandato in pensione”. La riforma del 1975 fu vista come definitiva rottura con l’esperienza del diritto

romano. Il pater familias in quel momento usciva di scena. Furono gli organi di stampa dell’epoca a creare questa

assimilazione tra il modello codicistico e le fonti romane rispetto alle quali adesso si saltava il fosso. Fino a quel

momento, era sempre il pater familias ad essere al centro della scena. Quella del 1975 è stata dunque una

riforma fondamentale: ha segnato una svolta sul piano giuridico, sociale e culturale e ha aperto la strada a

sviluppi ulteriori che sarebbero intervenuti negli anni successivi nel senso del rispetto della dignità femminile e

dell’integrità e volontà fisica della donna. Si pensi alla riforma che avvenne nel 1981 (legge 5 agosto 1981 che

abolì il delitto per causa d’onore presente nel nostro codice penale). Questo delitto prevedeva che chi avesse

ucciso in flagranza di adulterio il coniuge preso da uno stato d’ira dovuto ad un forte sconvolgimento per il fatto

di reato (questa era la scriminante del fatto di reato), era punito con una pena edittale dai 3 a 7 anni. Diversa

era la normativa dell’omicidio. Questa previsione, dichiarata incostituzionale, è stata abolita nel 1981. Questa

legge segnò un ulteriore passo avanti a valle di un evento: quello che accadde a Franca Viola, una giovane ragazza

siciliana. A 17 anni fu violentata e subì lo stupro perché il suo stupratore voleva poi fare il matrimonio riparatore.

Viola denunciò il suo stupratore, cambiando per sempre la storia. Fu un gesto di un coraggio straordinario.

Questo caso scosse le coscienze di un paese intero diviso fra coloro che ritenevano che l’onore dovesse essere

salvato comunque con il matrimonio e coloro che coglievano tutta la portata che metteva il dramma di una

giovane vita in subordine rispetto al riparare l’onore offeso attraverso la perdita della verginità. Questo evento

scosse gli animi portando il legislatore a riflettere sulle proprie scelte. Questa riforma del 1975 fu salutata come

un superamento dei canoni patriarcali e del modello di famiglia patriarcale proiettato in senso assolutistico (che

era tipico del mondo antico). Ma in realtà questa riforma fece di più che sconfessare il modello patriarcale: attuò

il dettato costituzionale. La legge 19 maggio 1975 è stata adottata dopo 27 anni, 5 mesi e 19 giorni dall’entrata

in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948). Nel mentre, la Costituzione era rimasta lettera morta: non era

stata attuata. Per quale motivo la Costituzione era ancora da attuare?

L’ART. 29 DELLA COSTITUZIONE

L’art. 29 Cost.

La parte relativa al diritto di famiglia della Costituzione attese 27 anni prima di trovare attuazione non compiuta.

Ma qual è la parte della Costituzione che fino al 18 maggio 1975 non era stata ancora attuata? Qual è l’articolo

della Cost. che si misura sul tema della famiglia e dell’istituzione matrimoniale? Si tratta dell’art. 29 Cost.

Art. 29 della Costituzione

1. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Società naturale fondata sul matrimonio -> questa espressione è stata oggetto di moltissime riflessioni e di

non poche polemiche, anche da parte di ecclesiasticisti. Questi ultimi ritenevano che l’aggettivo “naturale”

intendesse rendere in termini universalistici un modello che invece doveva essere colto come un modello

legato ad una certa esperienza storica e ad un certo contesto culturale, e non come un modello dal respiro

universale e perennemente valido in ogni tempo e in ogni luogo. Il grosso delle “riserve” e perplessità

riguardava non questa parte dell’art. 29, ma il seguito della norma. Tutte le politiche sociali e le legislature

che si sono susseguite negli atti si sono fondate innanzitutto sul dettato costituzionale, che impegna la

Repubblica a riconoscere la famiglia e ad assecondarne lo sviluppo e a favorirne le condizioni materiali del

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lavoro, di tutela del ruolo femminile nel lavoro, nella filiazione proprio in ragione del fatto che la Repubblica

riconosce la famiglia come un soggetto titolare di diritti.

2. Il matrimonio è ordinato (=fondato) sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti

dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

Nel 1946, questo secondo comma scatenò un bel po’ di polemiche. Fino al 18 maggio 1975, l’uguaglianza fra

i codici non c’era: il nostro codice civile prevedeva l’autorità maritale e la patria potestà (non la potestà

genitoriale, oggi responsabilità genitoriale). Dal 1975 si parla di potestà genitoriale: i coniugi condividono e

danno la linea di indirizzo concordemente nello sviluppo e nell’educazione della prole. Ma il codice del 1945

diceva che i figli sono nella potestà del padre e che l’educazione è compito del padre e che la moglie segue

il marito dovunque questi decida di stabilire la residenza della famiglia. Ecco che questo secondo comma

dell’art. 29 in Assemblea costituente incontrò tante resistenze. Non ce lo volevano. Lo portano avanti le 21

donne presenti in Assemblea (su 565 membri). Perché ci si opponeva a questo comma? Perché il codice civile

del 1942 allora vigente diceva il contrario: era un codice civile che questa uguaglianza non la conosceva.

All’interno dell’Assemblea non c’era soltanto un fattore ideologico, ma c’era anche un fattore tecnico-

giuridico (chi conosceva il diritto sapeva perfettamente che questa disposizione entrava in rotta di collisione

con quanto scritto nel codice civile). Le voci che si opposero all’inserimento di questo comma erano voci

straordinariamente alte e competenti sul piano giuridico. Contro questo comma si pronuncia Piero

Calamandrei, secondo il quale la norma non si poteva inserire in Costituzione perché il modello familiare è

un modello che il legislatore ha disciplinato in termini organicistici: la famiglia ha una struttura organicistica

misurata su una struttura di vertice (il pater familias). Questa struttura misurava una funzione direttiva in

capo al pater familias e una diversa conformazione del rapporto tra i coniugi e tra i figli. Dunque, questo

dettato che si proponeva di inserire nella Costituzione entrava in rotta di collisione con un contesto civilistico

che diceva altro. Dopo questo intervento di Calamandrei, intervenne 1 delle 21 donne (Maria Maddalena

Rossi), la quale concordò con Calamandrei (il codice dava indicazioni diverse). La donna aggiunse però che

loro sono lì per dire ciò che è giusto dire, non per sollecitare qualcosa che dovrà essere fatto. Sono lì per

affermare quello che è giusto e meritevole di essere affermato, dando anche in qualche modo una apertura

per un domani che potrà esserci. Questo argomento fu vincente perché era l’argomento di fondo che aveva

usato Calamandrei. I lavori si svolsero prima nelle 3 sottocommissioni parallele, poi in plenaria (che mise

insieme le relazioni portate da ciascuna delle 3 sottocommissioni). L’argomento che aveva portato

Calamandrei è che la Costituzione deve essere presbite (=ha gli occhi buoni per guardare lontano; è pensata

per quello che ci sarà dopo). Altri sostenevano che questo impianto della Costituzione era troppo generico

e non sufficientemente adeguato al dato concreto (ci sarebbe voluto testo più minuto e secco su singole

disposizioni, senza tante enunciazioni di principio). Calamandrei sosteneva invece l’opportunità di un testo

costituzionale che fosse capace di dare respiro alle generazioni future e fosse capace di avviare processi di

riforme. Quanto detto dalla deputata Rossi, anche se in quel momento contrastava col dettato codicistico,

lanciava una prospettiva per il futuro: una Costituzione non deve limitarsi a normare l’oggi, ma segnare il

futuro di un Paese. E allora, alla fine, questo secondo comma fu inserito, ma con una clausola di chiusura

che dà il senso della durezza del dibattito in quel momento, che però lasciava impregiudicata la questione

del divorzio e dell’indissolubilità del matrimonio. Di qui l’espressione “salvi i limiti stabiliti dalla legge a

garanzia dell’unità familiare”. Cosa ci leggiamo in questa formula? Cosa dice l’art. 3 della Costituzione? Dice

che tutti i cittadini sono eguali (uguaglianza formale pronunciata in termini assoluti), ma i coniugi non è

detto. Questa riserva con cui si conclude l’art. 29 che dice che la legge può fissare limiti all’eguaglianza morale

e giuridica dei coniugi è una riserva che rende l’eguaglianza fra i coniugi non altrettanto assoluta. Questa

riserva di legge con cui si conclude l’art. 29 ci dice che questa uguaglianza fu accolta e formalizzata in

Costituzione, ma con una riserva possibile: è possibile che vengano fissati limiti a questa uguaglianza in nome

di un interesse superiore (quello dell’“unità familiare”). Marito e moglie possono non essere uguali, mentre

tutti gli altri cittadini sono uguali. Questo 2° comma ci dice quanto la storia ha segnato il nostro presente.

Questa riforma del 1975 rappresenta finalmente il momento attuativo di una norma che, salvi i limiti sempre

possibili, aveva avuto la forza di proclamare l’eguaglianza morale (prima) e giuridica (poi) dei coniugi. Qui dietro

c’è la storia che viene messa in discussione, storia che aveva affermato in termini culturali la prevalenza maschile.

La norma inizia a parlare di una eguaglianza morale prima ancora che giuridica: l’uguaglianza deve essere

riconosciuta prima dalla società (sulla morale lavora la società); solo dopo verrà riconosciuta dal legislatore.

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IL SIGNIFICATO DI “FAMIGLIA” PER PIETRO BONFANTE

Il significato del termine “famiglia”

Come possiamo impostare una riflessione introno ai modelli familiari e ai diritti delle persone coniugate

all’interno della famiglia romana (rapporti tra i coniugi, rapporti con i figli, relazioni personali e patrimoniali

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
100 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Gio_uli14 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Giunti Patrizia.