Negli ultimi cinquanta anni circa, è andata riconfigurandosi
l’elaborazione teorica del concetto di responsabilità
d’impresa che ha inevitabilmente portato sempre più
persone giuridiche ad affrontare e prendere una posizione
rispetto a questo tema.
Si tratta di un processo che può essere definito cugino del
processo che accompagna il marketing nella sua continua
evoluzione perché in effetti, analizzando più da vicino come
si è passati da una fase “to market” di completa attenzione
al prodotto e ai guadagni dell’impresa, ad una fase
“marketing for” in cui le aziende hanno cominciato a
ragionare sulla propria posizione all’interno di una comunità
e sulla loro sostenibilità a 360°, allo stesso modo la
responsabilità passa da un fronte prettamente interno ad
una attenzione orientata all’esterno con elementi etici e
sociali che le faranno prendere il nome di Corporate Social
Responsibility (CSR).
Il termine “responsabilità” racchiude in sé l’impegno
dell’impresa a rispondere sul piano etico di tutti i propri
comportamenti e risultati, e a stabilire una comunicazione
con gli stakeholder che sia in grado di costruire un rapporto
basato sulla fiducia e sullo scambio di idee per il benessere
comune. L’impresa sarà infatti responsabile verso tutti gli
stakeholder, ossia verso tutte le persone che hanno un interesse nei suoi confronti e sui quali si ripercuotono le sue
scelte.
A livello globale è quindi emersa la necessità di
un’attenzione e controllo sulle conseguenze dell’agire delle
organizzazioni sui vari gruppi interessati, avendo come
obiettivo ultimo quello di un approccio integrato ed
equilibrato tra prestazioni economiche, sociali ed
ambientali. A dimostrazione e a rafforzamento di questo
movimentarsi generale subentra nel 2001 il Libro Verde
della Commissione Europea, che dà una definizione più
puntuale della responsabilità sociale d’impresa ma,
soprattutto, diventa una dichiarata manovra di
implementazione di un qualcosa che fino ad allora era stato
una scelta opzionale dell’azienda e ora non solo raggiunge
un livello politico ma si propone come unica possibilità per
la sopravvivenza delle organizzazioni.
Con questa ricerca si indaga allora sull’effettiva esistenza e
pratica della responsabilità sociale d’impresa, soprattutto
nel territorio italiano, in modo da definire quale sia il
rapporto che al giorno d’oggi le imprese hanno con la
società. Inoltre, per dare man forte a questo studio, si
analizzerà l’impresa Rendimento Etico, una realtà italiana
nata nel 2019 che oggi si trova ai vertici del mercato
immobiliare e che, come intuibile dal suo nome, si distingue
per uno spiccato interesse nell’etica del profitto.
Si cercherà di porre le basi teoriche per analizzare a fondo
le questioni poste qui sopra, e si procederà con uno studio
e una analisi di dati e fatti che oggi attestano l’utilizzo delle
best practices e quindi della CSR.
Si parte dal racconto di come negli ultimi anni si sia creato
un nuovo panorama scientifico e culturale che costituisce lo
sfondo di un nuovo dialogo tra diritto, etica ed economia, e di come questo dialogo abbia una importanza particolare
nel campo dell’attività d’impresa.
Per quanto riguarda il diritto, verrà considerato che gli
ordinamenti giuridici statuali ormai non mostrano più
chiusure nei confronti dell’etica ma piuttosto essi stessi
spingono all’adozione di regole di condotta improntate a
standard etico-sociali e alla diffusione di codici etici. Un
esempio, come si vedrà, è costituito dalla Sarbanes-Oxley
Act, una legge adottata negli Stati Uniti nel 2002 al seguito
di scandali finanziari gravi che, una volta persa la fiducia
dei risparmiatori, ha incentivato l’adozione di best practices
da parte delle imprese.
Sarà solo in seguito ad avvenimenti di questo tipo infatti
che la situazione diventerà sempre più ramificata e seria,
tanto da far adottare agli stati o ai privati delle pratiche di
controllo come l’organismo di vigilanza sui mercati (SEC),
che si preoccupa di assicurare che le norme stabilite
all’interno di codici etici d’impresa vengano rispettate con
tanto di penale nel caso in cui vengano violate.
Sarà proprio da questo punto che andrà formandosi il
contesto ideale in cui le prassi ethically correct verranno
promosse all’interno del mondo economico, all’interno del
quale l’Italia non tarda ad essere presente, tant’è che, già
tra gli anni 2001-2003, verranno pubblicati alcuni decreti a
tutela delle organizzazioni attraverso i quali verrà
consentito alle società di sottrarsi a un giudizio di
responsabilità per atti illeciti compiuti dai loro dipendenti,
nei casi in cui le stesse società riescano a dimostrare di aver adottato un codice di comportamento utile a prevenire
illeciti del genere di quelli indicati all’interno del codice.
Sono questi dunque gli anni in cui si respira aria di
cambiamento tuttavia, il vero elemento di novità sarà che le
imprese si accorgeranno piano piano che l’adeguamento a
standard di comportamento etico-sociali e l’adesione a
programmi internazionali e comunitari promuoventi le best
practices, arreca:
-vantaggi economici,
-miglioramento dell’immagine e della reputazione
commerciale all’instaurazione di relazioni più durature e
intense con gli stakeholders,
-vantaggi fiscali e semplificazioni amministrative alla
riduzione del rischio di impresa,
-incrementi di valore per gli azionisti,
fino ad arrivare a poter essere “premiati” dalla Borsa con
una quotazione più alta.
Questo fenomeno desta stupore se si pensa che fino a
poco tempo fa si era convinti che il mercato costituisse la
dimensione esclusiva dell’avere e che l’impresa si ponesse
come il più solido baluardo del principio plutocratico. Invece
ci si trova con le imprese assorbite nel dilemma dell’essere
e anzi, nell’ancor più problematica dimensione del dover
essere.
La diffusione dell’etica nasce quindi dall’apparire se non
l’unica fonte, sicuramente la più idonea e plausibile al fine
di proporre codici di valori comuni, decaloghi di prassi
condivise, complessi di regole che non scaturiscono solo dalla logica dei rapporti di forza o dei compromessi di
potere.
Al giorno d’oggi Anche organizzazioni internazionali non
governative, come Amnesty International o Pax Christi
International, e istituzioni internazionali che rappresentano
governi nazionali, come OCSE o il Fondo Monetario
Internazionale o anche la Banca Mondiale, suggeriscono
l’adozione e il rispetto di best practices.
L’attenzione ricadrà anche su:
critiche riguardanti la diffusione dell’etica, che il più delle
volte lamentano un aggravio dei costi di produzione, con
conseguente innalzamento dei prezzi e, quindi, inevitabili
ripercussioni negative per i consumatori;
soluzioni a perplessità riguardanti la natura complessa e
multivaloriale che contraddistingue il mercato;
modalità con cui si realizza l’incontro tra gli ordinamenti
giuridici statuali e le forme di self regulation.
Essere socialmente responsabili significa andare oltre il
semplice rispetto della normativa vigente, investendo di più
nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con gli
stakeholder, e ciò si traduce in una politica aziendale che
sappia conciliare gli obiettivi economici con gli obiettivi
sociali e ambientali. Si vedrà come la CSR raggiungerà una
valenza politica solamente a partire dagli anni 2000 con il
Summit di Lisbona, nel quale verrà inserita negli obiettivi strategici che l’Unione Europea si porrà di perseguire
attraverso un nuovo orientamento che verrà stabilito con il
Libro Verde della Commissione Europea, volto alla
formazione di una Europa più competitiva, socialmente
coesa e capace di una strategia di sviluppo sostenibile.
Da qui andrà creandosi una sorta di alleanza europea in cui
tutti gli stati partecipanti si impegneranno alla promozione
delle best practices, con particolare distinzione di
Danimarca e Regno Unito, sino ad arrivare al primo
progetto lanciato dall’Europa, ovvero il Global Compact,
con il quale si richiedeva una ’adesione a dieci principi
universali che riguardano la tutela del lavoro, dei diritti
umani e dell’ambiente.
Emergerà la consapevolezza che la responsabilità sociale
non pregiudica affatto il perseguimento del profitto da parte
delle imprese ma anzi, al pari della gestione della qualità,
questo non sarà più considerato inconciliabile con la
definizione di nuove strategie commerciali che assumano la
responsabilità sociale che invece saranno viste come un
vero e proprio investimento strategico piuttosto che un
mero costo.
Al contrario, si vedrà come il mancato utilizzo di queste
pratiche potrebbe rivelarsi addirittura dannoso per le
imprese, e si ricaverà che la responsabilità sociale
dovrebbe essere integrata nelle strategie di gestione
aziendale estendendosi a tutti gli ambiti di tale gestione:
aspetti finanziari, produttivi, marketing, risorse umane e
ogni altro aspetto della politica aziendale.
Si farà peso sul significato nuovo di sostenibilità, intesa
come caratteristica che rende “durevoli”, al fine di educare
le imprese a mantenersi nel tempo e si porrà l’attenzione
sulla gerarchia che lega le tre variabili ambiente, mercato e società che ormai viene trasfigurata in una sinergia tra
queste che punta a far capire come il mondo, economico e
non, sia un ecosistema e tutti gli interessi devono
coesistere ed essere trattati con la giusta attenzione,
nessuno deve essere escluso.
Essere insostenibili vuol dire non-essere, e quindi non è
un’opzione.
Per concludere la narrazione del contesto socio-culturale
che ha cambiato il mondo economico negli ultimi 50, si
introdurrà l’Agenda 2030, un’operazione globale lanciata
nel 2015 per lo sviluppo sostenibile che, con i suoi 17
Obiettivi (Sustainable Development Goals- SDGs), raffina e
sostituisce i precedenti Millennium Development Goals di
inizio anni 2000 e sarà utile ai fini della ricerca per
collegarsi alle funzioni svolte da Rendimento Etico, che
sarà l’argomento principale del secondo e terzo c*apitolo.
Infine, si tireranno le somme attraverso dati oggettivi e
opinioni e si chiuderà un cerchio di ricerca che vuole essere
strutturalmente affine ai modelli circolari delle nuove
imprese, con l’intenzione di dare una interpretazione
originale, coesa e coerente degli argomenti trattati.
...continua