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JOHN DEWEY
JOHN DEWEY è stato un filosofo statunitense vissuto dal 1859 al 1952. Egli comincia
a lavorare attorno al 1890 come insegnante, in seguito diventa preside della Facoltà di
Filosofia, Psicologia e Pedagogia dell’Università di Chicago. Questa denominazione
della facoltà pone la psicologia come disciplina che stesse nascendo in quel momento:
questa era una grande avanguardia.
La psicologia è una scienza positiva. Il positivismo, movimento culturale e
scientifico europeo, si sviluppa alla fine del 1800. La psicologia è una delle scienze che
nasce con il positivismo, ovvero con l’idea della volontà di studiare i fenomeni a livello
scientifico. WUNDT è uno degli iniziatori della psicologia: egli comincia gli studi
verso gli anni Sessanta del 1800. La psicologia era una disciplina che stava nascendo
in quel preciso momento.
E’ poco dopo la laurea in filosofia che egli inizia ad interessarsi di problemi pedagogici,
Il mio credo pedagogico
a tal punto che scrisse dei libri importanti, come nel 1897,
volume dove esponeva le sue teorie principali, cioè il tipo di scuola che avrebbe
idealmente voluto per il nuovo secolo.
Scuola e società.
Pochi anni dopo, nel 1899, pubblica La scuola nel 1800 infatti era un
modello autoritario, basato unicamente sull’insegnamento, dimenticando totalmente
l’apprendimento: questo rappresentava infatti lo specchio della società del tempo.
Con questo volume, Dewey afferma che se si desidera una società democratica, la
scuola deve essere democratica. Egli cercò di praticare queste sue idee fondando
una scuola elementare dentro l’università, per sperimentare un nuovo modello
pedagogico. Per i primi del Novecento, queste sperimentazioni diedero fastidio a molti,
in quanto scardinassero il modo di esistere della società, e così fu costretto ad
andarsene. Ottenne infatti il posto alla Columbia University.
Come pensiamo, Democrazia ed educazione,
Altri libri importanti: del 1910, e del
1916. Quest’ultimo in particolare è un affondo maggiore su quello scritto
precedentemente, dove si trattava un’idea nuova di società che partisse dalla scuola e
quindi dall’educazione: se non si forma il bambino in senso democratico, non si
svilupperà una società democratica. Il bambino infatti prima non valeva nulla: doveva
stare zitto e, come una scatola vuota, essere riempito. Così come a scuola, anche in
casa. Ecco che Dewey ricorda in questo libro che nel suo momento storico il bambino
avesse un ruolo passivo a scuola: questo lo avrebbe reso quindi passivo nella
società. Il bambino infatti deve avere un ruolo attivo nei processi formativi: ecco
che questa operazione si definisce ATTIVISMO. Il bambino quindi è chiamato a
partecipare alla costruzione del sapere, ovviamente da bambino, ovvero egli può
imparare facendo. L’importanza del fare nelle fasi di apprendimento implicava
innanzitutto la necessità di ambienti educativi non autoritari e in grado di
sollecitare la partecipazione diretta del bambino a partire dai suoi bisogni, dalle sue
motivazioni, dai suoi interessi: una scuola quindi incentrata sul BAMBINO, non più sul
docente. Questo fare si crea e modella attraverso i laboratori, rendendo quindi il
bambino consapevole del sapere che ci sia dietro il fare ma in un modo più vicino e
adatto a lui. Su questo argomento si concentrerà la sua sperimentazione che lo
porterà a trasferirsi in Colombia.
Il fare deweyano purtroppo è stato per molto tempo travisato: infatti per “fare
laboratorio” si è sempre inteso il “fare con le mani”, quindi manipolatorio. Dewey però
lo intende in un altro senso. Egli parte dal concetto di pensiero o riflessione, che
accosta come sinonimi in quanto pensare è riflettere.
“Il pensiero è il discernimento della relazione fra quel che cerchiamo di fare
e quel che succede in conseguenza, quindi fra i fatti e le conseguenze”.
Il discernimento ci porta ad analizzare e quindi a COMPRENDERE la relazione che
intende Dewey, che si fonda su diversi processi di pensiero: prima bisogna capire e
analizzare i fatti, poi le conseguenze e infine si mettono in relazione fra loro.
“Nessuna esperienza, che abbia un significato, è possibile senza un qualche
elemento di pensiero”.
Il pensiero quindi dà significato all’esperienza. La vita è un continuo susseguirsi di
esperienze: però non tutte hanno un significato. Quando noi pensiamo davvero allora
tutto assume un senso. Infatti, se l’esperienza arriva al pensiero, essa assume un
significato positivo o negativo. Senza quindi nessun tipo di formazione, le
esperienze che facciamo diventano significative quando arrivano alla riflessione, cioè
al pensiero.
A volte non ci accorgiamo che per caso arriviamo alla soluzione, pensando quindi che
il metodo “per tentativi ed errori” sia quello giusto. Ma così inevitabilmente non ci
abituiamo a pensare, perché “per caso caschiamo in qualcosa che va bene e allora
adottiamo quel metodo come una regola approssimativa per i procedimenti seguenti”.
Dewey definisce questo come primo livello, in seguito poi approfondisce il suo
concetto di esperienza:
“Ci sono esperienze che vanno di poco oltre questo processo di provare e
stare a vedere gli effetti. Si scorge la connessione tra un certo modo di agire e
come
una determinata conseguenza, ma non si vede il della connessione, non
se ne scorgono i dettagli, mancano degli anelli alla catena”.
Quando perciò si comincia a pensare, si inizia a scorgere una connessione tra fatti e
conseguenze (secondo livello, comprensione rudimentale). Vi è poi un terzo livello,
dove si riflette sul COME della connessione, il perché della connessione
(comprensione profonda, intellettuale).
“Nella scoperta delle connessioni dettagliate delle nostre attività e di ciò che
avviene in conseguenza, il contenuto di pensiero implicito nel provare “a
tentoni” è qui svolto: diviene quantitativamente maggiore e ha in proporzione
un valore ben differente.”
Quando si scorgono le connessioni dettagliate, quindi il come delle connessioni, c’è
molto più pensiero che non nel provare “a tentoni”. Non solo: dire “a tentoni” intende
esprimere un concetto quantitativo, ma Dewey dice addirittura che abbia un valore
differente l’andare a ricercare a fondo, perché esprime un concetto qualitativo.
“Perciò cambia la qualità dell’esperienza.”
Se il pensiero è maggiore qualitativamente, oltre che quantitativamente, ecco che
cambia la qualità dell’esperienza. Quanto maggiore è la qualità di riflessione
sull’esperienza, tanto più cambia l’esperienza composta nella propria mente come
riflessione.
“Il cambiamento è così significativo che possiamo chiamare questo tipo di
riflessivo,
esperienza cioè riflessivo eminentemente”.
Vivere è esperire, ma noi non ci soffermiamo solitamente su questi aspetti. Solo
quando c’è la riflessione, l’esperienza che si compone nella nostra mente in quanto
riflessione, diventa esperienza riflessiva. Quanto più è raffinato il discernimento tra
fatti e conseguenze, tanto più quella esperienza riflessiva (riflessione sull’esperienza
concreta fatta) diventa significativa, e quindi formativa. Solo così anche le esperienze
negative diventano formative e perciò positive, perché si arriva alla radice del
problema, per risolverlo definitivamente e non ricadere più negli stessi errori.
Traducendo nell’assetto scolastico dell’insegnante, il docente deve scegliere i
contenuti, come trasmetterli, puntando al perché, cioè per determinare esperienze
di apprendimento che siano riflessive e dunque significative, e dunque altamente
formative.
“Il coltivare deliberatamente questa fase di pensiero, costituisce il pensare
come esperienza a sé”.
Coltivare vuol dire partire da un seme per arrivare a un frutto, quindi avviare un
processo. Prima si ara il terreno, si semina, si innaffia, si controlla e in caso si mette il
concime, poi sperando nella buona stagione, si raccoglie. Esattamente nello stesso
modo, si chiedono i prerequisiti, poi si spiega il programma e i concetti fondamentali
del corso, si svolgono le lezioni con anche approfondimenti se necessario, poi lo
studente matura il sapere e si raccolgono i frutti.
In tutto questo processo fatto di azioni e pensieri intenzionali, pensare è esperienza.
Il primo fare è il fare cognitivo. La vera esperienza è nel pensiero. Coltivare
deliberatamente questo tipo di pensiero significa formare alle esperienze riflessive,
che non sono fare manipolatorio ma pensare. Dunque il pensiero è la PRIMA FORMA
DI ESPERIENZA. La pratica c’è ma nel pensiero, successivamente si esternalizza.
“Pensare è, in altre parole, il tentativo intenzionale di scoprire delle connessioni
specifiche fra qualcosa che facciamo e le conseguenze che ne risultano, in
modo che le due cose diventino continue”.
E’ nella continuità che si devono comporre fatti e conseguenze. Essa è il pensiero, il
pensiero rende l’esperienza riflessiva ed questa, in quanto riflessiva, cambia la
persona che la vive, formandola.
“Pensare equivale pertanto a un cosciente estrarre l’elemento intelligente della
nostra esperienza.”
Il pensiero riflessivo è un pensiero intelligente. Pensare equivale ad un consapevole
estrarre l’elemento intelligente dell’esperienza, cioè capisco l’esperienza stessa.
In conclusione, per Dewey il bambino è al centro del processo di istruzione,
educazione e formazione. Il bambino che impara facendo è il bambino attivo, messo
al centro di questo processo tramite la scuola dei laboratori, dove e egli apprende
solo attraverso esperienza significative. Essa quindi non è esperienza in sé ma
esperienza riflessiva. Il fare è integrato al conoscere, perché sviluppa un pensiero
intelligente. LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT
La PSICOLOGIA nasce come scienza dal clima culturale del positivismo,
movimento culturale che si incentrava sullo sviluppo delle scienze positive, il nostro
attuale ramo tecnico-scientifico (studi di biologia, chimica, fisica, ecc.). Esso nasce
prima di tutto come critica al romanticismo, che metteva al centro il sentimento, e
attuava quindi a suo favore un recupero della ragione e degli studi oggettivi. Con
questo nuovo sguardo sul mondo, la prospettiva positivistica apre il campo al
progresso tecnico-sci