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Appunti di Diritto privato

Esame Diritto privato

Facoltà Economia

Tesi
Questo elaborato si focalizza sulle obbligazioni solidali, attive e passive, cosi come disciplinate dagli articoli 1292-1313 del codice civile, esaminandone i diversi aspetti. Nello specifico, sono stati poi approfonditi i concetti di adempimento e inadempimento, le cause di estinzione diverse dall’adempimento, il regresso e i profili processuali. Inoltre, si sono volute evidenziare anche specifiche ipotesi di obbligazioni solidali, analizzandone eventuali differenze o similitudini.
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Tesi dal titolo I contratti di sponsorizzazione tra esigenze di mercato e tutela della persona per la cattedra di Diritto privato del professor Criscuolo e della professoressa Lasso. Gli argomenti trattati sono i seguenti: la sponsorizzazione, la sponsorizzazione sportiva, la sponsorizzazione e i diritti della personalità, le conclusioni.
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Esame Diritto di famiglia

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. F. Macario

Università Università degli Studi Roma Tre

Tesi
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Tesi per la facoltà di Giurisprudenza, dell'Università degli Studi di Roma3 - Uniroma3, elaborata dall’autore nell’ambito del corso di Diritto di famiglia tenuto dal professore Macario dal titolo La disciplina del c.d. "divorzio breve". Scarica il file in formato PDF!
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Tesi per la facoltà di Giurisprudenza, dell'università degli Studi di Torino - Unito, elaborata dall’autore nell’ambito del corso di {esmae} tenuto dal professore Caterina dal titolo Disciplina giuridica del mutamento di sesso. Scarica il file in formato PDF!
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Il tema che affronterò in questo elaborato è quello dei segreti nell’affidamento familiare, con particolare riguardo alle responsabilità che l’assistente sociale ha il dovere di assumere all’interno del rapporto fiduciario con l’utenza. Il tema dei segreti nell’affidamento familiare assume particolare rilevanza e interesse, poiché a volte l’azione professionale può risultare in contrapposizione per ciò che concerne l’obbligo del segreto professionale a cui sono tenuti gli assistenti sociali. L’assistente sociale, infatti, non è vincolato al segreto professionale nel caso in cui sappia fatti o cose che possano recare grave danno e pregiudizio al minore, questo perché il diritto del minorenne a essere tutelato è un diritto primario rispetto a quello di riservatezza del genitore. Il compito dell’assistente sociale è di fornire interventi di tutela in equilibrio e in interazione tra i soggetti coinvolti, nel caso dell’affidamento familiare i soggetti interessati sono il minore, la famiglia d’origine e la famiglia affidataria. Penso che quest’argomento sia molto importante da affrontare in quanto nel lavoro con i minori non sempre è facile conciliare il diritto alla riservatezza degli adulti e dei minori coinvolti con il principio alla trasparenza, il quale comporta il dovere d’informazione verso i soggetti coinvolti. L’utente, infatti, può accedere alla propria cartella personale al fine di favorire un rapporto fiduciario e rendere conoscibili e trasparenti gli atti agli interessati; tale diritto è disciplinato dalla Legge del 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. L’assistente sociale, com’è noto, è un professionista che opera al fine di prevenire e risolvere situazioni di disagio e di bisogno di singole persone, di nuclei familiari. “Egli svolge la propria attività aiutando gli utenti nell’uso personale e sociale delle risorse messe a disposizione dalla comunità, promuovendo l’autonomia e la responsabilità delle persone” . L’assistente sociale opera con autonomia tecnico-professionale in tutte le fasi dell’intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero; la professione di assistente sociale può essere esercitata in forma autonoma, dipendente da enti pubblici e privati o libero – professionale. La professione è disciplinata dal Codice deontologico, approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nel 2002, il quale è costituito dai principi e dalle regole che gli assistenti sociali devono osservare nell’esercizio della professione. La natura fiduciaria della relazione tra l’assistente sociale e l’utenza comporta l’obbligo di trattare con riservatezza e segreto professionale, durante ogni atto professionale, le informazioni e i dati riguardanti gli stessi. La riservatezza consiste nella protezione dei dati raccolti ed è sancita dal Decreto legislativo del 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”), comunemente chiamato Codice della privacy. Il segreto professionale è l’obbligo a non rivelare le informazioni apprese all’interno del rapporto fiduciario; quest’obbligo si estende, oltre che alle informazioni acquisite nella relazione professionale, anche alla documentazione dell’assistente sociale. Il segreto professionale è sancito dal Codice deontologico al Titolo II Capo III e dalla Legge del 3 aprile 2001, n. 119 “Disposizioni concernenti l’obbligo del segreto professionale per gli assistenti sociali”. Gli assistenti sociali dipendenti di un servizio socio - assistenziale sono inoltre vincolati al segreto d’ufficio. La legge, infatti, vieta a ogni funzionario pubblico di divulgare notizie delle quali sia venuto a conoscenza per ragioni di ufficio, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso ai documenti amministrativi (art. 28 della Legge 241/1990). La legge prevede dunque che non si possa trasmettere a chi non ne abbia diritto notizie d’ufficio che devono rimanere segrete, la cui divulgazione oltre ad essere sanzionata penalmente è anche un’infrazione disciplinare. Ne consegue che gli assistenti sociali che sono dipendenti di un ente pubblico sono tenuti al segreto professionale ed al segreto d’ufficio. Il presente lavoro si articola in tre parti: anzitutto effettuerò un’analisi del segreto professionale e della riservatezza all’interno dell’affidamento familiare, prendendo in considerazione il segreto professionale, il segreto d’ufficio e la riservatezza nel rapporto professionale, con particolare attenzione alla tutela del minore, ma anche ai diritti dei genitori. Il segreto professionale e il segreto d’ufficio sono esaminati facendo riferimento al Codice deontologico, il quale disciplina e definisce la professione dell’assistente sociale. La riservatezza è esaminata facendo costante riferimento al Codice della privacy. Particolare attenzione sarà dedicata sulla gestione della cartella sociale dell’utente, poiché è rilevante la distinzione e la scelta delle informazioni da inserire. Nel secondo capitolo analizzerò la L. n. 184/1983 (nel testo modificata dalla Legge n. 149/2001), in modo da comprendere l’attività dei Servizi Sociali inoltre, si farà un’analisi dell’esperienza del Comune di Torino per quanto riguarda l’istituto dell’affidamento familiare, al fine di analizzare gli aspetti relativi al percorso di affidamento svolto dalla coppia con i servizi territoriali. Nel terzo capitolo si pone l’attenzione sui segreti, facendo riferimento alla relazione che si crea tra i servizi e i soggetti coinvolti, particolare attenzione è rivolta alla difficoltà dell’operatore di gestire il rapporto con le famiglie affidatarie, in merito alla diffusione d’informazioni che si riferiscono al minore in affidamento ed al suo nucleo familiare. Questa difficoltà può nascere dalla richiesta degli affidatari di avere più informazioni, rivendicando autonomia e ponendosi su un piano di reciprocità e parità rispetto all’assistente sociale titolare del caso in carico.
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La questione relativa alla privacy è stata legata, sin dall’origine, ai c.d. diritti della personalità e alle ricostruzioni teoriche e applicative riguardanti la persona; in considerazione di ciò, si può affermare che la normativa in materia di trattamento dei dati personali è diventata oggi, uno degli strumenti più importanti di tutela della persona. Per le regioni appena esposte, mediante la prima parte dell’elaborato si è cercato di esaminare, dapprima, i fondamenti che hanno permesso di far sì che la persona acquisisse rilevanza giuridica all’interno dell’ordinamento e, in secondo luogo, i concetti di riservatezza e privacy alla stregua dei dettami nazionali e comunitari in tema. Per lungo tempo, la Direttiva 95/46/CE del 24 Ottobre 1995 è stata il principale strumento giuridico dell’UE in ambito di protezione dei dati, allo scopo di armonizzare le disposizioni in materia e garantire un duplice interesse: il "libero flusso" dei dati - free flow of data - e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini comunitari. Con l’avvento del D. Lgs. 196/2003 poi il diritto alla riservatezza è divenuto un diritto differente rispetto a quello sulla protezione dei dati, poiché non riguarda unicamente informazioni sulla vita privata, ma più in generale, ricomprende ogni informazione, anche se non riservata, relativa a un individuo. Attraverso il suo testo il legislatore ha infatti teso lo sguardo verso il traffico dei dati, proponendosi come obiettivo quello di ottenere un generale bilanciamento di interessi tra i due soggetti principali del trattamento: il titolare – colui che ha interesse nel ricevere e nel trattare i dati degli individui, e l'interessato - colui che mette a disposizione del titolare i propri dati. Ma la vera novità, di recente introduzione, è il Regolamento dell’Unione Europea n. 2016/679 (meglio noto come GDPR), la cui materia è la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali di queste. Trattasi di una reazione alle continue minacce e provocazioni poste dagli sviluppi informatici-tecnologici e avvertite all’interno dell’intero territorio dell’Unione Europea. Oggetto, dunque del Regolamento è il dato personale ossia lo strumento giuridico mediante il quale i legislatori, sia nazionali che comunitari, garantiscono e proteggono l’insieme dei dati inerenti all’identità personale. La definizione viene resa dall’art. 4, paragrafo 1 n. 1 del Regolamento (UE) 2016/679, ai sensi del quale il dato personale è rappresentato da: “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile […]” ove con il termine “identificazione” si intende la possibilità di scernere un soggetto da qualsiasi altro, mentre con “identificabile” la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, attraverso il riferimento ad altri elementi. A comporre la macro-categoria vi sono, dunque, oltre ai dati “identificativi” di cui sopra, i dati sensibili o particolari e i dati giudiziari. I primi, che nel nuovo Regolamento europeo assumono la qualità di “dati soggetti a trattamento speciale” sono rappresentati da tutte le informazioni idonee a rivelare l'origine razziale o etnica, le convinzioni religiose-filosofiche, le opinioni politiche, l'appartenenza sindacale, la vita e l’orientamento sessuale, di uno specifico individuo. L’art. 9, par. 1 GDRP inserisce nella nozione anche i dati biometrici, genetici e sulla salute. La norma stessa vieta il trattamento dei c.d. dati sensibili, ma vi è tutta una serie di esenzioni che ne consente il trattamento quali ad esempio il consenso esplicito dell’interessato per uno o più finalità determinate, il fine di esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria etc. In ultimo, i dati c.d. “giudiziari” sono atti a rivelare l’esistenza di provvedimenti penali soggetti a iscrizione nel casellario giudiziale (es. liberazione condizionale, misure alternative alla detenzione, provvedimenti di condanna definitivi), la qualità di indagato ovvero la qualità di imputato. Il trattamento di questo tipo di dati, ai sensi dell’art. 10 GDPR “deve avvenire soltanto sotto il controllo dell’autorità pubblica e se il trattamento è autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati. […]”. L’attività di videosorveglianza e le registrazioni fonografiche rientrano oggi tra le tematiche più salienti in relazione alla Privacy e alla protezione dei dati personali, considerata la natura potenzialmente invasiva dei mezzi utilizzati, oltre alla quantità di informazioni private che raccolgono e che, con estrema facilità, potrebbero quindi essere divulgate senza alcuna autorizzazione né consapevolezza da parte del soggetto interessato. Ma apparentemente in opposizione all’imprescindibile diritto alla Privacy, come non intromissione nella propria “sfera privata”, sussistono ed esistono diritti non meno importanti di questo, quali possono essere il diritto alla sicurezza, alla prevenzione dei reati e il diritto alla difesa, che trovano la loro garanzia anche nell’utilizzo degli strumenti appena sopra menzionati. Quale, tra i diritti che entrano in conflitto, ebbene, risulta essere più importante rispetto all’altro? In questo elaborato, ci occuperemo di rispondere al quesito appena posto, analizzando come le esigenze di libertà e riservatezza, siano state contemperate con le altre, or ora richiamate, facoltà. Da subito, probabilmente sfatando un convincimento comune, è possibile affermare che la registrazione di un colloquio, anche se avvenuta all’insaputa di uno o più interlocutori, non dà luogo a una lesione della privacy, né costituisce fattispecie di reato in quanto, seppure ignaro di essere registrato, il soggetto - o i soggetti – presente ha piena consapevolezza di parlare con un altro individuo. Invero, una conversazione intercorsa tra soggetti privati che si sia legittimamente e liberamente esaurita, di norma, viene acquisita in tutte le sue sfumatura dagli interlocutori e da chi vi ha manifestamente assistito, con l’effetto che ognuno dei partecipanti, attivi o passivi che siano, ne potrà eventualmente disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo, sia questo civile (ex art. 2712 cc) o penale (ex art. 234 c.p.p.). Non sarà dunque possibile invocare il diritto alla privacy al fine di sostenere l’illegittimità della prova documentale, in quanto la riservatezza e ogni sua sfumatura non operano qualora sia lo stesso titolare del diritto tutelato a rinunciarvi, come nel caso in cui si tenga conversazione con altri individui. La registrazione allora, diviene lo strumento attraverso il quale vengono fissate, su una memoria elettronica, le notizie che sono già “nostre” poiché udite e apprese dall’altro o dagli altri partecipanti alla conversazione. In sintesi, l’individuo privato, spontaneo autore della registrazione, deve fisicamente essere presente nel momento in cui la conversazione è oggetto di memorizzazione audio. Questi non può, dunque, limitarsi a lasciare in uno o più ambienti, un dispositivo di registrazione attivo, allontanandosi da questo/i; andandosene, infatti, si genererebbe negli altri l’illusione di essere liberi di esprimersi, con la contestuale presunzione di non essere sottoposti ad alcun tipo di controllo, giungendo a rivelare cose che altrimenti non avrebbero rivelato. Allo stesso modo, anche se il soggetto che registra è presente, e al fine di non ricadere nell’ipotesi di cui all’art. 615 bis del codice penale rubricato “Interferenze illecite nella vita privata”, la legge vieta la registrazione di un dialogo, avvenuta all’insaputa del soggetto interessato da questa, nei luoghi specificati al comma 1, dell’art. 614 del codice penale. Secondo questa norma, che disciplina il reato di violazione di domicilio, questo si concretizza quando un soggetto estraneo “si introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si introduce clandestinamente o con l’inganno”. Se, come appena chiarito, è lecito registrare una conversazione, anche avvenuta telefonicamente – con tutti i limiti descritti in precedenza - non si può dire lo stesso circa la divulgazione del suo contenuto. Invero, assunto un file audio, è sancito il divieto di farlo ascoltare a terzi estranei e non presenti, sia che si tratti di destinatari in numero determinato (rivelazione) sia, tanto più, che si tratti di un numero indeterminato di questi (diffusione). La memorizzazione fonica del colloquio non può nemmeno, dunque, essere oggetto di pubblicazione su siti internet, social network o applicazioni in genere; tuttavia, se effettuata conformemente alla legge, la registrazione fonografica potrà legittimamente essere divulgata, solo in presenza, alternativamente, di determinati presupposti e segnatamente: quando vi sia il consenso di tutti gli interessati ovvero qualora avvenga con il fine di difendere un diritto, proprio o altrui, in ambito processuale o presso una qualsiasi autorità preposta alla tutela dei diritti del cittadino. Secondo recenti orientamenti giurisprudenziali, la punibilità, infine, rimane esclusa anche nel caso in cui la diffusione corrisponda a un'obiettiva esigenza di cronaca. La disciplina generale, analizzata sino a questo momento, è stata accolta espressamente anche in ambito giuslavoristico. Forse per la sua natura maggiormente irruenta e per la sua tendenza ad irrompere, senza avvisi, nella vita privata dei cittadini, la videosorveglianza, sia essa ad uso privato ovvero ad uso pubblico, è subordinata a direttive ben più circoscritte, volte, in particolare, a tutelare la privacy e le libertà fondamentali degli individui. Alla luce di quanto disposto dal Regolamento europeo si può affermare che le semplici immagini che riproducono gli individui non sono classificabili, di per sé, come dati particolari ai sensi dell’art. 9 GDPR, ma identificabili come meri dati personali, poiché, anche se riguardanti il volto, non rientrano nel concetto di dato biometrico, tutelato dallo stesso articolo. Ciò premesso, occorre però aprire una breve parentesi, giacché spesso alcune immagini sono di fatto idonee a rivelare uno o più elementi di diversificazione che qualificano come sensibile un dato personale pertanto, vale la pena di affermare che le immagini possono essere identificate in “dati potenzialmente sensibili”; verrà considerata sensibile, a titolo esemplificativo, l’immagine di un individuo che indossa un particolare copricapo dalla quale si desume l’orientamento religioso. Anche l’immagine del volto (o come richiamata dal GDPR, “l’immagine facciale”) oggi, sulla base della sempre più penetrante evoluzione tecnologica delle telecamere face detection, è suscettibile di divenire dato sensibile: ciò qualora sia oggetto di un determinato trattamento tecnico, attraverso cui vengono rilevati una serie di parametri biometrici, che lo trasforma in un mezzo con il quale è possibile identificare automaticamente, ma soprattutto univocamente, una persona. Tenuto dunque conto che i normali impianti di videosorveglianza, non possono cancellare quei tratti distintivi che rendono sensibili le immagini, se ne deduce che, anche se non tutte le immagini si profilano quali dati sensibili, in ogni caso, installare telecamere significa attuare tutte le misure minime di sicurezza attese per il trattamento elettronico dei dati sensibili, dal momento che le videoriprese sono potenzialmente idonee a rivelare aspetti discriminanti di un soggetto. In tal senso è andata una recente disposizione del Garante (parere n. DREP/AC/113990 del 7 Marzo 2017) nella quale vengono fornite precise indicazioni in materia di videosorveglianza, determinando alcuni obblighi diretti a coloro che utilizzano questo tipo di impianti. Il citato provvedimento stabilisce che, l’installazione di sistemi di videosorveglianza presso la propria abitazione, non prevede alcuna autorizzazione da parte della polizia o del proprio condominio, purché le telecamere non riprendano spazi comuni ovvero luoghi di passaggio pubblico. Dunque, nell’utilizzo degli strumenti volti a inquadrare spazi interni o esterni, con o senza registrazione delle immagini, il trattamento, ai sensi del provvedimento n. DREP/AC/113990, deve essere eseguito con modalità tali da delimitare l’angolo della visuale allo spazio effettivamente da proteggere e “comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva […] escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazioni di immagini, relativa ad aree comuni […] ovvero ad ambiti antistanti l’abitazione di altri condomini”. L’utilizzo di apparecchiature, inoltre, è subordinato alla presenza di determinate circostanze che ne giustifichino l’installazione quali la protezione degli individui ovvero della proprietà. Particolare rilievo assume anche il Provvedimento in materia di videosorveglianza del Garante, datato 8 Aprile 2010 la cui ratio è volta a conciliare le libertà dei cittadini, i quali devono poter frequentare luoghi e spazi pubblici senza per questo incorrere in ingerenze eccessive nella loro privacy, con le esigenze di sicurezza. Affinché ciò sia possibile è necessario, afferma il Garante, che l’attività di videosorveglianza rispetti i requisiti di liceità, necessità, proporzionalità e finalità, da considerare unitamente ad altri adempimenti pratici. Primo fra tutti quello dell’informativa, in virtù della quale, il Garante impone che gli interessati siano sempre informati di stare per accedere in una zona videosorvegliata; ciò anche nei casi di eventi e occasioni di spettacoli pubblici. A tal fine, appare opportuno utilizzare il cartello di informativa breve, purché sia idoneo a individuare il titolare del trattamento e le finalità perseguite; questo dovrà essere ben visibile in qualsiasi condizione di illuminazione, collocato prima del raggio d’azione della videocamera, con possibilità di installarlo anche nelle immediate vicinanze; un avviso che informa in ritardo o poco visibile, non mette i passanti nelle condizioni di decidere se prestare il proprio consenso oppure negarlo, in altre parole, se farsi riprendere dalle telecamere oppure evitarle. In tal senso è andata la disciplina del c.d. Jobs Act, il quale ha modificato, riscrivendolo, l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori che proibiva categoricamente l’utilizzo di impianti audiovisivi o simili, al fine di controllare a distanza l’attività del lavoratore. L’installazione di sistemi di videosorveglianza dunque, è ammessa a condizione che ricorrano esigenze di carattere difensivo quali la sicurezza sul lavoro e la tutela del patrimonio aziendale ovvero esigenze organizzative e produttive. Ad ogni modo, prima dell’installazione (non solo prima dell’attivazione) è tassativa la presenza di un accordo sindacale o, in assenza, di una autorizzazione amministrativa concessa, in linea di massima, dalla Direzione territoriale del lavoro. Viene da ultimo specificato che le informazioni raccolte mediante gli strumenti di controllo e di lavoro, possono essere utilizzate per sole finalità correlate al rapporto di lavoro (ivi comprese quelle disciplinari), previa completa ed esaustiva informativa al lavoratore circa l’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli. In deroga a quanto sino ad ora detto, l’obbligo di informativa agli interessati può venire meno qualora i dati personali siano trattati da enti stabiliti dalla legge, per finalità di tutela dell´ordine e della sicurezza pubblica, prevenzione, accertamento o repressione dei reati. Ma prima ancora che possano essere attivati i sistemi di videosorveglianza, prima dunque, di procedere al trattamento dei dati, l’art. 35 del GDPR impone l’obbligo di effettuare preventivamente una valutazione dell’impatto dei trattamenti previsti sulla protezione dei dati personali. Tale onere insorge ogniqualvolta un trattamento possa comportare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone interessate ed è destinata al titolare del trattamento dei dati, il quale, previa consultazione con il responsabile della protezione dei dati (se designato) deve redigere la D.P.I.A. - Data Protection Impact Assessment – ossia un documento di valutazione degli eventuali rischi potenzialmente derivanti dal trattamento dei dati che si intende eseguire. Nel processo di edificazione del “sistema tutela privacy” è allora, di fondamentale importanza, la fase di analisi dei rischi che incombono sui dati. È proprio sulla base di tale valutazione che andranno poi adottate tutte le opportune misure di sicurezza onde evitare il temuto data breach. Con questa espressione si intende una violazione di sicurezza che “comporta - accidentalmente o in modo illecito - la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati.”. Tale violazione può compromettere, in maniera permanente, la riservatezza, l’integrità ovvero la disponibilità di dati personali. E’ ancora una volta il Garante ad intervenire in merito con il provvedimento del 30 luglio 2019, n. 157, che introduce il nuovo modello ufficiale riportante le informazioni minime obbligatorie per notificare la violazione dei dati personali ai sensi dell’art. 33 del GDPR ove è previsto che l’onere di avviso incomba sul titolare del trattamento ovvero sul responsabile del trattamento nei confronti del titolare qualora venga a conoscenza di un’eventuale violazione. Il titolare del trattamento dovrà destinare la notifica al Garante, senza ingiustificato ritardo e, possibilmente, entro 72 ore dal momento in cui ne è venuto a conoscenza. Occorre evidenziare che in determinati casi, contestualmente alla notifica all’Autorità, il titolare del trattamento è obbligato a comunicare la violazione anche agli interessati. Invero, l’art. 34, par. 1, stabilisce che “Quando la violazione dei dati personali è suscettibile di presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche, il titolare del trattamento comunica la violazione all’interessato senza ingiustificato ritardo”. In merito alla tutela civilistica azionabile nel caso italiano, dinnanzi alla magistratura nazionale civile, la lettura combinata degli art. 79 e 82 del GDPR e del Considerando 146, mostra come l’impostazione del quadro risarcitorio del GDPR conferma quella già in vigore con il Codice per la protezione dei dati personali. Più specificamente il trattamento dei dati personali è qualificabile, sotto il profilo civilistico, come attività pericolosa, ai sensi dell’articolo 2050 c.c. laddove si stabilisce che “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”. Pertanto, titolare o responsabile che cagionino un danno per effetto del trattamento di dati personali sono tenuti al risarcimento, se non provano di avere previsto e messo in atto tutte le misure idonee al fine di evitare il danno. L’onere della prova viene invertito e non è, dunque necessario per il danneggiato, dimostrare il dolo o la colpa nella condotta di colui o coloro che hanno cagionato il danno, bensì sarà il convenuto a dover dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee atte ad evitarlo. Secondo parte della giurisprudenza, si tratterebbe di una vera e propria ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente che l’interessato/danneggiato dimostri il fatto della lesione, il danno e il nesso di causalità, e tenuto inoltre conto che, il soggetto chiamato a rispondere del danno cagionato, potrà liberarsi solo escludendo tale nesso causale. L’interessato per giungere a una piena ed effettiva soddisfazione circa il danno subito per effetto di un trattamento illecito, dunque, potrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria a uno solo dei soggetti del trattamento coinvolti (titolari o responsabili che siano), senza doversi preoccupare di capire prima chi sia effettivamente, tra questi, il colpevole e in quale misura. E in entrambi i casi, potrà farlo, per l’intero ammontare del danno. Ma se il regime di responsabilità solidale ex art. 1292 c.c., per l’ammontare totale del danno, è alla base della disciplina che regola i rapporti tra titolare/responsabile e interessati, nei rapporti interni le disposizioni si muovono nel senso della responsabilità pro quota. Ne deriva che il titolare o responsabile del trattamento che abbia risarcito il soggetto interessato per l’ammontare totale del danno, potrà esercitare azione di regresso nei confronti degli altri titolari o responsabili coinvolti nello stesso trattamento, qualora sostenga che vi sia stata una responsabilità concorrente o esclusiva di questi altri, nel cagionare il danno.
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Esame Diritto di famiglia

Facoltà Giurisprudenza

Tesi
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Tesi di laurea magistrale in giurisprudenza, materia diritto di famiglia, nello specifico viene affrontato il tema dell'adozione internazionale. La tesi nel primo capitolo si apre descrivendo l'istituto dell'adozione in generale, nei successivi capitoli viene descritto tutto lo sviluppo legislativo di questo istituto, successivamente va nello specifico proprio dell 'istituto a livello internazionale affrontando di seguito la fase procedimentale dello stesso.
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Esame Diritto civile

Facoltà Giurisprudenza

Dal corso del Prof. P. De Nardis

Università Universita telematica "Pegaso" di Napoli

Tesi
Appunti di Diritto civile sull'analisi dettagliata dell'ergastolo che ha rivelato una complessità di questioni che spaziano dai diritti umani fondamentali alla legalità delle pene detentive a lungo termine. L'ergastolo, quale forma estrema di punizione, solleva interrogativi profondi riguardo al bilanciamento tra il diritto dello Stato di punire e il rispetto dei diritti umani del condannato. Abbiamo visto che, se applicato correttamente e in conformità con le leggi e i trattati internazionali, l'ergastolo può rappresentare una forma legale e legittima di sanzione per i crimini più gravi. Tuttavia, la sua natura indeterminata senza prospettiva di liberazione condizionata solleva questioni etiche e morali circa il trattamento dei detenuti e la possibilità di rieducazione e riabilitazione. È essenziale anche riconoscere il rischio di abusi e violazioni dei diritti umani associati all'applicazione dell'ergastolo.
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Tesi completa TFA: la prima parte è dedicata ad un excursus sulla legislazione italiana, la seconda parte è dedicata alla relazione finale del tirocinio diretto con descrizione dell'elaborato multimediale al quale si può accedere mediante qr code.
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Solitamente si usano termini come "condominio complesso", "condominio orizzontale" o "supercondominio" per indicare tutte le ipotesi in cui una pluralità di edifici, destinati ad uso abitativo e strutturalmente distinti, si trovano a condividere beni e/o servizi: si va dal gruppo di palazzine condominiali aventi in comune poche cose essenziali, come l’ingresso principale, il cortile interno, l’impianto di riscaldamento e quello d’illuminazione (casi di questo genere sono molto frequenti all’interno delle città), fino alle forme più complesse e articolate del fenomeno, rappresentate dai grandi centri residenziali, dotati di un’ampia gamma di infrastrutture (spazi verdi, impianti sportivi, luoghi di riunione, servizi di vigilanza, di soccorso, e così via), che caratterizzano in modo particolare la periferia cittadina e le località di villeggiatura.
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TESSERAMENTO Uno sportivo, per poter esercitare una attività sportiva a livello agonistico, riconosciuta e tutelata all'interno dell'organizzazione federale, deve essere tesserato. Il calciatore chiede il tesseramento alla FIGC tramite la società sportiva per la quale intende giocare. Con il tesseramento il giocatore diventa soggetto di diritto sportivo, deve quindi sottostare a diritti e doveri che le varie norme della FIGC gli impongono. Il tesseramento è quindi il rapporto fra l'atleta e la Federazione. VINCOLO SPORTIVO Il vincolo è il rapporto tra l'atleta e la società. Il vincolo dà il diritto di avvalersi, in via esclusiva, delle prestazioni del calciatore. Il giocatore rimane, anche alla scadenza del suo contratto sportivo con la società, legato ad essa. Il vincolo che, dopo lunghi dibattiti, viene abolito nella legge 91/81. LEGGE 23 MARZO 1981 n. 91 L'incentivo maggiore all'emanazione della legge 91/81 arrivò proprio dal mondo calcistico. Alla legge 23 marzo 1981 spetta il merito di aver per la prima volta regolamentato il rapporto di lavoro tra società sportive e atleti professionisti. Ancora oggi questa legge detta le norme regolatrici del professionismo sportivo. LA CESSIONE DEL CONTRATTO “ E' ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un'altra, purché vi consenta l'altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali”. Articolo 5 legge 91/81 Quello che viene negoziato nel cosiddetto “mercato dei calciatori”, non è il calciatore stesso, come erroneamente si può pensare, ma il suo contratto di lavoro sportivo che ha per oggetto le sue prestazioni. L'atto di trasferimento, da una società ad un'altra, del rapporto di prestazione sportiva di un calciatore professionista configura dal punto di vista civile una fattispecie particolare della cessione del contratto secondo l'articolo 1406 e seguenti del codice civile. Per il trasferimento di un calciatore in pendenza di contratto da una squadra all'altra e la sua conseguente variazione di tesseramento è prevista un determinata procedura descritta nelle norme organizzative interne della FIGC, le cosiddette NOIF. Modalità di cessione del contratto: - definitiva ( vendita ) - temporanea ( prestito ) - in compartecipazione ( comproprietà) LA SENTENZA BOSMAN E I SUCCESSIVI CAMBIAMENTI La conseguenze della sentenza Bosman furono: - l’abolizione dell’indennità di trasferimento; - l’eliminazione dei limiti di numero e di partecipazione dei giocatori stranieri alle competizioni; In quanto queste disposizioni non erano compatibili con le norme dell’UE. Inoltre viene introdotto il fine di lucro per le società sportive professionistiche. In Spagna si diffonde l’inserimento della clausola di rescissione nei contratti dei calciatori. Successivamente la FIFA emana un regolamento che divide in due periodi il rapporto di lavoro sportivo del calciatore: - Primo periodo: “PROTETTO” risoluzione del contratto atto illecito - Secondo periodo: “NON PROTETTO” risoluzione del contratto atto lecito L’AGENTE DI CALCIATORI E' una persona fisica che, “ ...in forza di un incarico a titolo oneroso conferitogli in conformità al regolamento, cura e promuove i rapporti tra un calciatore ed una società di calcio in vista della stipula di un contratto di prestazione sportiva, ovvero tra due società per la conclusione del trasferimento o la cessione di contratto di un calciatore.” Poi ancora “ l'agente cura gli interessi del calciatore...prestando opera di consulenza a favore dello stesso nelle trattative dirette alla stipula del contratto, assistendolo nell'attività diretta alla definizione, alla durata, al compenso e ad ogni altra pattuizione del contratto di prestazione sportiva.” Infine “...svolge l'attività di assistenza a favore di società di calcio che gli hanno conferito incarico... per favorire il tesseramento, la conclusione o la cessione di contratti dei calciatori.” Art.3 Regolamento FIGC per agenti di calciatori 2007 E’ importante la necessità da parte dell'Agente di fornire ai propri assistiti un insieme di servizi collaterali all'assistenza contrattuale in modo da rendere un servizio più completo, a trecentosessanta gradi, in grado di soddisfare le varie esigenze dei propri assistiti.
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Nel mio elaborato faccio un'analisi della posizione della donna mussulmana nel corano e come vengono interpretati i vari versetti, per poi proseguire con un'analisi del velo, quindi i suoi significati, la sua storia e il motivo per cui viene visto come simbolo di oppressione della donna Infine concludo con il modo in cui viene affrontata la questione del velo in Italia. Inizialmente faccio un'analisi di alcuni versetti coranici in cui viene consacrato il principio di parità tra i due generi. Il Corano non sancisce nessuna gerarchia tra i due, ma gli considera entrambi essenziali per il giusto funzionamento della comunità, essendo che fanno parte di una coppia necessaria. Questa uguaglianza deriva dal fatto che entrambi hanno un'origine comune, di conseguenza hanno stessi diritti e doveri. Questo non vuol dire che rifiuta le differenze funzionali fra uomo e donna, ma non le considera valori da utilizzare per sancire una preferenza. Purtroppo ci sono molti versetti che sono stati interpretati con un'ottica maschilista e strumentalizzati per sottomettere la donna, basta pensare alla partica del velo. I paesi fondamentalisti utilizzano il velo come mezzo di sottomissione della donna e spesso, a causa di ciò, l'occidente tende individuare il mondo mussulmano come misogino. Questo elimina la possibilità di una diversità di veli; infatti, ci sono più tipi di veli che hanno significati diversi e vengono utilizzati dalle donne in modo diverso con motivi diversi. Il velo può essere così un simbolo di appartenenza ad una comunità, una manifestazione di fede, un semplice modo di vestire, oppure un mezzo per opporsi ad un'imposizione straniera. Il velo è diventato un vero e proprio mezzo di scontro tra occidente e oriente, ma anche tra modernisti e tradizionalisti dei paesi islamici. Infine, la questione del velo diventa centrale anche nel dibattito Italiano. In Italia non esiste nessuna legge che vieti l'uso del velo, ma viene utilizzata una legge che è stata creata per regolamentare un'altra situazione. Questa legge, infatti, vieta l'uso di indumenti o caschi nei luoghi pubblici che impedisce il riconoscimento della persona.
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Il lavoro di diritto analizza la figura del contratto nel diritto civile. Il contratto è definito come un accordo tra due o più parti che stabilisce obblighi e diritti reciproci. Il lavoro esamina le diverse tipologie di contratti, tra cui il contratto di compravendita, il contratto di locazione e il contratto di lavoro. Inoltre, il lavoro analizza le fasi di formazione del contratto, dalla proposta alla accettazione, e le condizioni di validità del contratto, come la capacità delle parti e la forma scritta. Il lavoro affronta anche le questioni relative alla interpretazione e alla esecuzione del contratto, nonché le conseguenze della violazione del contratto. Infine, il lavoro esamina le recenti evoluzioni del diritto dei contratti, tra cui l'impiego delle nuove tecnologie e la tutela dei consumatori. Il lavoro si conclude con una riflessione sulla importanza del contratto nel diritto civile e sulla necessità di un'approfondita conoscenza delle norme e delle giurisprudenze in materia.
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Il lavoro si propone di analizzare la complessa materia inerente alla responsabilità medica con particolare riferimento all'intelligenza artificiale, capace di mutare dal profondo un panorama giuridico già di per sé complicato. In particolare ci si interroga sulla congruità del sistema di responsabilità delineato dalla legge Gelli-Bianco ove l'atto medico sia coadiuvato da sistemi di IA dotati di autonomia, o se non sia piuttosto auspicabile un regime di responsabilità oggettiva di tali sistemi (c. D. Responsabilità da algoritmo), associata all'istituzione di un fondo di garanzia espressamente deputato al risarcimento del danno eventualmente provocato dal sistema. Il lavoro analizza anche l'approccio UE alla complessa tematica in esame.
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La tesi analizza il sistema agroalimentare come struttura economico-sociale regolata da un intreccio complesso di norme, rapporti contrattuali e squilibri di potere. Dopo un inquadramento teorico e normativo della filiera agroalimentare — nelle sue componenti oggettive e soggettive — il lavoro mette a fuoco le dinamiche critiche della filiera lunga, evidenziando le distorsioni imposte da posizioni dominanti e l’incidenza delle pratiche commerciali scorrette disciplinate dal d.lgs. 198/2021 e dal Codice del Consumo. In risposta a tali squilibri, viene analizzato il modello alternativo della filiera corta digitalizzata, con particolare riferimento all’esperienza de L’Alveare che dice Sì. La tesi indaga il ruolo giuridico dei gruppi di acquisto locali, capaci di recuperare forza contrattuale collettiva e di generare contratti più equi, trasparenti e sostenibili. Il gruppo, pur privo di personalità giuridica formale, agisce come soggetto contrattuale diffuso, in grado di riequilibrare i rapporti tra produttori e consumatori e di promuovere pratiche virtuose. Il lavoro si fonda anche su tre anni di attività diretta all’interno della rete dell’Alveare, con il ruolo di gestore di tre gruppi di acquisto locali nella città di Milano, operando quotidianamente in bici cargo per la logistica, la relazione con i produttori e la gestione delle vendite. Questa esperienza ha fornito un punto di osservazione privilegiato sulla dimensione giuridica concreta della filiera corta e ha permesso di coglierne con precisione le potenzialità regolative e le criticità operative. La tesi si chiude con una riflessione sull’opportunità, per il diritto, di valorizzare queste forme dal basso di contrattazione collettiva e mutualistica, che non attendono la norma per esistere, ma la invocano nella prassi, come riconoscimento di una giustizia contrattuale che già si realizza.
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