I materiali pubblicati sul sito costituiscono rielaborazioni personali del Publisher di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni e lo studio autonomo di eventuali testi di riferimento in preparazione all’esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell’università attribuibile al docente del corso.
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Appunti degli studenti per corsi ed esami del Prof. Pititto Rocco

Appunti di filosofia del linguaggio sul linguaggio basati su appunti personali del publisher presi alle lezioni del prof. Pititto dell’università degli Studi di Napoli Federico II - Unina, facoltà di Lettere e filosofia. Scarica il file in formato PDF!
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Appunti di Filosofia del linguaggio per l’esame del professor Pititto. Gli argomenti trattati sono i seguenti: concezioni sull'uomo e il suo corpo nell'epoca moderna, Max Horkheimar e Theodor W. Adorno, l'antropologia totale, il giudizio analitico a priori.
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Riassunto per l'esame di Filosofia del Linguaggio, basato su appunti personali e studio autonomo del libro Essere di Parola: Semantica, Soggettività, Cultura di Benveniste consigliato dal docente Pititto. Gli argomenti trattati sono i seguenti: Comunicazione. Semiologia della lingua, la caratteristica comune ai sistemi.
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Riassunto per l’esame di Filosofia del linguaggio del professor Pititto, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Tempo e racconto di Ricoeur . Gli argomenti trattati sono i seguenti: l’aporia dell’essere e del non-essere del tempo, le aporie dell’esperienza del tempo, la misura del tempo.
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Riassunto per l’esame di Filosofa del linguaggio del professor Pititto, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Introduzione alla Filosofia del Linguaggio di Penco . Gli argomenti trattati sono i seguenti: nella dimora del linguaggio, il linguaggio una risorsa dell'uomo per l'uomo.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. La convergenza conclamata tra attività della mente e attività della "macchina intelligente" pone il problema dell'unicità dell'attività della mente umana. Una risposta a favore dell'unicità dell'attività della mente umana non è tanto sicura, dopo che il cognitivismo nella forma più recente ha sostenuto l'idea che l'attività mentale possa essere descritta in termini di operazioni logiche complesse e di rappresentazioni logico-formali. Sarebbe possibile, secondo questo assunto, costruire computer digitali capaci di "esibire la stessa intelligenza dell'uomo" (H.L. Dreyfus). Dennett, su questa linea non ha esitato a contestare la falsa illusione della supremazia del cervello sul resto dell'organismo umano e ha ipotizzato la possibilità di una convergenza tra comportamento animale e intelligenza artificiale.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. Il dibattito sull'intelligenza artificiale mette in primo piano il problema della mente umana e del suo funzionamento. L'assimilare l'attività di una intelligenza artificiale all'attività della mente implica ridurre l'ambito dell'attività della mente umana. Due testi significativi mettono in risalto due differenti punti di vista: Nella posizione tematizzata da Herder non c'è spazio per una intelligenza artificiale. «Che cosa - si chiede Herder - significa pensare? Parlare interiormente, cioè esprimere per sé i segni acquisiti. Parlare significa pensare ad alta voce. Nel flusso di questi pensieri, molto può essere per noi solo supposto e opinato; se però penso realmente un oggetto, ciò non accade mai senza un segno. Nel pensare, l'anima crea continuamente un'unità del suo molteplice» (J. G. Herder, Metacritica). Diversa è la posizione di Dennett «Bene, allora come può il cervello estrarre determinati significati dalle cose? In quale momento possiamo parlare di coscienza? Queste sono le domande alle quali le scienze cognitive stanno cercando di dare una risposta, cercando di ridurre la rappresentazione interna e coloro che sperimentano la suddetta rappresentazione a delle macchine. Un computer può farlo. La grande intuizione di Turing fu proprio questa: ridurre la macchina semantica a macchina sintattica. I nostri cervelli non sono nulla di più che macchine sintattiche, che tuttavia estraggono significati dal mondo circostante, ovvero lavorano come macchine semantiche. Siamo in presenza di un paradosso, ma non di un mistero, come molti vorrebbero farci credere. Non credo nei misteri, sono soltanto problemi che non sappiamo ancora come avvicinare. Se pensiamo di aver trovato un mistero, probabilmente abbiamo soltanto frainteso il problema. Quel che è certo è che la coscienza è meno misteriosa di quanto si pensi: essa si sviluppa da ciò che fa il cervello - ovvero come macchina sintattica - e non da ciò di cui è fatta» (D.Dennett, Dove nascono le idee, p.42).
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. L'uomo dotato di un cervello "maturo" raggiunge una forma di coscienza superiore e diventa realmente uomo, capace di costruire mondi reali e mondi possibili. «Con l'evoluzione del linguaggio e dei simboli, degli scambi culturali, all'uomo si è aperta una capacità di generalizzazione e di riflessione in modo da permettergli il raggiungimento della coscienza di sé, di essere un io nel mondo. La coscienza superiore ci libera dalla schiavitù del qui e ora, permettendoci di riflettere, di analizzare i nostri sentimenti, di attingere alla cultura e alla storia, di raggiungere un nuovo ordine evolutivo e morale» (R. Levi Montalcini). I processi cognitivi e linguistici, che avvengono nell'individuo con lo sviluppo del cervello non si danno nell'individuo come essere singolo, quanto nell'individuo come essere plurale, facente parte di una comunità: è nella relazione con l'altro che l'individuo raggiunge la sua identità; la relazione di alterità precede l'identità; lo sguardo del Tu che si posa sull'individuo e lo chiama per nome crea l'Io.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. La scoperta dei "neuroni specchio" consente di affermare come un meccanismo di natura involontaria, quale può essere un repertorio motorio, situato nell'area F5, di cui dispone il soggetto nel compiere un'azione, può diventare linguaggio, quando l'emittente e il ricevente capiscono che la loro azione può influenzare i loro reciproci comportamenti. Secondo Rizzolatti, la capacità di organizzare la produzione e l'emissione di suoni o il compimento di una serie di gesti a scopo comunicativo si sarebbe sviluppata a partire dal contesto in cui i simboli utilizzati dovevano essere collegati a operazioni del campo manuale. La comunicazione presupporrebbe, in altre parole, la gesticolazione e, fatto ancora più importante, l'impulso ad imitare le concatenazioni di operazioni dei propri simili, con la possibilità di inibire l'azione motoria e trasferire l'imitazione sul piano dei simboli espressivi. Lo stesso sviluppo del linguaggio infantile segue in sequenza le stesse modalità.
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Dal corso del Prof. R. Pititto

Università Università degli studi di Napoli Federico II

Appunto
4 / 5
Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. Lo studio di una classe di neuroni, detti "neuroni specchio" (mirror neurons, detti anche monkey-see monkey-do), localizzati nella superficie esterna dei lobi frontali e di quelli parietali, e più precisamente, nel settore ventrale della corteccia premotoria della scimmia, e ritrovati poi nell'uomo, ha consentito a Giacomo Rizzolatti, insieme al suo gruppo di ricerca dell'Università di Parma, di dare alla conoscenza della mente un fondamento di tipo neurobiologico. Scoperti "casualmente" agli inizi degli anni Novanta del Novecento in una esperienza di laboratorio, i neuroni specchio sono cellule che diventano attive quando un'azione compiuta da un altro fa "risuonare" nell'interno di chi osserva l'azione come se fosse lui stesso ad agire (da cui il loro nome). Proprietà principale di questi neuroni è di rispondere, attivandosi, sia quando è l'agente ad eseguire un'azione, sia quando l'agente osserva le stesse azioni compiute da altri. Si tratta, dunque, di neuroni che hanno funzioni sia sensoriali che motorie e che fanno pensare, se riferite all'uomo, ad un rapporto più diretto tra attività motoria e attività linguistica, fino a ritenere che l'attività linguistica sia legata all'attività motoria.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. Le scienze cognitive devono molto a Francisco J. Varela (1946-2001), una singolare figura di scienziato e di filosofo del secondo Novecento, che ha affidato il successo delle sue concezioni ad una nuova scienza, - la neurofenomenologia -, da lui stesso delineata a grandi linee, allo scopo di rispondere meglio ai tanti problemi sollevati da certi esiti delle ricerche sul mondo della coscienza. Già negli anni della sua collaborazione con Humberto Maturana, Varela aveva elaborato insieme al suo maestro un paradigma concettuale per la comprensione delle scienze biologiche, a partire da caratteristiche irrinunciabili degli esseri viventi, intesi per la prima volta come meccanismi autopoietici. Secondo i due studiosi cileni l'autopoiesi è la caratteristica dell'essere vivente, che tende a realizzare un equilibrio dinamico di tipo omeostatico all'interno del rapporto che si costituisce tra la totalità e le singole parti dell'organismo. Sotto questo aspetto viene superata la visione dualistica, rappresentazionalistica e costruzionistica, dei processi cognitivi.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. La costruzione di una Filosofia della Mente è ancora agli inizi. Non mancano i problemi legati al modo di considerare l'intelligenza artificiale, con la riproposta del mito della macchina. Prioritario è il superamento della contrapposizione tra Searle e Dennett, per i quali l'espressione "avere una mente" ha un significato diverso: se per Searle "avere una mente" significa avere una coscienza e cioè stati mentali soggettivi, I cosiddetti "qualia", fenomeni non quantificabili oggettivamente e non riducibili ai processi neurofisiologici del cervello; per Dennett, invece, non si danno i "qualia" e la coscienza è solo "una serie di programmi per computer implementati nel cervello". Secondo Dennett il problema della coscienza si ridurrebbe agli aspetti meccanici e tecnologici del cervello e della mente.
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Dal corso del Prof. R. Pititto

Università Università degli studi di Napoli Federico II

Appunto
4,3 / 5
Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. Gli autori - scienziati e filosofi - che attualmente si interessano al problema della coscienza e degli stati mentali sono moltissimi, ed estremamente variegata è la gamma delle loro posizioni: David Chalmers: filosofo australiano, ha messo a fuoco il problema della coscienza, la natura del rapporto tra i processi nervosi e l'esperienza soggettiva; Paul Churchland: uno dei principali sostenitori del materialismo eliminativo, che riconduce gli stati mentali alla sfera dei fenomeni fisici; John Eccles: rappresentante moderno del dualismo mente-corpo, rivisitato alla luce della meccanica quantistica. Jerry Fodor: opponendosi all'analogia mente-computer, propone un modello modulare della mente, secondo cui la mente sarebbe formata da moduli che agiscono in modo sostanzialmente autonomo, senza essere influenzati dallo stato generale del sistema; Marvin Minsky: propone un modello di mente costituito da un gran numero di "agenti" specializzati che cooperano tra loro; Thomas Nagel: critica le pretese riduzionistiche di ricondurre gli stati mentali ai processi oggettivamente rilevabili all'interno del cervello.
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Dal corso del Prof. R. Pititto

Università Università degli studi di Napoli Federico II

Appunto
3,7 / 5
Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. La coscienza occupa oggi un posto centrale nell'ambito delle scienze cognitive, dopo essere stata marginalizzata dall'influenza del comportamentismo, nato contro ogni forma di introspezione prevalente nella psicologia di fine Ottocento. Il modello comportamentista privilegiava un metodo di ricerca rivolto al comportamento manifesto dei soggetti osservati nelle loro azioni, senza considerare i processi mentali che stanno dietro il comportamento dell'individuo, perché non ritenuti oggetto di osservazione. La mente era come una scatola nera, conoscibile solo attraverso le sue espressioni esterne. Presupposto del comportamentismo era di considerare l'individuo per quello che appariva. Il modello cognitivista considera non tanto il comportamento manifesto dell'individuo, quanto l'attività dell'organismo regolata dal funzionamento dei processi mentali. Comune denominatore dei modelli cognitivisti è l'ipotesi che la mente possa essere indagata attraverso lo studio dei processi elaborativi delle unità o componenti che ne regolano il funzionamento.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. Il funzionamento del sistema nervoso e del cervello dell'essere umano è oggetto di studio delle neuroscienze cognitive, un ambito del sapere nel quale sono confluite una serie di discipline, quali la neurologia clinica, la neurofisiologia, la neurologia, la psicologia e certi settori della filosofia e della linguistica. Dalla massa di informazioni date da queste discipline l'interrogativo sull'uomo può ricevere più di una risposta. Nello studio del cervello e del sistema nervoso assumono particolare importanza le tecniche d'indagine: la brain imaging, la visualizzazione dell'attività cerebrale mediante l'uso di macchine, quali la Tomografia a emissione di positroni (PET), la Tomografia assiale computerizzata (TAC), e la Risonanza magnetica nucleare e funzionale (RMN e RMF).
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. Il cervello ha una struttura straordinaria e complessa, composta da cento miliardi di neuroni, le cellule che costituiscono le unità strutturali e funzionali del sistema nervoso. Ciascuno dei neuroni ha con gli altri dai mille ai diecimila punti di contatto o sinapsi, fino a raggiungere miliardi di sinapsi. L'architettura del cervello, costituita da emisferi cerebrali, cervelletto, tronco e corteccia cerebrale, talamo, neuroni e sinapsi, è grandiosa e imponente. Ogni parte del cervello ha una sua funzione particolare. Tutta l'attività, fisica e mentale, dell'organismo umano, è il risultato dell'attività delle cellule, che si trovano all'interno del cranio e che danno vita al cervello dell'uomo. La mente dell'essere dell'uomo è più del cervello, perché è l'organismo umano nel suo insieme, non una singola parte di esso, fosse anche la più importante, a determinare la specificità dell'essere dell'uomo. Nell'uomo, l'ordine linguistico è in continuità con l'ordine mentale, come suo piano espressivo e come suo strumento. Il pensiero si materializza nel linguaggio e si serve del linguaggio come suo strumento, mentre il linguaggio, rapportandosi agli "oggetti mentali", dà loro un significato e si semanticizza.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. L'uomo è l'essere che ha trasformato il mondo, adattandosi ad esso e modificandolo secondo le sue necessità. All'inizio di questa "rivoluzione" c'è l'evoluzione del cervello umano, dotato di una corteccia sempre più vasta e più complessa rispetto agli altri primati. Dal mondo della natura (animalità) l'uomo è entrato nel mondo della cultura (umanità) mediante lo sviluppo dell'attività mentale e dell'attività linguistica. Diverse sono le ricostruzione dell'albero genealogico degli umani, con notevoli differenze tra l'una e l'altra, in termini qualitativi e quantitativi. Su un aspetto della questione c'è tra gli studiosi una convergenza di vedute, il fatto cioè che l'emergere dell'homo sapiens non sia stato il risultato di un passaggio, più o meno repentino, da una specie all'altra, quanto il risultato di una evoluzione accidentata e per tanti versi oscura. Il processo di sviluppo non è stato lineare, quanto piuttosto una sequenza di tentativi.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. L'essere umano è l'unico tra gli esseri animali non umani a possedere già dalla nascita un patrimonio genetico cognitivo e linguistico, formatosi nel corso dell'evoluzione. Questo patrimonio è costituito: da un potenziale cognitivo di partenza, dalla capacità di parlare e di operare con simboli linguistici, dalla disponibilità a conseguire, sotto la pressione dell'ambiente e l'influenza degli adulti, una serie di apprendimenti. Mancando le condizioni sociali di apprendimento, o in presenza di disturbi di tipo mentale e linguistico, il potenziale cognitivo e linguistico di partenza è destinato a venir meno e, in seguito, ad atrofizzarsi. Decisivo nel processo di apprendimento è il ruolo del linguaggio.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. Secondo S. Pinker, L'istinto del linguaggio, l'uomo, nel corso dell'evoluzione, per sopravvivere ha costruito una "nicchia cognitiva", che costituisce il guscio originario della comunità umana. Gli elementi costitutivi di questa "nicchia" sono l'attività simbolica, il ragionamento causale e la cooperazione tra gli esseri umani. La capacità dell'uomo di parlare e di significare è determinata dalla struttura biologica dell'essere umano (eredità biologica), quanto dalla sua natura relazionale (apprendimento sociale). Nascendo all'esistenza umana, l'uomo nasce predisposto all'apprendimento del linguaggio; la capacità del linguaggio diventa effettiva nelle relazioni con gli altri. Perciò solo nel "commercio" con gli altri esseri umani, l'uomo realizza e sviluppa le sue capacità cognitive e linguistiche: nell'uso del linguaggio l'animale umano conquista il proprio "spazio" nel mondo, che diventa mondo umano.
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Questo appunto si riferisce al corso di Filosofia della mente tenuto dal professor Rocco Pititto. «Gli esseri umani sono unici. Come e perché lo siano ha stimolato per secoli la curiosità di scienziati, filosofi e persino avvocati. Quando cerchiamo di stabilire una distinzione tra animale ed esseri umani nascono controversie e ci si azzuffa sulle idee e sul significato dei dati, e quando il polverone si placa, ciò che resta è una quantità maggiore di dati su cui costruire teorie più forti e stringenti. Stranamente, in questo ambito di ricerca, idee opposte sembrano essere almeno parzialmente corrette» (M.S. Gazzaniga, Human. Quel che ci rende unici, p. 9). In riferimento a quali elementi, o risorse, presenti nell'uomo e assenti in altri esseri viventi, è possibile definire l'unicità dell'essere dell'uomo? Una prima risposta, la più generale, vede nella capacità di simbolizzazione dell'essere dell'uomo la risorsa che differenzia l'uomo dall'animale. Secondo Susan Langer, a contrassegnare la distanza tra l'uomo e gli altri esseri animali non umani non è tanto una sensibilità più alta o una memoria maggiore, ma solo la capacità di trasformare l'esperienza vissuta in simboli e di usarli nella vita quotidiana, traducendoli in parole. «È il potere di usare simboli, il potere del linguaggio che lo fa signore della terra» (S. Langer, Filosofia in una nuova chiave, p. 48).
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