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A)
L’antropologia della totalità è tipica dell’800. Quando parliamo di antropologia della totalità, ci
riferiamo a tutta l’impostazione filosofica di Hegel. Si chiama della “totalità” perché la
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presunzione di Hegel è stata
quella di ridurre al pensiero tutta la storia e, questo ha dato al soggetto un ruolo importante. La
ragione hegeliana, non indaga, non vuole cercare di capire il mistero che illumina tutta la realtà.
Hegel è il punto di arrivo di un pensiero, che si è andato formando da Galileo, è il pensiero della
rivoluzione scientifica che, ha permesso all’uomo, di situarsi in un punto diverso rispetto alla realtà
circostante, scorgendo un punto di vista nuovo sulle cose e sul mondo. mentre prima l’uomo era al
centro di tutto, ora, la rivoluzione lo toglie dal centro e, lo situa lateralmente. S. Agostino approda
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alla conoscenza di Dio, e, non parla di un cuore inquieto ma, che si apre all’altro. Per Kant dietro
qualunque scienza che la realtà ha prodotto, c’è sempre l’uomo ed è scienza per Kant, solo quella
che l’uomo fa. La metafisica che parla dell’essere non può essere considerata scienza. Quindi per
Kant, abbiamo scienza quando ci sono delle caratteristiche di certezza, necessità e universalità. Ciò
lo stabilisce l’Io che Kant chiama Io trascendentale. Per Aristotele i trascendentali, sono i modi
attraverso i quali l’essere si comunica come bontà, verità e bellezza. Aristotele afferma che l’uomo
non si realizza in un aristocratico isolamento, ma l’uomo è un vivente sociale e socievole. L’uomo
con il suo corpo è un(piomba come un meteorite dall’alto) essere che si relaziona all’Altro e gli
altri. “Chi non fa parte della comunità, chi non ha bisogno di nulla o è una belva o è un Dio”.
Per Kant il trascendentale è il modo attraverso cui l’io . La filosofia di Kant è un’antropologia e
risponde alle domande: cosa posso conoscere, cosa posso fare, che cosa posso sperare, cos’è
l’uomo. Cosa posso conoscere riguarda il problema morale; quindi il tema della bontà. Che cosa
posso sperare riguardo il problema della bellezza. Per Aristotele il movimento trascendentale è
dall’alto al basso quindi dall’essere all’uomo; per Kant invece è dal basso verso l’alto ecco perché è
un’antropologia filosofica. Kant quindi dice che la metafisica è una conoscenza intuitiva perché è
una conoscenza spazio – temporale fino a quando non si arriva a formulare il giudizio che deve
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Da Hegel alla fenomenologia
essere certo, necessario ed universale e, deve aumentare la conoscenza dell’uomo. Per Kant c’è un
giudizio analitico a priori che è universale e, non aumenta la conoscenza in quanto l’atto di pensare
è nell’io stesso e quindi è una conoscenza deduttiva; dall’interno all’esterno. Poi c’è un giudizio
sintetico a posteriori che aumenta la conoscenza perché non viene dal mondo dell’esperienza.
L’uomo di cui parla Kant è universale. Successivamente sarà l’idealismo di Fichte e di Hegel che lo
porteranno a rivisitare tutto il sistema. L’Io legislatore di Kant diventerà in Fichte l’Io creatore. Il
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passo successivo è una soggettività che ha la pretesa di spiegare tutto di tutto e, questo l’abbiamo
con Hegel. Il suo sistema è l’idea che deve incarnarsi nella storia. È l’in sé che deve entrare nel per
sé per ritornare in sé. Ora l’uomo è svuotato da ogni tipo di responsabilità perché obbedisce alle
leggi dello Spirito in quanto lo Spirito, già sa a che punto deve arrivare. L’antropologia di Hegel
sarà contestata non solo da Schopenhauer ma anche da Kierkegaard. Quest’ultimo è il padre
dell’esistenzialismo e l’altro esponente è Dostoevskij. Per Kierkegaard l’elemento fondante di una
vera riflessione teologica è, percepire l’uomo come possibilità quindi come libertà. Per Kierkegaard
il discorso è sempre soggettivo e singolare è, la forza del singolo davanti a Dio. Si oppone infatti ad
Hegel perché dice che quest’ultimo vuole chiudere la persona in un sistema precostituito. La visione
dell’uomo di Kierkegaard è divisa in tre parti: stadio estetico che è quello in cui l’uomo non riesce a
prendersi le proprie responsabilità e vuole rimanere l’eterno fidanzato cioè sta ancorato alla persona
amata, è la scelta del don Giovanni che Kierkegaard paragona ad un’ape, che vola di fiore in fiore
prende la parte migliore ma, non si sofferma su nessuno di esso. Tutte le donne sono le stesse; lo
stadio etico che è quello in cui l’uomo si prende le responsabilità ma non è la visione delle scelte
globali dell’uomo. È lo stadio identificato nella figura del marito. È colui che ha scelto la donna da
sposare e che si prende le sue responsabilità. Infine vi è lo stato religioso in cui troviamo la figura
di Abramo come espressione migliore di questa situazione. Abramo è l’uomo vero, infatti si fida di
Dio completamente. La testimonianza di Kierkegaard è quella di una realtà umana che non riesce a
fare il salto e ad essere liberata. Infatti tra queste probabilità di scelte, l’esteta o il marito devono
fare un salto nel religioso. Il singolo davanti a Dio ma non in Dio. Nell’antropologia di Kierkegaard
l’uomo avverte il peccato perché non riesce a sentirsi salvato nella realtà di Cristo. Kierkegaard dice
che per reintrodurre il cristianesimo nella cristianità, se si vuole essere cristiani fino in fondo si deve
“morire in Croce”. In Kierkegaard il cuore del problema è costituito proprio dalla posizione del
singolo di fronte a Dio, cioè del singolo che si realizza come tale solo nel rapporto con Dio.
Secondo il filosofo, il dramma dell’occidente, è quello di rifiutare il rapporto assoluto con Dio; c’è
un cristianesimo ma senza cristiani: il problema allora è vivere il cristianesimo con autenticità.. 3
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