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d'annunzio analisi del testo maturità 2020

La Maturità 2020 sta per iniziare ufficialmente, infatti i colloqui orali partiranno dal 17 giugno 2020. Come ormai sappiamo, l’esame di Stato 2020 è del tutto diverso da solito, infatti anche quest’ultimo è stato stravolto dal Coronavirus, costringendo il Ministero dell’Istruzione a modificarne la struttura.

Secondo la nuova ordinanza i crediti accumulati dagli studenti nel corso degli ultimi tre anni varranno 60 punti su un totale di 100, mentre i restanti 40 saranno affidati all’esame orale, l’unica prova che i maturandi dovranno affrontare prima di poter stringere tra le mani il loro diploma di scuola superiore. L’orale di Maturità 2020 sarà quindi un elemento essenziale e dovrai prepararti al meglio per affrontarlo nel modo giusto. Scopriamo come.

Analisi del testo 2020: come prepararsi

Anche se quest’anno non ci saranno le prove scritte, compresa quindi la prima prova di maturità, quella incentrata sulla letteratura italiana, il Ministero dell’Istruzione per sopperire proprio alla mancanza delle due prove scritte, ha pianificato il colloquio orale in modo che potesse integrare anche domande e momenti per verificare a tutto tondo le conoscenze dei maturandi. Dunque durante il maxi orale ci sarà una fase dedicata all’analisi del testo, dove verrà chiesto al candidato di esaminare un componimento studiato durante l’ultimo anno di superiori. Uno degli autori più noti, più importanti e più studiati nell’ultimo anno di superiori è senza dubbio il grandissimo poeta nostrano Gabriele D’Annunzio, quindi durante il tuo orale di Maturità 2020 non sarebbe strano se tu ti trovassi faccia a faccia con un suo componimento. Ecco dunque che noi di Skuola.net veniamo in tuo aiuto, selezionando ben 5 componimenti del celebre poeta per aiutarti in un ripasso last minute in vista della Maturità 2020.

Maturità 2020: La pioggia nel Pineto, Gabriele D’Annunzio

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani

ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

Quest'opera appartiene alla raccolta Alcyone ed è composta da 128 versi divisi in quattro strofe di 32 versi ciascuna. I versi sono liberi, tuttavia ricorrono spesso ternari, il senari e il novenari. D’Annunzio in questo caso decide di voler imprimere nei versi un'immagine raffinatissima e suggestiva di un'atmosfera naturale espressa con una struttura frammentaria dei versi e con la ripetizione di parole e di frasi e dal susseguirsi di sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili.

  • Per saperne di più consulta i nostri appunti su La Pioggia Nel Pineto: parafrasi e testo poesia
  • La sera fiesolana, D’Annunzio: Maturità 2020

    Fresche le mie parole ne la sera
    ti sien come il fruscío che fan le foglie
    del gelso ne la man di chi le coglie
    silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
    su l'alta scala che s'annera
    contro il fusto che s'inargenta
    con le sue rame spoglie
    mentre la Luna è prossima a le soglie
    cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
    ove il nostro sogno si giace
    e par che la campagna già si senta
    da lei sommersa nel notturno gelo
    e da lei beva la sperata pace
    senza vederla.

    Laudata sii pel tuo viso di perla,
    o Sera, e pè tuoi grandi umidi occhi ove si tace
    l'acqua del cielo!

    Dolci le mie parole ne la sera
    ti sien come la pioggia che bruiva
    tepida e fuggitiva,
    commiato lacrimoso de la primavera,
    su i gelsi e su gli olmi e su le viti
    e su i pini dai novelli rosei diti
    che giocano con l'aura che si perde,
    e su 'l grano che non è biondo ancóra
    e non è verde,
    e su 'l fieno che già patì la falce
    e trascolora,
    e su gli olivi, su i fratelli olivi
    che fan di santità pallidi i clivi
    e sorridenti.

    Laudata sii per le tue vesti aulenti,
    o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
    il fien che odora!

    Io ti dirò verso quali reami
    d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
    eterne a l'ombra de gli antichi rami
    parlano nel mistero sacro dei monti;
    e ti dirò per qual segreto
    le colline su i limpidi orizzonti
    s'incúrvino come labbra che un divieto
    chiuda, e perché la volontà di dire
    le faccia belle
    oltre ogni uman desire
    e nel silenzio lor sempre novelle
    consolatrici, sì che pare
    che ogni sera l'anima le possa amare
    d'amor più forte.

    Laudata sii per la tua pura morte
    o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
    le prime stelle!

    Questa poesia, composta nel 1889, descrive una sera di inizio giugno. Il componimento è diviso in tre strofe, che descrivono in tre quadri diversi, i tre momenti della sera (la fine del pomeriggio, la sera, e l’inizio della notte).

  • Per saperne di più consulta i nostri appunti su D'annunzio, Gabriele - La sera fiesolana
  • Le stirpi canore: Maturità 2020, D’Annunzio

    I miei carmi son prole
    delle foreste,
    altri dell’onde,
    altri delle arene,
    altri del Sole,
    altri del vento Argeste.
    Le mie parole
    sono profonde
    come le radici
    terrene,
    altre serene
    come i firmamenti,
    fervide come le vene
    degli adolescenti,
    ispide come i dumi,
    confuse come i fumi
    confusi,
    nette come i cristalli

    del monte,
    tremule come le fronde
    del pioppo,
    tumide come le narici
    dei cavalli
    a galoppo,
    labili come i profumi
    diffusi,
    vergini come i calici
    appena schiusi,
    notturne come le rugiade
    dei cieli,
    funebri come gli asfodeli
    dell’Ade,
    pieghevoli come i salici
    dello stagno,
    tenui come i teli
    che fra due steli
    tesse il ragno.

    La lirica “Le stirpi canore”, tratta dalla raccolta “Alcyone”, e all’interno del componimento si può notare come nella poetica Dannunziana sia centrale l’importanza che il poeta conserva per il culto della parola. Egli sviluppa in modo eccezionale l'arte del linguaggio, scoprendo le più varie suggestioni musicali. L'uso della parola nell’Alcyone segue un'evoluzione estremamente particolare, la cui descrizione viene a coincidere perfettamente da un lato col carattere del poeta, dall'altro con gli aspetti più concreti del mondo che egli contribuì a edificare.

  • Per saperne di più consulta i nostri appunti su Le Stirpi canore
  • Maturità 2020: Qui giacciono i miei cani, D’annunzio

    Qui giacciono i miei cani
    gli inutili miei cani,
    stupidi ed impudichi,
    novi sempre et antichi,
    fedeli et infedeli
    all’Ozio lor signore,
    non a me uom da nulla.
    Rosicchiano sotterra
    nel buio senza fine
    rodon gli ossi i lor ossi,
    non cessano di rodere i lor ossi
    vuotati di medulla
    et io potrei farne
    la fistola di Pan
    come di sette canne
    i’ potrei senza cera e senza lino
    farne il flauto di Pan
    se Pan è il tutto e
    se la morte è il tutto.
    Ogni uomo nella culla
    succia e sbava il suo dito,
    ogni uomo seppellito
    è il cane del suo nulla.

    Questo componimento è una sorta di epitaffio funebre per i cani morti, ed è un epitaffio anche per il panismo simbolistico. Il poeta immagina che il gesto stupido e ripetitivo di rodere ossi, compiuto dai cani in vita, venga ora continuato con eterna ossessione nella morte. È un gesto che si rivela perciò una specie di presagio, nella vita, della condizione mortuaria, e una testimonianza della sua inesattezza all’infuori del tendere inesorabile verso la fine e il nulla.

  • Per saperne di più consulta i nostri appunti su Qui giacciono i miei cani
  • Maturità 2020: Pastori, Gabriele D’Annunzio

    Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
    Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
    lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
    scendono all’Adriatico selvaggio
    che verde è come i pascoli dei monti.
    Han bevuto profondamente ai fonti
    alpestri, che sapor d’acqua natía
    rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
    che lungo illuda la lor sete in via.

    Rinnovato hanno verga d’avellano.
    E vanno pel tratturo antico al piano,
    quasi per un erbal fiume silente,
    su le vestigia degli antichi padri.
    O voce di colui che primamente
    conosce il tremolar della marina!
    Ora lungh’esso il litoral cammina
    la greggia. Senza mutamento è l’aria.
    il sole imbionda sì la viva lana
    che quasi dalla sabbia non divaria.
    Isciacquío, calpestío, dolci romori.

    Ah perché non son io co’ miei pastori?

    La poesia è composta da 5 strofe, di cui 4 hanno 5 versi e l’ultima si compone di un solo verso. I versi sono degli endecasillabi con rime alternate. Come intuibile dal titolo, i protagonisti sono i pastori e i loro greggi che a settembre si spostano dalla montagna dove hanno passato l’estate, verso il mare. Questo spostamento dai pascoli estivi a quelli invernali si chiama” transumanza”, il tutto avviene sullo sfondo della terra natale del poeta: l'Abruzzo.

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