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Maturità 2020 carducci

La Maturità 2023 è ormai alle porte, una manciata di giorni ci separa dalla data di inizio, prevista per il 22 giugno 2023. Dunque sembra evidente che è necessario prepararsi al meglio per affrontare la prima prova scritta, che tornerà dopo due anni di stop.

E una delle tracce riguarda l'analisi di un testo di letteratura italiana: ma come fare bella figura in questo caso? Scopriamolo insieme.

Analisi del testo Maturità 2023: come affrontarla al meglio

Come ormai saprai a memoria, la Prima Prova di Maturità 2023 avrà luogo mercoledì 21 giugno, alle ore 8:30, e avrà come oggetto l'Italiano. Il fine dello scritto, uguale per tutti gli studenti d'Italia, è quello di accertare la padronanza della lingua italiana e sarai proprio tu a scegliere una tra le diverse tracce quella che potrà essere la più congeniale e vicina al tuo stile stile.

Sette le tracce, suddivise in tre tipologie:

  • Tipologia A – Analisi del testo (due tracce): La prova si articolerà in una comprensione del testo e nella sua analisi. Gli autori proposti faranno parte di tutti gli scrittori che hanno operato dall'Unità d'Italia ad oggi.
  • Tipologia B – Testo argomentativo (tre tracce): Composta da un breve estratto su cui gli studenti dovranno lavorare. Si articolerà in comprensione e produzione del testo, in cui sarai chiamato ad argomentare la tua tesi con fatti e prove che possano valorizzarla.
  • Tipologia C – Tema di Attualità (due tracce): Servirà svolgere un ragionamento su problematiche del presente e vicine al contesto sociale e culturale attuale, attraverso la produzione di un tema personale.

Uno dei poeti che facilmente potrebbe essere selezionato e quindi potresti trovarti ad affrontare in sede di prima prova è senza dubbio Carducci: ecco dunque una raccolta delle sue 5 composizioni più importanti.

San Martino di Giosuè Carducci

La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;

Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de’ tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirar

Tra le rossastre nubi
Stormi d’uccelli neri,
Com’ esuli pensieri,
Nel vespero migrar.

Nella lirica "San Martino", forse uno dei componimenti più famosi dell’intera produzione letteraria di Carducci, noto anche con il nome del primo verso, ovvero “La nebbia agli irti colli”, il poeta descrive l'atmosfera festosa del giorno di San Martino, cioè l'11 novembre in un borgo della Maremma Toscana.

  • Per saperne di più sul componimento consulta i nostri appunti su Poesia San Martino.
  • Pianto Antico: Maturità, Giosuè Carducci

    L’albero a cui tendevi
    La pargoletta mano,
    Il verde melograno
    Da’ bei vermigli fior,

    Nel muto orto solingo
    Rinverdí tutto or ora
    E giugno lo ristora
    Di luce e di calor.

    Tu fior de la mia pianta
    Percossa e inaridita,
    Tu de l’inutil vita
    Estremo unico fior,

    Sei ne la terra fredda,
    Sei ne la terra negra;
    Né il sol più ti rallegra
    Né ti risveglia amor.

    Un’altra lirica decisamente famosa e molto importante è Pianto Antico, componimento inserito all’interno della raccolta Rime nuove, che ha al suo interno le liriche scritte dal 1861 al 1887. La poesia è dedicata al figlio Dante, morto a soli 3 anni di età, molto probabilmente di tifo.

  • Per saperne di più sul componimento consulta i nostri appunti su Carducci, Giosué - Pianto Antico
  • Maturità Carducci: Nevicata

    Lenta fiocca la neve pe ‘l cielo cinereo: gridi,
    suoni di vita più non salgono da la città,

    non d’erbaiola il grido o corrente rumore di carro,
    non d’amor la canzon ilare e di gioventù.

    Da la torre di piazza roche per l’aere le ore
    gemon, come sospir d’un mondo lungi dal dì.

    Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati: gli amici
    spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.

    In breve, o cari, in breve – tu càlmati, indomito cuore –
    giù al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò.

    Questa poesia, più tarda rispetto alle precedenti, scritta nel 1889, rivela un Carducci un po' diverso da quello combattivo e vitale che la tradizione privilegiata: l'autore appare qui ripiegato più riflessivo, impegnato in una meditazione sulla morte e sulla fugacità della vita, con una presenza quasi ossessiva della memoria dei cari defunti. A questo stato d'animo fa da sfondo la città coperta dalla neve.

  • Per saperne di più sul componimento consulta i nostri appunti su Carducci, Giosuè - Nevicata
  • Maturità, Carducci: Alla stazione in una mattina d'autunno

    Oh quei fanali come s'inseguono
    accidiosi là dietro gli alberi,
    tra i rami stillanti di pioggia
    sbadigliando la luce su 'l fango!
    Flebile, acuta, stridula fischia
    la vaporiera da presso. Plumbeo
    il cielo e il mattino d'autunno
    come un grande fantasma n'è intorno.
    Dove e a che move questa, che affrettasi
    a' carri foschi, ravvolta e tacita
    gente? a che ignoti dolori
    o tormenti di speme lontana?
    Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
    al secco taglio dài de la guardia,
    e al tempo incalzante i begli anni
    dài, gl'istanti gioiti e i ricordi.

    Van lungo il nero convoglio e vengono
    incappucciati di nero i vigili
    com'ombre; una fioca lanterna
    hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
    freni tentati rendono un lugubre
    rintocco lungo: di fondo a l'anima
    un'eco di tedio risponde
    doloroso, che spasimo pare.
    E gli sportelli sbattuti al chiudere
    paion oltraggi: scherno par l'ultimo
    appello che rapido suona:
    grossa scroscia su' vetri la pioggia.
    Già il mostro, conscio di sua metallica
    anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
    occhi sbarra; immane pe 'l buio
    gitta il fischio che sfida lo spazio.
    Va l'empio mostro; con traino orribile
    sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
    Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
    salutando scompar ne la tenebra.
    O viso dolce di pallor roseo,
    o stellanti occhi di pace, o candida
    tra' floridi ricci inchinata
    pura fronte con atto soave!
    Fremea la vita nel tepid'aere,
    fremea l'estate quando mi arrisero;
    e il giovine sole di giugno
    si piacea di baciar luminoso
    in tra i riflessi del crin castanei
    la molle guancia: come un'aureola
    piú belli del sole i miei sogni
    ricingean la persona gentile.
    Sotto la pioggia, tra la caligine
    torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
    barcollo com'ebro, e mi tocco,
    non anch'io fossi dunque un fantasma.
    Oh qual caduta di foglie, gelida,
    continua, muta, greve, su l'anima!
    Io credo che solo, che eterno,
    che per tutto nel mondo è novembre.
    Meglio a chi 'l senso smarrì de l'essere,
    meglio quest'ombra, questa caligine:
    io voglio io voglio adagiarmi
    in un tedio che duri infinito.

    Alla stazione in una mattina d'autunno è un componimento che fa parte dalla raccolta Odi Barbare. In questa lirica possiamo ritrovare alcuni dei motivi principali della malinconia del poeta, come la partenza della donna amata, Lina, detta Lidia, un addio che si consuma alla stazione di Bologna, sullo sfondo di un malinconico mattino autunnale.

  • Per saperne di più sul componimento consulta i nostri appunti su Carducci, Giosuè - Alla stazione in una mattina d'autunno
  • Carducci: Dinnanzi alle terme di Caracalla, Maturità

    Corron tra ‘l Celio fosche e l’Aventino
    le nubi: il vento dal pian tristo move
    umido: in fondo stanno i monti albani
    bianchi di nevi.

    A le cineree trecce alzato il velo
    verde, nel libro una britanna cerca
    queste minacce di romane mura
    al cielo e al tempo.

    Continui, densi, neri, crocidanti
    versansi i corvi come fluttuando
    contro i due muri ch’a più ardua sfida
    levansi enormi.

    ‘Vecchi giganti’ par che insista irato
    l’augure stormo ‘a che tentate il cielo?’
    Grave per l’aure vien da Laterano
    suon di campane.

    Ed un ciociaro, nel mantello avvolto,
    grave fischiando tra la folta barba,
    passa e non guarda. Febbre, io qui t’invoco,
    nume presente.

    Se ti fur cari i grandi occhi piangenti
    e de le madri le protese braccia
    te deprecanti, o dea, da ‘l reclinato
    capo de i figli:

    se ti fu cara su ‘l Palazio eccelso
    l’ara vetusta (ancor lambiva il Tebro
    l’evandrio colle, e veleggiando a sera
    tra ‘l Campidoglio

    e l’Aventino il reduce quirite
    guardava in alto la città quadrata
    dal sole arrisa, e mormorava un lento
    saturnio carme);

    febbre, m’ascolta. Gli uomini novelli
    quinci respingi e lor picciole cose:
    religïoso è questo orror: la dea
    Roma qui dorme.

    Poggiata il capo al Palatino augusto,
    tra ‘l Celio aperte e l’Aventin le braccia,
    per la Capena i forti omeri stende
    a l’Appia via.

    Questa è una delle liriche che ha consacrato Carducci come grande poeta del secolo scorso. Il componimento citato sopra è un racconto della storia e della situazione dell’Italia, di ciò che essa ha avuto, del suo passato che però non riesce a sfruttare al meglio, tutto visto dagli occhi del poeta. Ed è proprio Carducci a parlare di indifferenza dei passanti e di queste terme, che sta rimirando, e che gli trasmettono l’impressione di decadenza e declino.

  • Per saperne di più sul componimento consulta i nostri appunti su Carducci, Giosuè - Dinnanzi alle terme di Caracalla
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