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L’ASSENZA DELLO STATO
Il Medioevo giuridico (in profonda discontinuità con l’età classica) ha inizio nei secoli IV e soprattutto V d.C.,
vale a dire con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente. Quest’epoca si caratterizza per:
Vuoto politico: è ovvio che il potere politico fu variamente esercitato (a volte anche tirannicamente), ma
durante tutta la vicenda medievale mancherà quella psicologia totalizzante e omnicomprensiva che sarà
invece il tratto distintivo della modernità matura. Il principe medievale esiste, ma si occupa solo di ciò
che gli serve al mantenimento saldo del potere (milizia, amministrazione pubblica delle imposte,
repressione), NON di tutti i fili dei rapporti sociali ed economici;
Debolezza e incompiutezza del potere politico (incompiutezza sta per carenza di ogni vocazione
totalizzante, per incapacità e per indifferenza a occuparsi di tutte le manifestazioni sociali);
LE CAUSE
Numerose sono le cause dell’assenza dello Stato:
Dal punto di vista storico, dal IV al VI secolo:
Guerre, epidemie e carestie;
Enorme crisi demografica;
Una sempre più difficile sopravvivenza quotidiana;
Reciso reicentrismo: all’antropocentrismo della civiltà classica si va sostituendo un reciso reicentrismo
(=centralità della res e del cosmo + atteggiamento pessimistico e sfiduciato nelle capacità dell’uomo).
L’inserimento nella civiltà mediterranea di stirpi nordiche (Ostrogoti, Visigoti, Vandali, Svevi, Longobardi,
Burgundi e Franchi), che creano stabili strutture politico-sociali e importano il proprio diritto.
La Chiesa romana, capillarmente diffusa sul territorio (arriva fino alle più appartate campagne), vedeva
di malocchio un potere politico forte e invadente.
I RISULTATI
I risultati sono 2:
Un potere politico connotato da un’intrinseca incompiutezza;
Il restringersi del vincolo potere/diritto (=il diritto concepito e realizzato quale ombra del potere, il
diritto proveniente dall’alto sotto forma di comando) alle sole zone del “giuridico” che servono al
principe nell’esercizio delle sue potestà. Nel Medioevo, dunque, il diritto:
nasce dal basso;
è la stessa realtà complessa e magmatica della società che si auto-ordina salvandosi;
è un ordine scritto nelle cose (fisiche e sociali);
ha un carattere ordinativo (nasce dal basso e considera rispettosamente la realtà oggettiva);
è il costume che, avvertito come valore della vita associata, viene osservato e diventa vincolante;
è l’espressione della pluralità di forze presenti in un certo assetto sociale;
acquisisce una sua autonomia (in autonomia, ossia senza alcuna imposizione, la società è alla ricerca
di intenzioni giuridiche che le garantiscono la salvezza;
è plurale (per tutto il Medioevo convivono insieme diversi ordinamenti giuridici prodotti da diversi
gruppi sociali, anche se sono tutti soggetti a una stessa autorità politica).
LA NOZIONE DI STATO
Il termine “stato” (con la s minuscola) sta per ceto / rango sociale;
Il termine “Stato” (con la S maiuscola) indica un soggetto politico connotato da una psicologia potestativa
monopolizzante e omnicomprensiva, nonché l’incarnazione storica di un potere politico perfettamente
compiuto. Per tutto l’arco della civiltà medievale, non c’è dato di cogliere quel potere politico compiuto
a cui noi moderni siamo solitamente abituati e a cui abbiamo dato il nome di “Stato”.
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PARTE II: IL TRIONFO DELLE COMUNITÀ INTERMEDIE
PERFEZIONE DELLA COMUNITÀ E IMPERFEZIONE DELL’INDIVIDUO
A causa dell’incompiutezza del potere politico, a livello antropologico (a livello cioè della posizione e del
ruolo dell’uomo nel mondo fisico e storico) assistiamo:
all’insufficienza del soggetto singolo, alla sua naturale imperfezione, alla sua esigenza primaria di
rannicchiarsi in seno a comunità ospitali e prospettive (nel Medioevo, questi non ha vita facile);
al proliferare di società intermedie, ossia assetti comunitari intermedi che:
sostituiscono l’assente forza superiore dello Stato;
mantengono la quiete sociale;
si propongono come nicchie;
consentono al soggetto singolo di sopravvivere (è una sopravvivenza uti socius e non uti singulos ->
l’individuo sopravvive come membro di una comunità, non come individuo solitario, inerme e
fragilissimo) e di godere di un minimo di presenza sociale.
Numerose e varie sono le comunità: nuclei pluri-familiari, aggregati gentilizii, corporazioni di indole
religiosa, assistenziale, professionale, micro-politica. Quella medievale è quindi una società di società.
Alla convinzione perenne dell’imperfezione del singolo e della sua strutturale fragilità contribuisce anche la
Chiesa Romana, dominata dall’idea di fondo di una comunità salvante, di una salvezza eterna difficilmente
raggiungibile dal fedele isolato (“fuori della comunità ecclesiale non c’è salvezza”).
PARTE III: IL VUOTO CULTURALE E LA FATTUALITÀ DEL DIRITTO
IL VUOTO CULTURALE
Oltre al vuoto politico, il crollo dell’Impero Romano d’Occidente causa anche un vuoto culturale: della
raffinata cultura greco-romana restano sì delle tracce, ma non vi è alcuna circolazione nella società; anche
la scienza giuridica appare perduta (è “inutilizzabile” e “inutilizzata”). Nella realtà socio-economica che
prende campo dalla fine del IV secolo non servono eleganze (non c’è più spazio per queste), ma strumenti
in grado di rispondere alle esigenze della quotidianità. E così, la società medievale si dà da fare per inventare
quegli strumenti giuridici in grado di soccorrere e ordinare il reale.
LA FATTUALITÀ DEL DIRITTO
Nel Medioevo, si parla di fattualità del diritto perché il diritto deriva dai fatti (li riscopre nella loro genuinità
e si lascia modellare da essi), quegli stessi fatti materiali, naturali o economico-sociali che hanno in sé una
potenziale carica giuridica che attende solo di manifestarsi.
La natura: Nel medioevo, dunque:
La natura e la società si esprimono senza imbavagliamenti;
La natura fisica fa da padrona: è una forza primordiale enorme, misteriosa, vitalissima, fonte di vita; è
temuta e rispettata (l’uomo si limitai a registrare le regole che crede di leggere in essa scritte) -> si parla,
quindi, di naturalismo (è sulla dimensione della natura fisica che la dimensione umana si modella) e di
primitivismo (il tratto caratterizzante di una società primitiva consiste nel subire la natura fisica al punto
di compenetrarsi in essa fino a confondervisi.
Terra, sangue e tempo: 3 sono i fatti veramente determinanti nel disegno del nuovo ordine giuridico:
La TERRA: è materna, fonte produttiva e di sopravvivenza (permette di ovviare alla fame grazie alla
coltivazione e alla produzione -> queste non si affidano al singolo, ma al gruppo e, verticalmente, alla
catena generazionale di gruppi successivi).
Il SANGUE: opera un legame inscindibile fra soggetti (è un prezioso segno di identità in un crescendo che
va dalla famiglia alla natio, al grande gruppo di coloro che nascono da uno stesso ceppo e formano la
stessa stirpe). Il sangue unisce coloro che sono partecipi dello stesso ceppo, ma inesorabilmente separa
da coloro che di questa partecipazione non fruiscono; unisce separa anche sotto il profilo giuridico
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(stesso sangue reclama stesso diritto; diverso sangue esige, al contrario, l’assoluta incomunicabilità) -> è
il principio della personalità del diritto.
Il TEMPO: inteso come durata, come un martellio di mesi e di anni che crea, estingue e modifica; può
esprimersi soltanto nella continuità delle generazioni, che annulla il singolo come il punto in una linea. Il
tempo è anche memoria che trova nella collettività la sua nicchia conveniente. Infine, non è effimero ma
un accumulo continuativo di momenti che, per il suo scorrere fattuale, incide a fondo sul piano del diritto.
Queste 3 forze primordiali minimizzano il contributo dell’individuo singolo, elevando a protagonista il gruppo
(sottolineano l’imperfezione dell’individuo rispetto alla perfezione della comunità).
PARTE IV: IL PRIMATO DELLA CONSUETUDINE
LA CONSUETUDINE E IL SENTIERO
Conseguenza di questa fattualità del diritto è la prevalenza di un diritto consuetudinario (la consuetudine è
la fonte generatrice e consolidatrice del diritto). Per spiegare cosa sia la consuetudine, si ricorre spesso
all’immagine di un sentiero tracciato in un bosco. Il sentiero non c’è fino a quando il soggetto intraprendente
non compie i primi passi in una certa direzione, seguito poi da un numerosissimo stuolo di imitatori convinti
che quello sia l’attraversamento più rapido (il sentiero non è dunque che è un’infinità di passi costantemente
ripetuti nel tempo). Lo stesso avviene nella formazione della consuetudine, che è un fatto ripetuto nel
tempo in seno a una comunità piccola o grande perché avvertito con una valenza positiva. La consuetudine,
quindi, è un “fatto normativo” (di per sé è un qualcosa di vincolante).
LE SUE CARATTERISTICHE
La consuetudine serba necessariamente alcuni caratteri fondamentali:
Nasce dal basso, dalle cose, dalla terra e dal particolare;
Non è un comportamento solitario (solo dalla ripetizione collettiva di un certo comportamento che trae
origine), ma esprime un gruppo, una collettività, che può diventare assai ampia col perdurare del tempo;
Sintetizza in sé le convinzioni e i valori che la nuova civiltà giuridica ha posto come suo fondamento;
Si sviluppa localisticamente (è limitata a ristrette aree particolari -> ogni terra ha la sua consuetudine);
È, come è stata definita da alcuni, la costituzione del primo Medioevo (intendendo per costituzione non
una carta di principi redatta per iscritto, ma un tessuto di regole non scritte e vincolanti). Costituzione
anche perchè è ciò che costituisce le diverse comunità socio-politiche.
È nella consuetudine che si trova il diritto, non nei comandi dei vari principi (devono osservare e rispettare
la consuetudine e non sono produttori di diritto; la loro virtù sta nella loro aequitas, vale a dire nel rendere
giustizia secondo quanto scritto nella natura delle cose).