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Greco: Isocrate; Demostene
Italiano: Giovanni Verga (Libertà); Gabriele D'Annunzio
Storia: il Fascismo; la Resistenza
Filosofia: Friedrich Nietzsche (volontà di potenza); Karl Marx (concetto di libertà)
Inglese: George Orwell
Geografia astronomica: le stelle
liberi bisogna saper distinguere ciò che è bene da ciò che è male.
La vera libertà non si misura mica con il metro della nascita. la
sorte determina il destino di una persona ed essa può volgere le
spalle a chiunque: secondo Seneca ognuno dovrebbe comportarsi
con gli schiavi come vorrebbe che il padrone che un giorno
potrebbe avere si comportasse con lui, cioè con familiarità e
clemenza. Seneca inoltre riflette sulla schiavitù e sui suoi termini;
egli ritiene che anche gli uomini giuridicamente liberi ma soggetti
alle passioni non possono esser definiti tali. Essi sono schiavi
volontari. “mostrami chi non è schiavo :uno lo è della libidine, l’altro
dell’avarizia, l’altro dall’ambizione, tutti della paura”. Seneca
suggerisce ciò, per non provocare rivoluzioni e sovvertimenti
dell’ordine sociale. Pensa che cambiando atteggiamento il vecchio
proverbio “tanti nemici quanti schiavi” sarebbe vacuo ed effimero,
incapace di ledere i valori fondamentali della società romana ossia
l’amore ed il rispetto e non più il timore.
“Non può vivere felice colui che guarda solo a sé, che tutto volge
alla sua utilità. Vivi per gli altri se vuoi vivere per te.”
La vita politica attiva che Seneca alternò a quella contemplativa lo
vide a contatto con il potere. Nel primo libro del “De clementia”,
Seneca afferma che ovviamente le forme di governo sono
eterogenee e molteplici, ma unico è il sistema di comandare i
cittadini per il principe, i figli per il padre, i discepoli per il maestro
quello dell’ammonizione e mai del terrore e della minaccia.
Diventato da poco imperatore Nerone , Seneca gli propone l’ideale
etico-politico della clemenza, che mirava alla ace e all’equilibrio tra
il principe ed i sudditi. La massima gloria del principe compare nel
momento in cui egli riesce a sottrarre ai cittadini la propria ira. Il re
è il capo dello Stato, i sudditi sono le membra, e come le membra
ubbidiscono al capo, essi sono disposti ad ubbidire al re, e ad
affrontare anche la morte per lui. Egli è lo spirito vitale che tutte
queste migliaia di persone respirano. Seneca si ricollega alla
tradizione romana, la quale aveva posto al centro delle virtù
imperiali “la clemenza”. Nerone aveva dichiarato che avrebbe
governato “ex Augustii praescripto”. Il carattere encomiastico
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Libertà e Volontà di potenza Mario Linora III° A
dell’opera è chiaramente visibile non appena il filosofo afferma che
Nerone fu più clemente di Augusto, che lo fu verso i vinti soltanto
dopo la conclusione delle guerre civili, viceversa Nerone, non ha
nervato in tutto il mondo neppure una goccia di sangue, essendo
per l’appunto mite e generoso. Per Seneca la libertà, è unicamente
dentro di noi, e nessuno può strapparla fuori. Nella sapienza, nel
disprezzo del nostro corpo caduco è la libertà più sicura. La libertà
interiore potrà essere conquistata, soltanto se sapremo rivolgerci a
cose molto più grandi della schiavitù del corpo, diventeremo così
possesso di noi stessi.
“mi domandi quale sia la strada per andare verso la libertà? Una
qualsiasi vena del tuo corpo” TACITO
“Il desiderio di gloria è l'ultima
aspirazione di cui riescono a
liberarsi anche gli uomini più
saggi.”
“Il desiderio di resistere
all'oppressione è radicato nella
natura umana.”
La concezione storiografica di tacito
risponde a modello l’illustre esempio di storiografia di Sallustio e di
Lucilio. Compito di Tacito è quello di narrare le vicende con assoluta
imparzialità e obiettività, distaccandosi dal concetto di storiografia
recente, in cui vengono meno le qualità artistiche, ma la verità con
fervore viene calpestata o per cortigianeria “libido adsentandi” o
per una malevolenza contro i potenti, la quale poteva esser
facilmente scambiata per libertas. Non solo si preoccupa di
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Libertà e Volontà di potenza Mario Linora III° A
ricostruire il vero attraverso una profonda analisi delle fonti storiche
prese in considerazione, ma cita anche i “rumores” ossia le dicerie,
le indiscrezione ampiamente diffuse nell’urbe. Sostenendo il diritto-
dovere rivendicato dagli storici antichi di valutare gli eventi, Tacito
esprime severi e gravi giudizi di condanna, su difetti, vizi e
debolezze dei personaggi trattati, rendendo chiaramente visibile il
suo moralismo pessimistico. Tacito presenta una concezione
pessimistica della natura umana, volta a valutare le azioni di ogni
atto meno nobili, offrendone sempre l’interpretazione più
sfavorevole. La diversità della storiografia rispetto a quella dei suoi
predecessori, è legata ad un mutamento sostanziale della società
romana. In un breve passo degli Annales Tacito osserva che gli
eventi che sta per narrare son poca cosa rispetto a quelli
precedenti. Tacito imputa la causa di questo declassamento degli
eventi storici attuali al nuovo contesto politico. Egli è lo storico della
libertà perduta, della libertas di pochi legati al privilegio, narrando
lo scadimento della classe senatoria oppressa dal potere imperiale.
Tacito si sofferma ampiamente su i meschini intrighi di corte, di
persecuzione, di rancori e di odi personali, di delazioni, di
adulazioni, di imposizioni arbitrarie creando un’ atmosfera
stagnante e mefitica “nobis in arto et in gloriosus labor”, sul
problema di come possa esser garantito allo Stato un principe
energico ed illuminato, ossia un principe “capax imperii”. Tacito
vede il principato come necessario anche se causa ed effetto della
decadenza. Il principato è “remedium” ossia un intervento
necessario ma doloroso. Lo storico afferma che la libertà
repubblicana non si può più resuscitare ma si può soltanto
rimpiangere, di conseguenza muta anche l’atteggiamento verso il
potere assoluto, approfondendone l’analisi. Inizialmente esalta il
principato, ne “l’Agricola” e nel “Dialogus”, delineandone gli aspetti
positivi, ma successivamente egli muta la propria considerazione
lasciandone trapelare una più amara e pessimistica, declassandolo
d’importanza, ritenuto responsabile della perdita d’ordine, di
equilibrio e tranquillità all’ interno dell’impero romano. All’interno
delle “Historiae” Tacito mostra un chiara speranza: che lo stato
romano possa risollevarsi, e si ripromette di scrivere
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Libertà e Volontà di potenza Mario Linora III° A
successivamente la storia dell’impero di Nerva e Traiano esemplari
figure dell’ “optimus princeps” come un’età migliore “per la rara
felicità di questi tempi in cui si può persare ciò che si vuole e dire
ciò che si pensa.” Tacito credeva fortemente che l’antico splendore
dell’impero romano si realizzasse anche attraverso l’uso
“dell’adoptio”. Il principato adottivo venne istituito da Nerva che
scelse come suo successore Marco Ulpio Traiano, di origine
spagnola e comandante dell’esercito romano. Tacito riconosce a
Nerva e a Traiano il merito di aver saputo conciliare principato e
libertà; infatti egli presenta il buon principe come colui che realizza
il compromesso tra libertas et servitus. Principatus et Libertas sono
conciliabili solo idealmente, in fatti in seguito egli nel completare la
storia degli imperatori precedenti esprime un giudizio negativo
sull’impero ivi compreso quello di Ottaviano Augusto, che era preso
a modello dalla propaganda del principato Traianeo. I regni di
Traiano ed Adriano che ciò era effettivamente impossibile. Perciò il
suo pessimismo si aggravò perdendo ogni luce di speranza.
Sebbene fosse un accanito sostenitore dell’imperialismo romano,
Tacito ammira lo spiritò di libertà dei Britanni, la fierezza della loro
indole non corrotta dalla civiltà all’abitudine al servilismo. Tacito
esaminando il rapporto delle province con l’Italia e con il governo
entrale, ci fornisce un esempio di come sia cambiata la sua
prospettiva e la sua concezione storiografica. Egli riteneva che dalla
storia si possa ricavare un insegnamento politico e si sforza di
presentare oggettivamente i fatti, perché essi possano esprimere la
loro lezione. Negli Annales lo storico rinuncia a risolvere i problemi
storici e ripiega sul fatalismo. Si allontana dai grandi fenomeni,
concentrandosi sulla psicologia delle singole persone, sul chiuso
ambiente della corte. Tralasciati i discorsi di tipo “Tucidideo” si da
ampio spazio alle voci confuse e malevoli di una folla anonima
nascosta nell’ombra, ossia fa riferimento ai “rumores”. Tutto
diventa più oscuro, incerto ed impenetrabile. Significativo è il brano
degli Annales, in cui si narra la vicenda dell’imperatore Nerone che
di ritorno a Roma avvolta dalle fiamme ivi compreso il suo palazzo,
egli fosse salito sul palcoscenico per cantare la distruzione di Troia.
La speranza di poter conciliare Principatus et Libertas, negli Annales
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Libertà e Volontà di potenza Mario Linora III° A
è sicuramente negata. Qui traspare un cupo pessimismo,
sottolineato dall’impossibilità di un equilibrio fra il “rector e
“l’aristocrazia senatoria”. A modello degli antichi valori di “Virtus”
egli propone ne “La Germania” la popolazione che viene esaltata
per i costumi primitivi non macchiati dalla dilagante corruzione di
Roma. Dei Germani Tacito elogia il coraggio, l’amore per la guerra,
la semplicità di costumi e soprattutto la forma primitiva di libera
democrazia fondata sull’ubbidienza agli uomini più virtuosi. È
manifesta all’interno degli Annales la volontà di potenza dello
storico, che desidera una società forte e dai caratteri virtuosi
riscontrandoli nella passata repubblica. Afferma che la pace
perpetua è una cosa dannosa, in quanto rammollisce gli animi e li
spinge verso l’inerzia; nei militari degli alti gradi vede l’ultimo
ricettacolo della virtù e della disciplina del passato. In quest’analisi
Tacito prende atto del contrasto tra principato e libertà: infatti egli
crede che il problema non è nella struttura o nella costituzione, ma
è insito negli uomini. La storia è soprattutto individualistica, sono gli
individui attraverso i meccanismi della loro psiche a regolare gli
eventi. Il governo di uno solo secondo Tacito ha posto fine alla
libertà politica, conducendo all’infiacchimento delle coscienze e al
servilismo, senza libertà politica è difficile conservare dignità
morale e altezza d’animo. Non scorgendo la benché minima
possibilità di un regime politico migliore di quello esistente, né
pensa che possa esser restaurata la repubblica, e che la vecchia
aristocrazia possa dirigere lo Stato. La libertà per Tacito è
pericolosa, quando non vi sia negli animi il freno della coscienza e
della disciplina morale. Odia le tirannidi, non odia di meno le lotte
civili e i moti di folla. Tacito apprezza il valore morale dei gesti di
sfida degli oppositori, “l’exitus” di uomini illustri che si diedero la
morte nell’epoca più oscura della tirannide, come accadde a
Seneca, sono una vana ostentazione di virtù ai fini del recupero
della libertà perduta. 9
Libertà e Volontà di potenza Mario Linora III° A
ISOCRATE
Isocrate è uno dei maggiori maestri di
retorica ed in particolar modo di
oratoria epidittica. L’orazione
epidittica è quella che fa il maestro e
serve ai discepoli affinché capiscano
come impostare un discorso. Per
Isocrate l’orazione è un saggio scritto
su determinate condizioni della sua città, perché l’autore non era
mai riuscito a parlare davanti al pubblico come Demostene. Fondò
la sua celebre scuola di retorica da cui uscirono poeti, tragici e
storici, oratori ed uomini politici, come il prediletto tra i suoi
discepoli Timoteo. Il corpus Isocrateo sembra esser unicamente
incentrato sul culto della perfezione formale, ma un’analisi accurata
della sua opera, permette di rinvenire un alto momento nella storia
dell’educazione, inoltre la sua teoria civile e politica mostra la
consapevolezza del cambiamento che avrebbe portato l’egemonia
macedone sull’intera Attica. La sua produzione definisce il poeta
come profeta del futuro. La sezione della produzione Isocratea che