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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2009

Titolo: "Il cinema negli anni '50-'60"

Autore: Guglietti Ambra

Descrizione: ho svolto la presente tesina analizzando sei film realizzati negli anni '50-'60. partendo dal singolo film, ho collegato un argomento di ogni materia, seguito da una recensione originale del film trattato. é un lavoro originale attorno ad un tema inter

Materie trattate: Italiano, Latino, Inglese, Storia, Filosofia, Storia Dell'Arte, Geografia Astronomica

Area: umanistica

Sommario: Ogni materia trova il suo collegamento nel film trattato, principalmente per analogia di argomenti: per Italiano ho scelto il film "La Terra trema- Episodio del mare", di Luchino Visconti, realizzato nel 1948, liberamente ispirato a "I Malavoglia" di Verga; per Latino ho analizzato "Fellini- Satyricon", di Federico Fellini, del 1969, tratto dall'omonimo Satyricon di Petronio; per Inglese "Animal Farm", di Joy Batchelor e John Halas, realizzato nel 1955, tratto dal romanzo di George Orwell. Per Storia dell'Arte ho scelto "Il mistero Picasso", di Henri-Georges Clouzot, uscito nelle sale nel 1955, interpretato da Pablo Picasso stesso, che si mostra all'opera nella realizzazione di moltissimi quadri in tempo reale. Storia e Filosofia le ho collegate insieme al film "Easy Rider", di Dennis Hopper, del 1969, basato su un viaggio attraverso la cultura giovanile degli anni '60 e le rivoluzioni studentesche, ideologicamente influenzate da uno degli esponenti della "Scuola di Francoforte", Herbert Marcuse. Infine, per Geografia astronomica, ho preso in esame il famoso "2001- Odissea nello spazio", di Stanley Kubrick, del 1968, un viaggio su Giove sfidando le leggi del tempo e dello spazio, un evento fantascientifico, che nella realtà  può trovare riscontri solo con il viaggio sulla Luna che l'uomo è riuscito a realizzare, del quale, però, si hanno ben poche certezze.

Estratto del documento

imprecazioni . La sintassi è elementare e a

volte scorretta e in essa appare la struttura

dialettale, anche se Verga non usa mai

direttamente il dialetto e se deve citare un

termine dialettale lo isola per mezzo del

corsivo. Verga afferma di aver cercato,

nelle sue opere, "di mettere in prima linea,

e solo in evidenza l'uomo, dissimulando ed

eclissando per quanto si può lo scrittore”.

Egli nelle sue dichiarazioni teoriche sembra

dunque propenso verso una tecnica

narrativa in cui la psicologia dei personaggi

emerga solo dai dialoghi e dalle azioni, ma

in realtà non tutti i suoi personaggi sono visti dall'esterno e non sempre si conoscono i pensieri

e i sentimenti solamente attraverso i gesti e le parole. Capita anzi spesso che il punto di vista

del racconto coincida con quello di un personaggio, in modo che noi, vedendo le cose con i suoi

occhi, le interpretiamo attraverso i suoi giudizi e veniamo posti al centro della sua psiche. Se la

riproduzione sincera della realtà oggettiva, con l'esclusione di ogni intervento giudicante

dall'esterno, può condurre all'annullamento di ogni rapporto critico tra l'autore e la materia,

Verga riesce, proprio grazie alla sua particolare tecnica narrativa, ad evitare questo rischio.

Infatti, la regressione nella realtà rappresentata determina non un unico livello, ma un gioco di

piani e di punti di vista. Viene così spesso, nei racconti di Verga, ad opporsi un punto di vista

alternativo che è interno alla realtà, come nel caso di Rosso Malpelo, dove al mondo della

miniera, che accetta in modo passivo i meccanismi della lotta per la vita, viene a contrapporsi il

punto di vista del protagonista, che è illuminato da una sua consapevolezza critica. Così avviene

anche nei Malavoglia, in cui si oppone alla realtà del villaggio, dominata dall'interesse e

dall'egoismo, il punto di vista dei protagonisti, che è ispirato ai valori più puri e disinteressati,

come la famiglia, l'onore, la generosità. Ma anche dove è dominante l'ottica della lotta per la

vita, come nella novella "La roba", il rapporto critico con la realtà non viene ad annullarsi.

Infatti, proprio l'accettazione apparente della logica del protagonista, che sembra ignorare ogni

senso di umanità e di generosità, viene a creare un forte attrito con il modo giusto di vedere le

cose a cui l'autore fa riferimento in modo implicito. Verga, dunque, pur restando fedele al

principio dell'impersonalità, non accetta, grazie alla tecnica dello straniamento, il lato negativo

della realtà in modo acritico, ma fa scaturire dalle cose stesse il giudizio.

(Le immagini sopra riportate sono tratte dal film “La terra trema” di Luchino Visconti, 1948) 7

RECENSIONE DEL FILM “LA TERRA TREMA- EPISODIO DEL MARE”

“Come sempre i primi ad iniziare la giornata ad Aci Trezza sono i mercanti di pesce…”

È la prima frase di un romanzo, di un paese, delle condizioni di vita di un popolo, un popolo che

con il resto dell’Italia condivide ben poco, a partire dalla lingua, esclusivamente dialettale.

Siciliani, che vivono non lontano da Catania, ad Aci Trezza, un paesino di pescatori, dove i più

poveri subiscono le ingiustizie e lo sfruttamento da parte dei grossisti di pesce, che ogni mattina

cercano di imbrogliare gli anziani pescatori ribassando sempre più i prezzi, impedendo loro di

tornare a casa con il necessario per sfamare la propria famiglia. Una vita difficile, se vita si può

definire, in cui ogni giorno gli uomini si imbattono in quel mare, definito “amaro” dalle donne,

le quali, “spicciando” la casa e ansimando per l’attesa, aspettano i mariti e i familiari.

Tutto per cosa? Per essere condannati dai grossisti, che pensano di comandare il porto e il

mercato del pesce. Sarà ‘Ntoni a tentare di rivoluzionare le cose, a convincere gli altri pescatori

a ribellarsi a tale condanna e, soprattutto, a cercare l’indipendenza per i Valastro.

Liberamente ispirato a I Malavoglia di Giovanni Verga, “l’episodio del mare” fu concepito come

la prima parte della “trilogia della miseria” sui lavoratori siciliani (che avrebbe dovuto

comprendere racconti sui pescatori, minatori e contadini, ma si fermò solo al primo).

Luchino Visconti ritrae le lotte e le sconfitte di ‘Ntoni Valastro e della sua famiglia, guardando ai

personaggi con un distacco che non si lascia commuovere e non commuove, come il narratore

verista faceva nei suoi romanzi, eclissandosi molto spesso dietro il coro popolare. Realizzato nel

1948, il film subì una revisione della lingua, poiché l’edizione originale era caratterizzata da un

uso decadente del dialetto, realmente parlato dagli interpreti, veri pescatori locali in presa

diretta. È un tipico esempio di cinema neorealista, in cui tutto è trasposizione della realtà

sociale italiana dell’epoca, sotto forma di denuncia delle misere condizioni del Meridione. 8

SATYRICON: DA PETRONIO A FELLINI

Satyricon è uno dei pochi film di Fellini nato sulle ceneri di un’opera letteraria, di cui non sono

Petronius Arbiter

rimasti che l’esile traccia e i nomi dei personaggi principali. Dal allo schermo

del cinema, Satyricon si presta bene alla congenialità poetica di Fellini, densa com’è di

situazioni e di fatti straordinariamente adatti a rappresentare l’idea della morte, l’irrazionalità

dell’esistenza, la malinconia della vita, la sessualità prorompente, anche nelle sue

manifestazioni più perverse. Tutto il film è costruito su un’atmosfera di cupa pesantezza , di

movimenti lenti, in una dimensione di glaciale indifferenza, come se i personaggi fossero statue

che improvvisamente riuscissero a respirare e a muoversi. La romanità domina

indiscutibilmente: il teatro, il casino, la pinacoteca, la casa di Trimalchione, la nave di Lica, il

tempio dell’ermafrodito, la festa dei Lupercali sono i momenti più significativi dell’“amoralità” e

della materialità tipica del mondo romano. La stupefacente e struggente ricostruzione della

latinità, dominata dalla morte e dall’ esaltazione fisiologica della vita, sembra venir meno nella

seconda parte del film, che tende a presentare il consueto volto dell’antichità,

rappresentandolo con una scenografia e un’enfasi che sono prodotte dall’immaginazione e che

portano alla degenerazione avventurosa e picaresca. La forza espressiva del Satyricon è

accentuata da un’affascinante e minuziosa ricostruzione della Roma imperiale, considerata nei

suoi valori di assoluta ed amorale indifferenza nei confronti della “persona” umana e

nell’esaltazione fisiologica della felicità, cui fa da contrappunto la presenza incombente e

malinconica della morte. Il Satyricon di Petronio è ricco di riferimenti espliciti a questa

concezione della morte:

<<Dama itaque primus cum pataracina poposcisset: “dies , inquit, nil est. Dum versas te, nox fit”>>

(Petronio, Satyricon XLI; <<Dama per primo, dopo aver chiesto una coppa più grande esclamò:

“il giorno è quasi nulla; non appena ti volti, è subito notte”>>)

L’intersecarsi della vita e della morte ha raggiunto forse il suo vertice, nel mondo latino, nella

rappresentazione del funerale che Trimalchione fa di se stesso (e che Fellini ha tradotto nel suo

Satyricon cinematografico con una sensibilità incredibilmente vicina a quella di Petronio).

Nessun personaggio del Satyricon petroniano si conforma con i valori superiori: non c’è

responsabilità e nemmeno ricerca del senso della vita, ma è pura pulsionalità che si esprime

liberamente attraverso l’istinto, lontano dalla coscienza. È passionalità senza ragione. Anche nel

Satyricon di Fellini non si rintraccia alcuna tensione morale o religiosa e tutti i personaggi

fluttuano in un mondo che non è capace di

provare sentimenti e che soprattutto non prova il

bisogno di soffrire per la miseria o il dolore altrui.

Nel Satyricon tutto ciò che accade non è

provocato da spinte morali; gli uomini agiscono

come possono agire gli insetti. Il Satyricon offre a

Fellini la possibilità di sprofondarsi direttamente

in quel mondo ormai tanto lontano, ma pure così

vicino al suo universo poetico. L’idea della morte,

il sentimento tragico dell’esistenza, la malinconia

e la gioia solare della vita, trovano in quest’opera

una naturale sistemazione. 9

I sentimenti sono ridotti ad istinti, l’amore a sesso:

nella storia di Encolpio e di Ascilto, si innestano i riti

di una società che possiede un gran senso della vita

una vita ridotta alle pure e semplici funzioni del

corpo, come il mangiare, il bere e ogni tipo di

piacere espresso nelle sue forme prettamente

corporee. Tutto si riduce all’unica fonte che ci rende

vivi: il godere. In tale dimensione materialistica

tipicamente dei Romani, Fellini ha espresso la

propria filosofia della vita, che certamente non si

esprime nell’esaltazione di questo modo di vivere,

ma piuttosto nel riconoscere questo come una risposta alla caducità della vita e alla presenza

incombente della morte. Tra le parti che Fellini ha recuperato dal testo originale latino

riconosciamo la cena di Trimalchione, l’aneddoto della matrona di Efeso, la perdita della

potenza virile. Quello che probabilmente ha colpito la fantasia del regista e che lo ha indotto a

tradurre il Satyricon in film è il senso di passaggio (che si avverte nel testo di Petronio) dello

spirito romano da un atteggiamento di sicurezza di sé e di dominio, al lento maturare di

inquietudini e di interrogativi senza risposta. Se il racconto di Petronio è uno specchio realistico

della spietata società neroniana, è anche un documento sulle piccole città di provincia, che

vivono ai margini del Potere, popolate da prostitute, lenoni, ladri, liberti, imbroglioni, gente da

osteria. L’assoluto realismo con cui Petronio ha descritto i suoi personaggi si è coniugato con la

fantasia di Fellini, tesa a cogliere nelle singole situazioni e nei singoli personaggi la materialità di

un mondo che ha sentito con prepotenza il senso malinconico della vita. Infatti, sia la cena di

Trimalchione, sia la novella della matrona di Efeso esprimono, in termini rovesciati, l’intrecciarsi

della materia vivente con la morte. Nel primo episodio citato, il fisiologico, espresso dal

mangiare e dalla sazietà, finisce nella finzione della morte, evocando il funerale; nella novella,

invece, è la morte che produce il sesso, fino all’estremo degrado della donna, che per salvare

l’amante usa il cadavere del marito. Tra le innovazioni apportate da Fellini si nota

principalmente l'aggiunta di nuovi personaggi (che sono il comico Vernacchio, la coppia di

Suicidi, l'Imperatore assassinato, l'Ermafrodito, la Ninfomane) e le vicende che li coinvolgono.

Altra novità di Fellini è l’episodio del labirinto con la lotta tra Encolpio e il Minotauro, evidente

richiamo al mito di Teseo e Arianna, che può essere inoltre inteso come un riferimento ad una

delle tematiche del romanzo petroniano, in quanto le peripezie che Encolpio deve superare

sono presentate come un “labirinto”, poiché il giovane vive un continuo perdersi e ritrovarsi,

caratterizzato, probabilmente, anche dalla frammentarietà dell’opera petroniana a noi giunta. E

ancora l’aggiunta di nuovi luoghi, che finiscono per trascendere il semplice ruolo di

ambientazione e diventano protagonisti essi stessi: l'Insula Felicles innanzitutto, ma anche il

quartiere della Suburra e il Giardino delle Delizie. Avviene nel Fellini Satyricon il contrario di

quello che solitamente è l'adattamento, che di norma si sovrappone al concetto di riduzione

cinematografica.

"Come tentare di ricostruire un'anfora antichissima con i cocci ritrovati secoli dopo",

(F. Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 1980).

Tale ricostruzione è possibile soltanto se c'è il coccio, il frammento. Poiché il coccio non si

inventa, è reale ed è il "ricostruttore" che ha il compito di dare un senso al frammento,

adattando organicamente i pezzi in un insieme. Che poi l'anfora ricostruita sia per sua natura

diversa dall'originale, questo è ciò che avviene in un'operazione di tipo "onirico" come il Fellini

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26 pagine