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Sintesi

Teoria delle stringhe e sinfonia del cosmo relatività  e meccanica quantistica incompatibili portano a teoria delle stringhe

Materie trattate: L'universo elegante di Brian Greene

Estratto del documento

0. INTRODUZIONE

Il Novecento è stato un secolo di grandi mutamenti, sia da un punto di vista “strutturale”,

con i due conflitti mondiali, la minaccia del medio oriente e la rivoluzione della società, sia

da un punto di vista “scientifico”, con la scoperta di nuove teorie fisiche a proposito della

natura che ci circonda. Tuttavia la fisica moderna è minacciata da una nuvola nera che

incombe sulle fondamenta della scienza: le due teorie che fungono da pilastri della fisica

sono, per ora, incompatibili. Stiamo parlando della teoria della Relatività Generale di

Einstein e la Meccanica Quantistica.

Il fatto che in fisica due teorie facciano, per così dire, “a pugni” non è cosa nuova: quella tra

la Relatività Generale e i Quanti è solo il terzo “scontro”, che si è verificato nel

Novecento,tra due teorie fisiche apparentemente incompatibili. La risposta a questo

scontro, come vedremo, è data dalla teoria delle stringhe, una teoria talmente equilibrata

ed elegante che ha portato i suoi pionieri a definirla la “sinfonia del cosmo”. Per giungere

alla teoria delle stringhe dobbiamo prima di tutto analizzare quali sono i presupposti che

hanno condotto molti fisici verso questa strada, cioè le due teorie che al momento regolano

la vita in fisica: relatività e meccanica quantistica, appunto.

1. LA FISICA MODERNA PRIMA DELLA TEORIA DELLE

STRINGHE

1.1 LA RELATIVITÀ RISTRETTA

Il primo conflitto tra due teorie fisiche riguarda la discordanza fra le leggi newtoniane,

secondo cui è possibile raggiungere la velocità di un raggio di luce, e le leggi

elettromagnetiche di Maxwell, che propugnano l’impossibilità di ciò. Il conflitto fu risolto con

la pubblicazione nel 1905 della Teoria dell’Invarianza da parte di un ventiseienne

dipendente dell’ufficio brevetti di Berna: Albert Einstein.

In realtà il conflitto fra le teorie di Maxwell e Newton è un paradosso. Vediamo perché.

A metà ottocento il fisico scozzese James Clerk Maxwell, basandosi su vari esperimenti, scoprì

una connessione fra la forza elettrica e magnetica, cioè il campo elettromagnetico. La teoria

di Maxwell riuscì a dimostrare che le perturbazioni elettromagnetiche si muovevano a

velocità sempre uguale, che si scoprì essere poi la velocità della luce. Da questo Maxwell

dedusse che la luce non è altro che un particolare tipo di onda elettromagnetica.

Andrebbe tutto bene se non ci chiedessimo cosa succederebbe se ci mettessimo a viaggiare

alla velocità della luce. Basandoci sulle leggi di Newton a proposito del moto, potremmo

raggiungere una velocità tale che la luce ci sembrerebbe ferma. Questo contrasta con le

leggi di Maxwell, secondo cui la luce viaggia sempre alla stessa velocità.

Einstein risolse questo paradosso formulando la già citata Teoria dell’Invarianza (a cui

Planck dette il nome di Relatività Ristretta) della velocità della luce.

Fino al Novecento spazio e tempo erano considerati concetti assoluti, ed anche oggi è

difficile separarci da questo “dogma” nel senso pratico. Einstein ribaltò questa concezione: lo

spazio e il tempo sono percepiti in modo diverso da due osservatori in moto relativo l’uno

rispetto all’altro. La conseguenza è che per Einstein due orologi perfettamente identici e

funzionanti indossati da due diversi osservatori segnano l’ora in modo diverso. In generale la

relatività ristretta riguarda proprio una rivoluzione nel fenomeno tempo. Il motivo per cui

ancora oggi non abbiamo fatto nostra la relatività, è che le differenze tra un osservatore

fermo e perfino uno sullo shuttle sono minuscole. Gli effetti sono apprezzabili man mano che

ci si avvicina alla velocità della luce.

Il principio della relatività è molto semplice: prendiamo due astronauti, che per comodità

chiameremo A e B. Immaginiamo che stiano fluttuando nel buio assoluto: mancando un

sistema di riferimento, dal punto di vista di A, egli è perfettamente fermo. A un certo punto

B, con una luce lampeggiante, gli passa accanto. Viceversa si può vedere tutto allo stesso

3

modo dal punto di vista di B. Ognuno dei due astronauti vede l’altro in movimento.

Entrambi hanno ragione. Infatti si può parlare solo di velocità relativa. Non ha senso dire

che A si sta muovendo a 5 Km/h, se non specifichiamo rispetto a chi o cosa. È lo stesso effetto

che abbiamo quando viaggiamo in auto lungo un viale alberato. Dal nostro punto di vista

sono gli alberi a spostarsi. Dal punto di vista di un osservatore fermo, siamo noi che ci

spostiamo. Naturalmente viaggiando in auto sappiamo di muoverci, come se uno dei nostri

astronauti accendesse un razzo. In questo caso, si verifica un moto accelerato, cioè a velocità

non costante, per cui non si considera la relatività.

Mentre non ha senso parlare della nostra velocità in senso assoluto, gli esperimenti del

novecento mostrano che la luce si muove sempre alla stessa velocità: 299.792.458 m/s. (c, dal

celeritas

latino )

Per capire cosa significhi ciò, prendiamo un esempio di vita quotidiana: mettiamo che

camminando per strada incontriate un cane feroce; appena vi vede si mette a rincorrervi

per mordervi. Consideriamo che il cane si muova alla velocità costante di 10 m/s. Vi mettete

a scappare, più o meno alla velocità di 7 m/s. Secondo le leggi newtoniane la velocità

relativa del cane rispetto a voi e di 10-7=3 m/s. In mancanza di un rifugio il cane vi

raggiungerà prima o poi, ma ciò ritarda il pericolo, aumentando le possibilità di scappare.

Abbiamo visto come le onde elettromagnetiche viaggino alla velocità della luce: ca.

300.000 Km/s. Se qualcuno vi sparasse con un raggio laser, la velocità dei fotoni sarebbe

perciò quella; immaginando di poter scappare su un’astronave, che viaggia utopicamente a

1000 Km/s. Secondo le già citate leggi newtoniane, la velocità relativa dei fotoni sarebbe

quindi di 299.000 Km/s. Tuttavia vari esperimenti hanno dimostrato che ciò non è valido: la

luce si muove sempre a 299 792 458 m/s, sia che stiamo fermi, sia che ci spostiamo.

Einstein per la sua definizione della relatività partiva da due postulati:

• Primo postulato (principio di relatività): tutte le leggi fisiche sono le stesse in tutti i

sistemi di riferimento inerziali;

• Secondo postulato (invarianza della luce): la velocità della luce nel vuoto ha lo stesso

valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dalla velocità

dell'osservatore o dalla velocità della sorgente di luce.

Il primo postulato è un'estensione di quello di Galilei. Il secondo è quello che abbiamo

appena visto.

Oltre all’invarianza della luce, la relatività porta anche un’altra conseguenza: per un

osservatore in moto relativo rispetto ad un altro il tempo passa in modo più lento. Per

spiegare ciò, Einstein aggiunse la dimensione temporale alle 3 dimensioni già usate nello

spazio, costruendo lo spaziotempo. La costruzione dello spaziotempo permise ad Einstein di

sempre

formulare anche un'altra idea: gli oggetti in moto sono in moto nello spaziotempo

con una velocità fissa, quella della luce. A prima vista, dopo quanto abbiamo detto, sembra

un paradosso. Tuttavia qui parliamo di una velocità in quattro dimensioni, non più le tre

usa

spaziali. Un oggetto fermo tutta la sua velocità per muoversi nella dimensione

temporale. Un oggetto in quiete rispetto a noi si muove nel tempo, cioè invecchia alla stessa

velocità. Se l’oggetto rispetto a noi si muovesse, si sposterebbe nelle tre dimensioni spaziali,

rubando un po’ di moto al tempo, cioè invecchierebbe più lentamente. A tal punto si deve

parlare di una velocità spaziale limite, quando tutta la velocità dello spaziotempo è usata

nella componente spaziale. Un tale oggetto usa tutta la sua velocità spaziotemporale, pari

a quella della luce, con la conseguenza che questo diventa un limite invalicabile. La luce

perciò non ha età, perché non ha velocità temporale: alla velocità della luce il tempo non

passa!

Le equazioni della Relatività Ristretta (o Trasformazioni TL)

β β v c v

Tali nuovi effetti dipendono da un termine definito come = / (dove è la velocità del

2 2 2

corpo e c è la velocità della luce). Tale termine diventa trascurabile per velocità non confrontabili

con quelle della luce;

Viene anche definito per comodità il termine 4

al limite di piccole velocità, le TL si riducono alle trasformazioni di Galileo, spiegando perché negli

esperimenti di meccanica classica non si possano misurare differenze.

Come diretta conseguenza, le TL portano a due importanti modifiche, poiché introducono il

concetto di relatività in grandezze normalmente considerate assolute:

Contrazione delle lunghezze

L contrazione

di un corpo in movimento non è invariante, ma subisce una nella

La lunghezza

direzione del moto, data dalla formula

L

La lunghezza massima del corpo è misurata nel sistema in cui il corpo è in quiete e viene

0

lunghezza propria

.

chiamata

Dilatazione dei tempi

t tra due eventi non è invariante, ma subisce una dilatazione se misurato

L'intervallo di tempo Δ

da un orologio in moto rispetto agli eventi. Tale dilatazione è data dalla formula

La durata minima dell'intervallo di tempo è misurata da un orologio solidale con gli eventi; tale

t tempo proprio

intervallo Δ viene chiamato .

0

Si noti come in entrambi i casi le formule si riducano all'uguaglianza per velocità piccole rispetto a

c limite classico v

. Questo limite, chiamato , può essere concettualmente ottenuto sia per piccolo

c ∞ ; infatti, una velocità infinita della luce significa poter stabilire una simultaneità

che per

assoluta e quindi un ritorno alla visione classica. Il limite classico è una condizione necessaria della

β

teoria, poiché per piccoli valori di gli effetti relativistici non devono essere misurabili, per rendere

conto dell'ottimo accordo sperimentale della visione classica. In questo senso, la teoria einsteiniana

è una generalizzazione alle alte velocità della fisica di Newton.

Confrontando le due formule, si nota che "dove lo spazio si contrae, il tempo si dilata; e, viceversa,

dove il tempo si dilata, lo spazio si contrae", come affermava Einstein. La relazione diventa più

γ,

evidente se si risolvono le due equazioni rispetto a da cui si ottiene:

t t L L

Δ / Δ = /

0 0

v c

Alle alte velocità ( sempre più prossimo alla velocità della luce ), la contrazione spaziale si

annulla, mentre i tempi si dilatano all'infinito. Ciò equivale ad affermare che alla velocità della

luce il tempo non passa.

La dilatazione del tempo in particolare impone la velocità della luce come limite massimo

raggiungibile (discutendo il denominatore diverso da zero).

Velocità superiori a quelle della luce porterebbero all'ulteriore problema di un radicando

negativo.

U N GRANDE DELLA FISICA

James Clerk Maxwell (1831-1879) è stato un fisico scozzese. Elaborò la prima teoria

moderna dell'elettromagnetismo, unificando le scoperte su tale branca di Gauss, Ampére e

Faraday, rimanendo tuttavia legato ad una concezione di campo elettromagnetico la cui

propagazione avviene attraverso un mezzo etereo. Le “equazioni di Maxwell”

rappresentano il punto più alto raggiunto dalla fisica classica. Da questi studi, egli scoprì

l’esistenza delle onde elettromagnetiche, di cui calcolò una velocità molto vicina a quella

della luce, supponendone una natura simile.

Un’altra grande intuizione di Maxwell è la cosiddetta “teoria cinetica dei gas”, la quale

sostiene che il numero di molecole che ci sono in un gas a una certa temperatura, si

muovono a una certa velocità. Questo approccio gli permise di generalizzare le leggi della

termodinamica precedentemente stabilite e spiegò ancora meglio le osservazioni

sperimentali. Questo lavoro lo portò a condurre il famoso esperimento del diavoletto di

Maxwell.

Nel 1861, Maxwell scattò la prima fotografia a colori, sovrapponendo filtri rossi, verdi e blu.

Inoltre Maxwell è anche noto per i suoi lavori effettuati nel campo della meccanica sui criteri di resistenza; in particolare,

criterio della massima energia di distorsione

nel 1856 propose il cosiddetto .

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