Nel XX secolo, c'erano molte definizioni per definire la disabilità, così come i modelli teorici e concettuali utilizzati per analizzare la condizione. L’analisi delle condizioni in cui riversa un soggetto è da condurre, in modo univoco, al decorrere della malattia, ma il conflitto tra questi due fattori è ambiguo e poco chiaro: infatti, storicamente, la medicina ha svolto un ruolo di primo piano nella spiegazione della disabilità; d'altra parte, nei primi modelli medici della comunità scientifica internazionale, le deficienze fisiche e/o mentali erano all'origine della malattia.1
Un fenomeno complesso, dunque, nella società passata, ma anche e soprattutto in quella odierna, che si ritrova a dover fronteggiare disturbi e patologie sempre nuovi e diversi, dei quali ancora restano ignoti molteplici fattori: uno di questi è il Disturbo dello Spettro Autistico.
I Disturbi dello Spettro Autistico (dall’inglese Autism Spectrum Disorders, ASD) rientrano in un insieme di disturbi del neuro-sviluppo che compaiono, generalmente, entro i primi tre anni di vita del bambino e che durano tutta la vita. Nonostante gli innumerevoli studi condotti per comprendere minuziosamente caratteristiche e sintomi comuni, le cause scatenanti del disturbo appaiono essere molteplici.
Dunque, i Disturbi dello Spettro Autistico comprendono numerose problematiche con caratteristiche differenti e, tra queste, rientra l’autismo. Lo spettro autistico fa parte di uno schema di disturbi che fuoriescono fin dai primi anni di vita e intaccano, notevolmente, i processi mentali durante la fase di crescita.
I vari Disturbi dello Spettro Autistico sono numerosi e, tra questi, distinguiamo - ad esempio - la Sindrome di Asperger, il disturbo pervasivo dello sviluppo e l’autismo.
Il termine ‘autistico’ deriva dal greco αὐτός (autos), tradotto con ‘sé’ e fu utilizzato, per la prima volta, in psichiatria nei primi anni del Novecento da Eugen Bleuler2 per descrivere alcuni sintomi caratteristici della schizofrenia3 (in modo particolare, la tendenza dei pazienti all’isolamento e alla compromissione o eliminazione totale di relazioni sociali.
Tuttavia, il contributo più importante arriverà più tardi: Hans Asperger e Leo Kanner, nella prima metà degli anni Quaranta, furono i primi studiosi ad osservare e descrivere peculiarità e tratti dei bambini autistici: in particolare, Asperger - osservando alcuni bambini - notò difficoltà nelle relazioni e continui comportamenti schematizzati, ma nessun tipo di ritardo mentale. La Sindrome di Asperger rientra, oggi, tra i Disturbi dello Spettro Autistico con dei connotati caratteristici.
Malgrado gli studi condotti che si sono susseguiti nel tempo e la pubblicazione nel 1952 del DSM – al cui interno c’era uno spazio dedicato all’autismo – il disturbo non trovava una precisa collocazione ed era considerato come un sintomo rappresentativo della schizofrenia, privo di una propria indipendenza.
Solo dagli anni Settanta in poi, l’autismo ha acquisito autonomia dal punto di vista clinico e - con la pubblicazione dei DSM-V del 2013 - i disturbi osservati relativi all’autismo rientrano tutti nella categoria diagnostica dei Disturbi dello Spettro Autistico, una categoria assolutamente indipendente dalla schizofrenia.
In seguito alla sua classificazione, la Sindrome autistica ha sviluppato delle metodologie proprie con programmi definiti e personalizzati, per garantire ai bambini affetti da tale disturbo un miglioramento generale e la riduzione delle abitudini comportamentali problematiche. Il metodo ABA (Applied Behavior Analysis) è, oggigiorno, l’unico intervento educativo considerato davvero efficace. Le metodologie utilizzate dalle istituzioni - compresa la scuola - in simbiosi con il costante supporto e aiuto della famiglia, mirano al potenziamento delle facoltà eccezionali che spesso i soggetti autistici presentano e al miglioramento delle difficoltà sociali e comportamentali, oltre a porsi come obiettivo principale il raggiungimento di un’autonomia che possa garantire loro una vita completa.
I programmi di insegnamento non devono limitarsi al raggiungimento dell’apprendimento scolastico, ma è importante che includano attività volte al potenziamento di attività verbali e non verbali, raggiungibili con operazioni sociali e comunicative con gli insegnanti, genitori e gruppo dei pari. Questi interventi rappresentano un tassello fondamentale nelle strategie di insegnamento per questi alunni.
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