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DOPO LA GRANDE GUERRA (1915.1923)

Note e prospettive di ricerca

Ugo Pavan Dalla Torre

0. Alcune premesse

Questo lavoro ha il compito di fornire una panoramica delle azioni assistenziali organizzate in Italia fra

il 1915 e il 1923 per tutelare i soldati divenuti invalidi in guerra; di evidenziare l'evoluzione

dell'assistenza; di rendere conto della formazione dell'associazionismo reducistico e del lavoro svolto

dai veterani per la definizione della loro identità e la tutela delle loro prerogative. Vengono descritti i

mutamenti assistenziali e i loro attori istituzionali avvenuti in Italia fra il 1915 e il 1923, vengono

evidenziate le peculiarità del caso di studio italiano ecc. Il presente lavoro prende in esame un decennio

di attività assistenziale a partire dal 1915, anno in cui l’Italia entrò in guerra e in cui l’assistenza ai

soldati feriti cominciò a essere organizzata sistematicamente, e fino al 1923, anno in cui il primo

governo Mussolini promulgò la riforma delle pensioni di guerra. Fra le due date si collocano la

creazione dell'Opera Nazionale per l'Assistenza e la Protezione degli Invalidi di Guerra (ONIG) e la

fondazione dell'Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi di Guerra (ANMIG), nel 1917, e la

promulgazione della "Legge Labiola", nel 1921. Gli anni della guerra e dopoguerra furono cruciali per

l’Italia perché durante la partecipazione al conflitto comparvero bisogni assistenziali pregressi e mai

affrontati e perché si cominciò a lavorare per creare un sistema assistenziale moderno ed efficace. La

storia degli invalidi di guerra, delle loro vicende, dell'assistenza medica e sociale è stata studiata in

Francia, in Inghilterra e in Germania. In Italia l'approfondimento della storia del reducismo iniziò negli

anni '70 [es. i volumi pubblicati da Giovanni Sabbatucci (1974) Salvatore Sechi (1969), Giorgio Rochat

(1967, 1981), Simona Colarizi (1976)] per poi essere ripreso all'inizio degli anni '90 [es. i lavori di Gianni

Isola (1990) e di Antonio Gibelli (1991)]. A partire dagli anni 2000 gli storici italiani sono tornati a

lavorare su questi temi utilizzando fonti inedite (mediche e degli ospedali psichiatrici), esplorando temi

che vanno dalla storia dell'associazionismo alla storia culturale dei corpi, passando per la storia della

medicina militare e di guerra. Dato che in Italia mancano studi sulla storia dell’assistenza sanitaria e

sociale agli invalidi di guerra e sulla storia degli enti che si fecero carico di tale assistenza, questo

articolo si prefigge di portare un contributo a queste carenze. Un'ultima considerazione è

sull'importanza della storia degli invalidi di guerra per la formazione di un sistema assistenziale in Italia.

Tale rilevanza è suggerita tre questioni: una questione numerica (i mutilati furono molti), una

questione sociale (l'Italia dovette approntare un sistema di assistenza nuovo) e una questione culturale

(divenne comune l'idea che i mutilati e gli invalidi potessero avere un ruolo attivo nella società). Questi

tre aspetti diventarono assi portanti di una nuova cultura assistenziale.

1. L'assistenza agli invalidi di guerra fra il 1915 e 1917

Fin dai primi mesi di guerra l'Italia, impreparata a sostenere lo sforzo militare, faticò a fronteggiare

l'emergenza sanitaria e sociale provocata dal conflitto: mancavano ospedali e posti letto, medici capaci

di guarire ferite gravi, una cultura assistenziale ecc. Anche se il ferito riusciva a sopravvivere, dopo il

suo congedo dall'esercito non veniva aiutato nella delicata fase del ritorno alla vita civile. Nonostante

nel 1915 vi fossero assistenza ai civili e alle famiglie dei richiamati e protezione degli orfani, vi erano

lacune nell'assistenza medica e sociale per i soldati che subivano delle mutilazioni gravissimi:

inizialmente furono i cittadini a creare un sistema assistenziale capace di far fronte a quell’emergenza

sanitaria. A partire dalla seconda metà del 1915 in molte città e paesi d'Italia nacquero i "comitati di

assistenza" ai feriti di guerra responsabili della cura, della riabilitazione ortopedica, del reinserimento

lavorativo dei soldati mutilati, ciechi, invalidi. I comitati erano gestiti da politici, avvocati, filantropi,

medici e dame; erano slegati da partiti politici o religiosi. Tutto ciò venne perseguito anche nel

dopoguerra ed alcuni dei dirigenti dei comitati erano medici e scienziati: Pio Foà, medico, senatore e

dirigente del comitato torinese; Vittorio Putti, ortopedico e direttore del "Rizzoli" di Bologna; Enrico

Burci, medico, docente universitario e presidente del comitato di Firenze; Ettore Levi, medico,

fondatore dell'Istituto di Previdenze ed Assistenza sociale, dirigente del comitato di Firenze. A

differenza di altri Paesi, come la Francia, nei primi anni del conflitto in Italia non erano state emanate

normative sull'organizzazione dell'assistenza: mancavano leggi che regolamentassero la costituzione

dei comitati, che definissero il loro raggio di azione e ponessero un qualche limite alla loro formazione

in un dato territorio. Le differenti possibilità economiche e le differenti capacità organizzative delle

diverse aree misero in luce una disomogeneità: «Quel che si è fatto in Firenze fu organizzato

ugualmente a Torino, a Roma, a Palermo, a Bologna ecc., e più grandiosamente a Milano» (D'Ancona

1916). Milano divenne il centro di una rete di interessi e di relazioni in grado di coinvolgere l'intera

regione, e che giovò alle attività del comitato lombardo. Da ricordare è il contributo medico fornito

dall’istituto Rachitici, allora diretto da Riccardo Galeazzi, ortopedico di grande fama. II lavoro dei

comitati permise il recupero di un capitale umano che sarebbe rimasto improduttivo. Come scriveva

Enrico Burci è stata «un’iniziativa moderna quella di cercare che i mutilati e gli storpi, che pure hanno

possibilità di esplicare in qualche senso la loro attività producano qualcosa, con vantaggio proprio e

della società, evitando che oltre ad essere improduttivi restino esclusivo elemento di consumo

rappresentando così per due ragioni un coefficiente di diminuzione del patrimonio sociale».

Questa "visione sociale" dell'assistenza medica fu oggetto di dibattito in Parlamento, si esplicò

attraverso l'opera dei comitati e il lavoro di medici militari. L'assistenza dei comitati cercò di avviare

un ulteriore circuito: le competenze esistenti fra gli educandi venivano utilizzate per creare ulteriori

competenze. I soldati potevano esercitare diverse professioni (tornitore, calzolaio, intrecciatore di

vimini, telegrafista ecc.) se aiutati da insegnanti che conoscessero il lavoro e che fossero in grado di

insegnarlo anche a persone menomate: spesso ad insegnare erano altri mutilati perché erano in grado

di unire alla competenza specifica in campo lavorativo la conoscenza dei metodi per ottenere i risultati

voluti in condizione di svantaggio fisico. Dopo qualche mese i dirigenti dei comitati compresero che

l'opera di assistenza andava strutturata, era necessario: a) armonizzare l'azione delle singole realtà

attraverso un loro coordinamento su base nazionale e una circolazione "istituzionalizzata" delle

esperienze; b) creare una struttura di riferimento che avrebbe permesso di relazionarsi con gli organi

centrali dello Stato, con i vari ministeri cui facevano capo i servizi sanitari militari e civili; c) gestire la

distribuzione delle risorse finanziarie erogate dallo Stato in modo da appianare le sperequazioni

causate dalle diverse possibilità economiche delle regioni italiane in cui i comitati operavano. Tale

coordinamento valorizzò le specificità delle organizzazioni locali già esistenti e migliorò l'attività

assistenziale delle altre realtà. L'idea della centralizzazione portò alla fondazione della Federazione

Nazionale con lo scopo di coordinare le attività dei Comitati ad una unità di intendimenti e di opere

nella esplicazione delle varie provvidenze a favore dei ciechi, mutilati e degli storpi, pur lasciando ad

ogni Comitato piena libertà e autonomia di svolgimento nella regione in cui attua le proprie iniziative.

Il 22 agosto 1915 vennero convocati a Roma tutti i rappresentanti dei comitati di assistenza e venne

stabilito che la nuova federazione avrebbe avuto sede in Roma, che il rappresentante sarebbe stato il

conte senatore Enrico San Martino" (presidente del comitato romano) e che sarebbe stata formata dai

rappresentanti degli altri "comitati regionali". Questa decisione permise di organizzare tutta

l'assistenza: la federazione avrebbe controllato i comitati regionali che, a loro volta, avrebbero

coordinato le attività dei comitati più piccoli della regione, delle province, delle città ecc.

L'approvazione dello Statuto avvenne nella seduta del 2 marzo 1916, si componeva di otto articoli.

Secondo Ettore Levi, la Federazione Nazionale non ha potuto espletare tutta la sua influenza potenziale

in quanto non ha avuto mai una veste ufficiale e le è mancata la necessaria autorità direttiva e

coordinatrice che fu affidato all'Opera. A partire dal 1916, il Parlamento italiano cominciò a lavorare

alla costituzione di un Ente pubblico preposto alla gestione dell'assistenza agli invalidi. Durante la

riunione del 25 ottobre 1916, a cui parteciparono tutti i rappresentanti dei comitati federati, venne

proposto al governo di stabilire con maggior precisione la natura dei rapporti che la Federazione e i

singoli comitati avrebbero dovuto avere con l'autorità statale. I lavori del Parlamento si conclusero nel

1917 con la creazione dell'Opera nazionale (ONIG) e con l'istituzionalizzazione del ruolo dello Stato

nella tutela degli invalidi di guerra. La Federazione chiese di poter partecipare attivamente alla vita

dell'Opera ma accadde che la gestione dell'assistenza agli invalidi della guerra divenne pertinenza

esclusiva dello Stato, la Federazione fu sciolta, le strutture assistenziali divennero patrimonio pubblico

e confluirono nell'ONIG o cessarono le loro attività.

2. La svolta del 1917. La nascita dell'Opera Nazionale per la Protezione e l'Assistenza degli

Invalidi di Guerra (ONIG)

Il 2 luglio 1916, la Camera del Parlamento proclamò la necessità di provvedimenti a favore degli orfani

e degli invalidi di guerra. Le letture dei dibattiti parlamentari erano interessanti, in particolare per le

competenze messe in campo per poter eliminare dei problemi e per gli argomenti portati come

contributo costruttivo al delicato lavoro legislativo. I contributi dei socialisti evidenziano la volontà di

dare all'Ente caratteristiche diverse da quelle della pubblica beneficenza, infatti ci fu la na

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Publisher
A.A. 2017-2018
28 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher rioanna di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Modelli sociali della disabilità e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli o del prof Pizzo Ciro.