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Concetti Chiave

  • L'antropologia studia l'uomo come elaboratore di cultura, analizzando aspetti come linguaggio, religione ed economia per comprendere le risposte socialmente organizzate ai problemi ambientali.
  • La disciplina si divide in diverse branche, tra cui l'antropologia culturale, fisica e filosofica, ognuna concentrata su aspetti diversi della condizione umana.
  • La cultura, in antropologia, è l'insieme delle pratiche e conoscenze che definiscono una società, distinguendola da altre, e viene trasmessa verticalmente (inculturazione) o orizzontalmente (acculturazione).
  • L'antropologia culturale, sviluppatasi nel XIX secolo, ha radici nell'evoluzionismo, che analizza la progressione delle culture umane da forme semplici a complesse, seppur con una visione oggi considerata etnocentrica.
  • Critiche all'evoluzionismo includono la sua tendenza a uniformare i percorsi culturali umani e a classificare i popoli non occidentali come "arretrati", ignorando la diversità dei cammini evolutivi.
Questo appunto di Antropologia presenta in termini generali e introduttivi la disciplina dell’antropologia e dell’antropologia culturale, fornendo definizioni e concetti utili per comprendere il campo di studio di questa disciplina.
Antropologia e Antropologia culturale: cosa sono e cosa studiano articolo

Indice

  1. Antropologia come disciplina: cos’è e cosa studia.
  2. Antropologia: le varie branche di studi antropologici
  3. Il significato di cultura dal punto di vista dell’antropologia
  4. L’antropologia culturale: cenni storici e concetti di base
  5. Alcune considerazioni critiche in merito all’antropologia e all’antropologia culturale

Antropologia come disciplina: cos’è e cosa studia.

Antropologia è un termine che deriva dai lemmi greci àntropos-uomo e lògos-parola o discorso, quindi letteralmente antropologia significa “discorso sull’uomo”.

L’antropologia rientra nel computo delle scienze umane, il cui scopo è studiare l’uomo; infatti, sono molte le scienze che si interessano a questo studio, e ciascuna di esse lo prende in esame da un punto di vista diverso. Il punto di vista degli antropologi, studiosi che collaborano con gli specialisti di molte altre discipline, è invece quello di chi si occupa dell’uomo in quanto elaboratore di cultura. Elaborare una cultura significa modificare le condizioni naturali della specie umana introducendo regole di vario tipo: matrimoniali, religiose, economiche, morali. Linguaggio, parentela, alimentazione, forme di vita economica e politica, mitologia, riti religiosi e tradizioni popolari sono alcuni temi prediletti dagli antropologi. Gli antropologi, quindi, studiano il corso della vita umana da un punto di vista prettamente sociale, studiando anche le risposte socialmente organizzate ai problemi di sopravvivenza posti dall’ambiente e cercando di cogliere il significato unitario della vita sociale dei popoli. La domanda di fondo che ogni antropologo si pone è: “Chi è l’uomo?”; per dare risposta a questa domanda ogni antropologo compie delle indagini nello spazio e nel tempo. Nello spazio, esplorando angoli remoti del pianeta per incontrare popoli anche molto diversi da noi, che hanno dato riposte differenti, e perciò interessanti, ai problemi di adattamento all’ambiente e alla convivenza sociale; nel tempo, alla ricerca dei nostri remoti antenati, per capire quali sono state le origini e attraverso quali passaggi si è compiuto il distacco degli esseri umani dal modo di vita animale.

Antropologia: le varie branche di studi antropologici

Come si è detto, lo scopo dell’antropologia è studiare l’uomo, la sua vita e le sue risposte ai problemi posti dalle condizioni di vita dettate dalle più svariate epoche storiche. Così come altre discipline, anche l’antropologia può essere distinta in varie branche, o filoni:

  • L’antropologia culturale: disciplina definibile come scienza della cultura, sviluppatasi soprattutto nella prima metà del Novecento negli Stati Uniti; considera la produzione di cultura il tratto distintivo degli esseri umani rispetto alle altre specie animali.
  • L’antropologia fisica: disciplina naturalistica che studia le caratteristiche fisiche degli esseri umani, confrontandole con quelle degli altri animali, in particolare i primati, per capirne l’evoluzione.
  • L’antropologia filosofica: disciplina che aspira a una sintesi dei risultati raggiunti dalle scienze umane per chiarire la peculiarità dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi.

Quando si studia l’antropologia è opportuno distinguere alcuni termini che spesso nell’uso comune vengono considerati sinonimi oppure usati con scarsa consapevolezza del loro significato.

  • Etnografia: disciplina che descrive gli usi e i costumi delle popolazioni. Si tratta di un lavoro svolto sul campo, cioè nel luogo fisico oggetto della descrizione, dove l’etnografo è impegnato a raccogliere dati e informazioni sui vari aspetti della vita quotidiana del popolo che vive in quel determinato contesto ambientale: vita familiare, strategie di sopravvivenza, riti e cerimonie, tipi di abitazioni, ecc. Il lavoro etnografico può essere svolto ovunque siano documentabili usi, costumi e tradizioni interessanti, ereditati dal passato oppure di nuova creazione, in luoghi lontani o vicini.
  • Etnologia: disciplina che sintetizza i risultati della ricerca etnografica con il metodo dell’analisi comparativa. L’etnologia è un primo lavoro di sintesi: operando sul materiale etnografico, rappresentato da un’ampia raccolta di comportamenti e usanze, l’etnologo mette ordine al caos della vastità del materiale con il metodo dell’analisi comparativa. Per fare un esempio, la descrizione di una seduta sciamanica appartiene alla ricerca etnografica; un volume sulla religione sciamanica nel continente asiatico, che mette a confronto varie pratiche religiose di questo tipo e propone un’interpretazione del loro significato e della loro funzione sociale, che va ben oltre gli intenti descrittivi si definisce etnologia.

Il significato di cultura dal punto di vista dell’antropologia

Nel linguaggio comune la cultura è il complesso delle conoscenze che contribuiscono alla formazione della personalità; secondo la connotazione antropologica invece, la cultura rappresenta l’insieme delle pratiche materiali e delle conoscenze che caratterizzano una società o un gruppo sociale, distinguendola da altre.
Il concetto antropologico di cultura, formulato nella seconda metà del XIX secolo, si distingue quello classico-umanistico, che risale all’antichità:

  • nella concezione greca la cultura è paidéia, ovvero formazione dell’individuo in tutte le sue componenti,
  • nella concezione latina la cultura è cultura animi, cioè coltivazione dell’animo, espressione che indica una trasformazione (lunga, continua, faticosa, appartata e impegnata nello studio di temi universali ed eterni).

A partire dalla concezione latina nasce la figura dell’intellettuale che preferisce la compagnia di sé stesso e dei suoi libri a quella degli uomini, con le sue numerose incarnazioni storiche, dal monaco medioevale al poeta romantico.
Un momento di passaggio dalla concezione umanistica della cultura a quella antropologica è rappresentato dallo storicismo tedesco, che vede fra i suoi esponenti i filosofi Herder e Hegel, e lo storico Burckhardt: per questi autori, la cultura coincide con la totalità dell’esperienza storica e pertanto comprende tutti i prodotti dell’ingegno umano: arte, religione, letteratura, filosofia, diritto, ma anche miti, leggende e tradizioni popolari.
Edward Tylor, uno dei padri dell’antropologia culturale, in un’opera del 1871, Primitive Culture, afferma che: “la cultura è quell’insieme complesso che comprende il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”. Quando si parla di cultura bisogna parlare sia di inculturazione che di acculturazione.

  • Inculturazione: significa trasmissione verticale, da una generazione all’altra, di conoscenze e abitudini diffuse in una cultura. Questo processo è reso possibile in primo luogo dall’educazione familiare e dall’istruzione scolastica, attraverso cui ogni uomo diventa membro di una società. Vi è una differenza importante tra le società tradizionali e le società modernizzate: infatti, mentre nelle prime prevale la continuità e i modelli culturali si trasmettono invariati nel tempo, nelle società modernizzate il rapporto tradizione/innovazione si capovolge. Le nuove generazioni possiedono mediamente maggiori conoscenze e competenze rispetto alle persone più anziane, per effetto della scolarizzazione diffusa e del progresso tecnologico, di cui i giovani assimilano rapidamente le acquisizioni dettate dal progresso.
  • Acculturazione: è il mutamento culturale conseguente all’incontro tra persone di culture diverse. La trasmissione orizzontale si verifica attraverso il contatto con altre culture: si parla in questo caso di diffusione culturale (antesignana della globalizzazione). La diffusione culturale può avvenire anche tra società distanti migliaia di chilometri ed è un processo così comune e frequente che l’antropologo americano Marvin Harris ha affermato che la maggior parte delle caratteristiche riscontrate in ogni società ha avuto origine in un’altra. Vi sono molti esempi di diffusione culturale: l’adozione della lingua inglese nel continente americano, la presenza in ogni parte del mondo delle religioni monoteiste nate in Medio oriente, l’importazione in Europa di piante che sono alla base del nostro regime alimentare provenienti da civiltà extraeuropee, oppure, sul piano politico e ideologico, la diffusione della democrazia parlamentare nel mondo contemporaneo.

Inoltre, per comprendere al meglio il punto di vista dell’antropologia bisogna chiarire alcuni concetti:

  • L’etnocentrismo: termine coniato nel 1906 dal sociologo e antropologo americano Sumner che indica l’atteggiamento di chi considera la propria cultura superiore alle altre per modi, stili, abitudini e tradizioni. Tale posizione è diffusa in tutte le etnie e tra i più diversi popoli e rappresenta un ostacolo ai rapporti reciproci, ed è un atteggiamento che si riscontra soprattutto all’avvio dell’antropologia, quando i primi antropologi (tutti appartenenti al cosiddetto mondo civilizzato, studiavano popolazioni e tribù primitive, assumendo quindi un atteggiamento di superiorità culturale). Ogni popolo, infatti, tende a giudicare i valori morali, religiosi e sociali di una comunità in base ai propri perché considerati migliori, e a ritenersi unico. Nella maggior parte delle etnie, soprattutto presso i popoli illetterati, ci si autodefinisce “popolo degli uomini”, escludendo automaticamente gli altri gruppi diversi dal proprio. Così, ad esempio, i Cheyenne chiamavano sé stessi “gli uomini”, mentre i Dakota erano detti “volpi” (Sioux).
  • Il relativismo culturale: concezione secondo cui tutte le culture hanno una propria validità e non ha senso valutarle secondo parametri esterni, cioè quelli prodotti da una cultura che si reputa migliore delle altre.
  • Il particolarismo culturale: punto di vista antropologico secondo cui ogni cultura deve essere studiata in relazione allo specifico ambiente in cui si sviluppa; il particolarismo è la premessa del relativismo culturale.
  • L’atteggiamento antropologico: atteggiamento di chi, confrontandosi con esperienze sociali diverse dalle proprie, è indotto a prendere le distanze dalla cultura a cui appartiene e a considerarla con spirito critico.
  • L’eurocentrismo: tendenza a interpretare ogni cosa secondo il punto di vista della cultura europea, ritenuta superiore alle altre, anche questo atteggiamento riscontrato soprattutto nel periodo della nascita dell’antropologia.
  • L’evoluzionismo: concezione filosofica diffusasi nella seconda metà dell’Ottocento, secondo la quale tutta la realtà, naturale e sociale, è in perenne movimento da uno stato originario indefinito verso forme più complesse di organizzazione.

L’antropologia culturale: cenni storici e concetti di base

L’antropologia culturale scientifica nasce nella seconda metà del 19° secolo grazie alle prime ricerche degli evoluzionisti. Questi antropologi che studiano l’evoluzione umana sono i primi studiosi a condurre ricerche sistematici sul campo; prima, infatti, gli antropologi formulavano le proprie teorie basandosi sui racconti e sui pochi scritti presenti. L’antropologia evoluzionista considera le diversità culturale espressione di fasi successive dell’evoluzione culturale umana. Il presupposto di fondo è che l’umanità nella sua storia progredisce da sistemi di vita più elementari e semplici ad altri più complessi e raffinati. Tutti i popoli seguono lo stesso cammino evolutivo, ma con tempi diversi, per cui allo stato attuale esistono popolazioni più avanzate e altre di più arretrate. Le civiltà occidentali moderne rappresentano il punto più alto dell’evoluzione socioculturale umana. Gli altri popoli si trovano in stadi anteriori al cammino evolutivo: i loro modi di vivere sono sopravvivenze di forme culturali arcaiche. L’evoluzionismo è un movimento di pensiero che va ben oltre i confini dell’antropologia culturale. Le tesi evoluzionistiche, che si ispirano alla teoria evoluzionistica di Darwin, erano state sviluppate già in filosofia, sociologia e attraverso alcune ideologie politiche. Anche la teoria biologica dell’evoluzione precede di qualche anno l’evoluzionismo antropologico. Gli antropologi evoluzionisti riprendono idee presenti nel clima intellettuale del tempo e le trasferiscono alla ricerca antropologica. In antropologia culturale l’evoluzionismo ha dominato la scena fino ai primi del Novecento, ed è una corrente che è riuscita ad imporsi nel panorama dell’epoca poiché forniva un potente schema interpretativo che, oltre a spiegare le diversità culturali, consentiva di mettere assieme resoconti etnografici su popoli lontani e conoscenze storiche e archeologiche. In quegli anni ha avuto anche una funzione ideologica: è servito a legittimare il dominio coloniale europeo. Se i popoli colonizzati erano rimasti indietro, gli europei dominandoli acceleravano la loro crescita, li dotavano di uno Stato, leggi, istituzioni, mezzi di comunicazione e in generale di tutto ciò che a loro ancora mancava.
Di seguito si riportano le teorie dei principali esponenti e fondatori dell’antropologia culturale:

  • L’evoluzionismo di Morgan: Le opere principali dello studioso statunitense Lewis Morgan sono state “Sistema si consanguineità e di affinità nella famiglia umana” -1871 e “La società antica” -1877. Il libro sulle ricerche di consanguineità nacque da ricerche sul campo svolte presso le tribù dei nativi nord americani (Irochesi), e per questa sua impresa senza precedenti, Morgan è considerato il pioniere e il fondatore dell’antropologia della parentela (specializzazione che studia con metodo comparativo l’organizzazione dei sistemi di parentela nelle diverse culture). Ne “La società antica”, invece, Morgan traccia uno schema evolutivo delle società umane: l’umanità si evolve e progredisce attraverso 3 tappe obbligate: 1. la fase di vita selvaggia, in cui i popoli vivono di caccia e raccolta; 2. la barbarie, che inizia con l’introduzione di agricoltura e allevamento e delle tecniche di irrigazione; 3. la civiltà, contraddistinta dal progresso basato sulla scrittura e sull’uso delle macchine. Con l’evoluzione dell’umanità cambiano anche l’organizzazione sociale e politica. Si passa da forme di organizzazione basati sui rapporti di parentela e sull’aggregazione in tribù ad altre forme organizzative basate su criteri politico-territoriali, che fanno capo ad un’autorità riconosciuta. I matrimoni e le famiglie passano gradualmente dall’essere matriarcali o patriarcali all’essere monogamici e alla diffusione della famiglia nucleare. In questo processo di evoluzione compare anche la proprietà privata. Morgan pensava che allo stato selvaggio ci fosse una promiscuità primitiva, in cui non si distinguevano i rapporti di coppia, né si aveva una chiara distinzione tra i rapporti di parentela. Credeva anche nell’esistenza di un comunismo primitivo, in cui nessuno vantava il diritto di proprietà su nulla. La classificazione di Morgan è interessante perché attribuisce importanza agli elementi della cultura materiale (produzione economica, tecnologie, lavoro), ma è totalmente superata: alla luce delle scoperte storiche e archeologiche oggi non è possibile sostenere che vi sia un unico percorso di civiltà uguale in tutti i popoli e in un certo senso inevitabile, anche perché ad oggi l’antropologia preferisce interrogarsi su quale sia il tipo di adattamento all’ambiente dei vari popoli; da questo punto di vista cacciatori-raccoglitori come i Kung del deserto del Kalahari o gli Inuit ci appaiono ammirevoli per il perfetto adattamento a condizioni di vita estreme come quelle offerte dall’altopiano desertico del Kalahari o del Circolo polare artico.
  • L’evoluzionismo di Tylor: Gli inglesi Edward Tylor e James George Frazer condividono l’idea che l’umanità evolva da uno stadio primitivo a uno civile e che le differenze siano dovute al fatto che i vari popoli si collocano in fasi diverse del processo evolutivo. Diversamente da Morgan pensano che l’elemento decisivo dell’evoluzione sia l’acquisizione della ragione, della conoscenza, delle credenze e in generale della produzione simbolica. Per loro gli stadi si distinguono badando alla religione e alle forme di sapere. Tylor è considerato il padre della definizione antropologica di cultura, e nel corso dei suoi studi si occupò anche di storia delle religioni, a cui applicò lo schema evoluzionistico, individuando la prima forma di religione nell’animismo, cioè la convinzione che sia nei viventi che negli oggetti materiali, ci siano esseri immateriali, postulando l’esistenza di un’anima nelle cose. Inoltre, questi studi condussero Tylor ad ipotizzare l’idea della sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Il Politeismo (credenza in più dei) e il monoteismo (credenza in un solo dio) sono forme di religione più complesse ed evolute, nelle quali rimangono elementi propri della religiosità primitiva: ad esempio, la concezione cristiana dell’anima è legata al concetto di sopravvivenza dopo la morte fisica presente nelle religioni animistiche: si tratta dunque di una forma arcaica di spiritualità che si è trasmessa intatta fino ad arrivare a stadi successivi della civiltà.
  • L’evoluzionismo di Frazer: autore de “Il Ramo d’oro”, condusse i suoi studi sulla magia e sulla religione, propone una stadiazione simile a quella di Tylor, ma diversamente da questi distingue tra diverse forme di animismo (come la credenza del mana, una forza soprannaturale che si annida nelle cose, o il feticismo, il culto degli oggetti o animali) e considera quale punto di arrivo la visione razionale e scientifica. Da evoluzionista, egli interpretò magia e religione come sistemi prescientifici di conoscenza e dominio delle forze naturali, provvisti di una loro coerenza interna, importanti come istituzioni sociali, ma inefficaci rispetto al loro scopo, cioè la comprensione del mondo naturale. Secondo Frazer, soltanto la scienza moderna dell’epoca industriale ha la capacità di spiegare esattamente la realtà e controllarla a vantaggio dell’uomo.
Antropologia e Antropologia culturale: cosa sono e cosa studiano articolo

Alcune considerazioni critiche in merito all’antropologia e all’antropologia culturale

Gli evoluzionisti hanno avuto il merito di avviare l’antropologia scientifica. Le ricerche di Morgan sugli Irochesi, diversamente dagli studi della prima metà dell’Ottocento, hanno un’impronta scientifica. Anche Tylor nei suoi viaggi in Messico e in altre regioni tropicali raccolse informazioni in modo sistematico. Frazer è stato essenzialmente un erudito e un antropologo da tavolino, ma le sue opere, per la loro robustezza, vastità e forza letterari hanno contribuito a fare dell’antropologia una disciplina riconosciuta. Va riconosciuto agli evoluzionisti anche il merito di aver introdotto una questione fondamentale, che non può essere liquidata con superficialità: le culture umane evolvono secondo un qualche disegno o qualche logica causale? Ancora oggi questa questione è centrale in antropologia. Nella seconda metà del Novecento il neoevoluzionismo riprenderà la questione dell’evoluzione culturale e cercherà di fornire risposte meno ingenue. Tra le conclusioni cui sono arrivati gli evoluzionisti con le loro ricerche ci sono vari errori e convinzioni smentite dalle ricerche successive. Ad esempio, oggi sappiamo che l’idea di Morgan che in origine ci fossero promiscuità e comunismo è infondata. Per esempio, presso i Kung, popolo di cacciatori-raccoglitori, vi erano la proprietà, il matrimonio monogamico e la famiglia nucleare. Altro errore commesso da Morgan è stato il ritenere che il potere politico centrale compaia solo con la scomparsa dell’organizzazione sociale basata sui rapporti di parentela. In realtà le due forme di organizzazione tendono a coesistere. Vi sono infatti popoli africani che hanno monarchie all’interno di società organizzate per clan, sulla base della discendenza. Morgan sbagliava anche nelle sue analisi della parentela che lo hanno portato a credere alla promiscuità primitiva. Era convinto che i popoli allo stato selvaggio per indicare i rapporti di parentela adoperassero terminologie classificatorie, cioè termini che non precisano il rapporto, ma lo indicano genericamente. Ad esempio, “padre” verrebbe usato per chiamare il padre, ma anche il fratello del padre o chiunque abbia a che fare nella parentela col padre. Le terminologie descrittive, cioè che precisano i rapporti di parentela, in modo che la posizione di ognuno sia identificabile, compaiono solo con l’evoluzione successiva. Per lui il passaggio dalle terminologie classificatorie alle descrittive era il segno di evoluzione della parentela da una promiscuità iniziale a una chiara distinzione delle relazioni. Oggi sappiamo che si sbagliava, perché tutti i popoli hanno terminologie miste. È discutibile anche l’idea di Tylor e Frazer di basare tutta la teoria sulla separazione degli stadi sulla distinzione tra animismo, politeismo e monoteismo. Esistono culture al tempo stesso animiste e politeiste, o animiste e monoteiste, o politeiste e monoteiste. Del resto, lo stesso Tylor considera l’animismo una credenza universale all’origine di ogni religione. La fragilità maggiore dell’evoluzionismo sta nell’idea che tutta l’umanità segua lo stesso cammino evolutivo e che le diversità culturali rispecchino il grado di arretratezza o di avanzamento. Questa idea è infondata poiché non tiene conto dei diversi cammini che i popoli seguono, e inoltre si classifica come un’idea chiaramente etnocentrica, in quanto pone gli Occidentali su un gradino più elevato rispetto ai popoli studiati, e giudica le altre culture a partire da ciò che si conosce della cultura occidentale. Nel Novecento queste idee furono messe in discussione e al contempo si è verificata una forte reazione contro i principi dell’evoluzionismo ottocentesco.
Per ulteriori approfondimenti sull'antropologia culturale vedi anche qua

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'obiettivo principale dell'antropologia come disciplina?
  2. L'antropologia mira a studiare l'uomo e la sua capacità di elaborare cultura, analizzando aspetti come linguaggio, parentela, e tradizioni sociali.

  3. Quali sono le principali branche dell'antropologia?
  4. Le principali branche sono l'antropologia culturale, l'antropologia fisica e l'antropologia filosofica, ognuna con un focus specifico sull'uomo e la cultura.

  5. Come viene definita la cultura in antropologia?
  6. In antropologia, la cultura è l'insieme delle pratiche materiali e delle conoscenze che caratterizzano una società, distinguendola da altre.

  7. Qual è la differenza tra etnografia ed etnologia?
  8. L'etnografia descrive usi e costumi delle popolazioni attraverso ricerche sul campo, mentre l'etnologia analizza e sintetizza questi dati con un metodo comparativo.

  9. Quali critiche sono state mosse all'evoluzionismo in antropologia?
  10. L'evoluzionismo è stato criticato per la sua visione etnocentrica e per l'idea infondata che tutte le culture seguano lo stesso percorso evolutivo.

Domande e risposte