Concetti Chiave
- I crepuscolari del primo Novecento non formarono mai una scuola poetica formale, rimanendo dispersi tra Torino, Roma e con l'isolato Moretti in Romagna.
- Il termine "crepuscolari" fu coniato da Giovanni Antonio Borgese per descrivere la loro poesia malinconica e infantile, vista come un crepuscolo della grande poesia ottocentesca.
- I crepuscolari si ispirarono alla letteratura simbolista straniera, focalizzandosi su temi di solitudine e infelicità in ambienti provinciali e monotoni.
- Utilizzavano un linguaggio smorzato e quotidiano, spesso esprimendo vergogna per la propria vocazione, come evidenziato da Corazzini con la sua raccolta "Piccolo libro inutile".
- Gli anarchici, come Lucini, Govoni e Palazzeschi, si opponevano al canone poetico tradizionale, promuovendo una libertà assoluta e l'estetica del brutto, utilizzando il verso libero come simbolo di anarchia.
Il Movimento Crepuscolare
Per quanto riguarda il rinnovamento della lirica d’inizio Novecento, il gruppo di poeti che ci va incontro è quella dei crepuscolari, essi però non diedero mai vita a una scuola poetica vera e propria, non sottoscrissero mai un manifesto, né costituirono una rivista a causa della loro dispersione geografica, i due nuclei principali furono a Torino [Gozzano, Chiaves, Gianelli, Oxilia, Vallini] a Roma [Corazzini, Marrone, Martini] e l’isolato romagnolo Moretti. A battezzarli fu Giovanni Antonio Borgese in un articolo de “La Stampa” nel 1910, sembrava infatti al critico che la loro poesia infantile e malinconica chiudesse in un languido, scolorito crepuscolo la grande giornata della poesia italiana dell’ultimo Ottocento. Questi autori compresero che non era più il tempo dei vati, né della bellezza ideale, di d’Annunzio essi salvarono solo il “Poema paradisiaco”, unica raccolta vicina alla loro sensibilità, da Pascoli impararono invece l’amore per le piccole cose ma senza implicazioni visionarie: gli oggetti quotidiani non acquistano alcun valore epifanico.
Temi e Atmosfere Crepuscolari
Tuttavia, i modelli della poesia crepuscolare vanno cercati fuori dall’Italia, nella letteratura simbolista, nutrendosi di noia e malinconia sullo sfondo di tristi canali e nebbiose cittadine di provincia, austeri collegi e lugubri ospedali. Un mondo fatto di anime solitarie, rassegnate all’infelicità: orfani, vecchi, zitelle, moribondi, mendicanti o suore, insidiandoli non di rado dalla malattia che li condanna a restare ai margini della vita, senza godere dei suoi piaceri. Ci sono poi gli interni domestici pieni di quelle “piccole cose di pessimo gusto”, un vero catalogo di oggetti kitsch come animali impagliati, orologi a cucù o stampe ingiallite. Il mondo dei crepuscolari è quello di provincia, il massimo del frastuono che si leva dalle loro poesie è il suono malinconico degli organetti o delle giostre, la provincia è per loro una dimensione dell’anima, il luogo ideale dove le giornate scorrono uguali e monotone senza che accada nulla di significativo. I crepuscolari utilizzano un linguaggio smorzato, senza colore poetico, appiattito sull’uso quotidiano, questo impoverimento riguarda l’atto poetico in sé non meno della materia, la lirica non riveste più alcun pubblico ufficio tanto che Corazzini intitolò la sua raccolta “Piccolo libro inutile”. I poeti provano anche vergogna della loro vocazione poetica, arrivando anche a negare l’etichetta di poeta, come in “Desolazione del povero poeta sentimentale” di Corazzini in cui si definisce “piccolo fanciullo che piange”.
La Rivolta Poetica Novecentesca
Nella poesia novecentesca è impressa una componente di rivolta, con la tendenza a sabotare o distruggere letteralmente il canone consacrato, ossia una linea più trasgressiva che assunse un atteggiamento di sfida, apertamente provocatorio, nei confronti dei modelli ereditati. I principali esponenti furono Lucini, Govoni e Palazzeschi, ciò che li distingue dai futuristi è il rifiuto a priori di ogni regola e questa rivendicazione di una libertà assoluta come condizione imprescindibile di autenticità poetica, i tre leader facevano infatti saltare in aria tutti gli argini tematici, stilistici e metrici che la tradizione lirica era venuta erigendo, l’impoetico semplicemente non esiste per loro. I poeti della rivolta anarchica concorsero alla fondazione di un’estetica del brutto, interpretando la coscienza della morte dell’arte come scempio del bello [Palazzeschi in “Incendiario” indossa i panni clowneschi del saltimbanco che si diverte a ridere in faccia al mondo]. Govoni invece si descrive in un linguaggio diretto, senza filtri o pudori, colpisce per la sua forza d’urto il titolo del libro “Gli aborti”: per il poeta guastatore non solo i versi sono venuti mali, ma anche gli oggetti e le persone, talché la natura sembra piena di aborti. Analogamente, i vocaboli di cui sono farciti i versi di Lucini sono estranei alla tradizione lirica italiana, affinché un vocabolo possa essere accolto in un testo poetico non si richiede più alcun lasciapassare: tutte le parole hanno libero ingresso, spesso inoltre sono vocaboli lunghi. Il verso libero venne introdotto da Marinetti, ma sviluppato ulteriormente da Lucini in “Il verso libero. Proposta”: esso non segue infatti nessuna regola, dimostrandosi come incarnazione dell’anarchia alla metrico.
Domande da interrogazione
- Qual è il significato del termine "crepuscolari" nel contesto della poesia italiana del Novecento?
- Quali sono i temi principali della poesia crepuscolare?
- Come si differenziano i poeti della rivolta poetica novecentesca dai futuristi?
- Qual è l'approccio dei poeti crepuscolari verso la loro vocazione poetica?
- In che modo i poeti della rivolta poetica novecentesca hanno influenzato la metrica poetica?
Il termine "crepuscolari" si riferisce a un gruppo di poeti italiani del primo Novecento che, secondo il critico Giovanni Antonio Borgese, chiudevano in un languido crepuscolo la grande giornata della poesia italiana dell'Ottocento, caratterizzati da una poesia infantile e malinconica.
I temi principali della poesia crepuscolare includono la noia, la malinconia, e un mondo di anime solitarie e rassegnate all'infelicità, spesso ambientato in tristi canali, nebbiose cittadine di provincia, e interni domestici pieni di oggetti kitsch.
I poeti della rivolta poetica novecentesca, come Lucini, Govoni e Palazzeschi, si differenziano dai futuristi per il loro rifiuto di ogni regola e la rivendicazione di una libertà assoluta, sabotando il canone consacrato e creando un'estetica del brutto.
I poeti crepuscolari provano vergogna per la loro vocazione poetica, arrivando a negare l'etichetta di poeta, come evidenziato da Corazzini che si definisce "piccolo fanciullo che piange" nella sua opera "Desolazione del povero poeta sentimentale".
I poeti della rivolta poetica novecentesca, in particolare Lucini, hanno influenzato la metrica poetica introducendo e sviluppando ulteriormente il verso libero, che non segue alcuna regola e rappresenta l'incarnazione dell'anarchia metrica.