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Appunti degli studenti per corsi ed esami del Prof. Zambon Francesco

Dal corso del Prof. F. Zambon

Università Università degli Studi di Trento

Appunti esame
Affronteremo concetti analitici utili per analizzare la gestione delle risorse umane e per migliorarli. Affronteremo tipi di welfare aziendali, valuteremo il modello di intervento organizzativo migliore.
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Tesi di laurea magistrale prende in esame la figura di Dinadano, un cavaliere della corte di Artù in aperta polemica con l'intero mondo cavalleresco e cortese. Il lavoro svolge uno studio sistematico e capillare di tutte le occorrenze del personaggio all'interno della Tavola Ritonda, lavoro che non era mai stato svolto prima. La tesi mi è valsa la lode nella discussione di laurea.
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Il documento costituisce una tesina (compilativa, pp. 32) sui temi dell'amore e dell'adulterio in Chrétien de Troyes, in particolare in due dei suoi romanzi più noti e belli: «Erec e Enide» e «Lancillotto». Nel mio lavoro esamino, dopo un'ampia introduzione sulla concezione dell'amore per Andrea Cappellano, vari luoghi dei romanzi in cui l'autore tratta questi temi a lui così cari. Trovando un filo conduttore all'interno dell'opera, infine, delineo una visione coerente e convincente sul pensiero del grande poeta francese.
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La tesina (compilativa, pp. 39, con foto) esamina la figura di Mosca, affettuoso nomignolo affibbiato da Montale alla moglie Drusilla Tanzi, principalmente all'interno della sua ultima opera poetica, «Satura». Il lavoro però non si limita a studiare il ruolo della moglie del poeta esclusivamente dentro l'opera a lei dedicata, ma ripercorre altresì le tracce - sparse e spesso enigmatiche - anche all'interno delle raccolte precedenti. La tesina è divisa in due parti fondamentali: la prima, intitolata "La vita reale”, prende in considerazione appunto la figura di Drusilla Tanzi così come appariva nella vita quotidiana, con ampio spazio alle rivali in amore che dovette affrontare, in primo luogo Irma Brandeis; nella seconda invece ("La vita poetica") analizzo la trasfigurazione ideale che il Montale seppe fare della sua ultima donna in quella che può essere a ragione definita la sua eredità poetica. Questa l'Introduzione: "Le donne di Montale sono muse. Al contrario che per il Boccaccio del Decameron, le cui muse sono genericamente le donne, per Eugenio Montale le donne sono figure della fantasia poetica e i loro senhal non solo le rappresentano, ma le costituiscono per intero. Oggi, per opera degli ultimi esegeti, è possibile conoscere nel dettaglio la loro storia: il loro nome e le circostanze in cui entrarono in contatto con il poeta. Certamente dietro ai senhal si celano e sono state identificate delle donne, è possibile elencarle ; ma un concetto fondamentale dobbiamo tenere bene a mente: nei confronti di tutte queste donne la scrittura funziona come una vera attività creatrice, le fa esistere, riparando alla loro assenza. Ogni figura femminile nella poesia montaliana è la figura di un’assente, della quale urge evocare la presenza. Bastano pochi oggetti per compiere il rito; e basta un nome, meglio se convenzionale, perché avvenga l’apparizione. Le donne montaliane sono sostanzialmente raggruppabili in tre categorie: la donna superiore (o donna angelo), la donna mostruosa (o barbuta), la donna complice e sorella. Tutte le donne ispiratrici di Montale finiscono con il confluire in una di queste categorie. Ma tutte sono legate da una stessa modalità di presentazione. Il poeta si serve degli stessi elementi per descriverle tutte: gli occhi, la fronte, i capelli, il gesto, gli oggetti che fantasticamente le rappresentano (gli orecchini, la sveglia marca “Angelo” e anche un bulldog: cfr. infra, p. 21 e soprattutto p. 25). Per quanto riguarda la prima tipologia, ciò che appare chiaramente dall’analisi particolareggiata dei testi – alla quale si rimanda non potendo qui condurla – è la presenza di una figura fantastica femminile dalle caratteristiche angelicate, stilnovistiche, la cui superiorità e alterità rispetto all’immanenza avvolge di un alone uniforme molte “occasioni” femminili della storia poetica e affettiva di Montale. Si potrebbero prendere a modello alcune liriche delle Occasioni scritte fra il 1939 e l’anno successivo: Nuove stanze, Elegia di Pico Farnese e Palio. Ma soprattutto si potrebbe assumere come emblematico il mottetto Ti libero la fronte, in cui prende avvio “un vero e proprio processo di sublimazione letteraria e religiosa” di Irma Brandeis, che proprio qui comincia ad assumere le sembianze di un angelo, di un visiting angel, secondo l’espressione usata dallo stesso Montale nell’Intervista immaginaria . Ma se anche la figura femminile, anziché bellissima, appare mostruosa e barbuta, comunque non cessa di manifestarsi per mezzo degli stessi segni dell’altra: occhi che mandano lampi, capelli che velano la fronte, gesti, corredo di oggetti simili e l’idea dell’amore associato alla figura in forma di negazione: “Perché attardarsi qui / a questo amore di donne barbute?” (Elegia di Pico Farnese). Nella poesia questo fantasma mostruoso e barbuto non ha lasciato molte tracce, ma nella raccolta Farfalla di Dinard, sorta di galleria di tipi femminili d’eccezione dotati di varie forme di “mostruosità”, ha colmato quasi tutti i racconti della sua presenza. C’è poi un terzo tipo femminile che interviene fra le due simmetriche, opposte tipologie di donne angeliche e donne mostruose, ed è quello della donna sorella, compagna, complice. Alla formazione di questo fantasma poetico-affettivo dovette contribuire in modo determinante la figura della sorella del poeta, Marianna, colei che ebbe un’influenza importante nella formazione culturale giovanile di Montale, colei che lo accompagnò e gli fu vicina nelle lunghe giornate di un’adolescenza fragile, scontrosa, poco promettente sotto tutti gli aspetti, compreso quello scolastico (gli studi di ragioneria rappresentarono per lui, come è noto, solo un ripiego, a causa della salute cagionevole). Della sorella, come della madre, il ritroso poeta non parla mai direttamente e quando lo fa si tratta già di una rievocazione post mortem. Lo stesso farà nei confronti di Mosca, il “caro piccolo insetto / che chiamavano mosca non so perché”, Drusilla Tanzi, che gli sarà pietosa compagna e soccorritrice nei difficili anni fiorentini del Vieusseux e, soprattutto, del dopo Vieusseux. Sulla figura di Mosca, l’ultima musa di Montale , la destinataria della sua ultima grande opera in versi, che segnò non solo una svolta sorprendente nella scrittura poetica di Montale ma influenzò anche profondamente, nella tematica e nel linguaggio, i poeti italiani coevi e successivi, la critica stranamente non si è mai soffermata a lungo, limitandosi al massimo a brevi riferimenti di poche pagine se non di poche righe. Mosca in effetti fu una donna che in Montale non raggiunse mai i tratti ideali e “angelici” della sua grande ed eterna rivale, Clizia; eppure, fu l’unica che Montale sposò, anche se nell’estremo termine della sua vita. Proprio su di lei, su questa figura di donna dolce e tenera, ma anche a tratti tragica, di una tragicità che continua anche dopo la morte per il silenzio in cui la storia della letteratura sembra tenda a relegarla, si è scelto di concentrare interamente le pagine che seguono".
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La tesi (triennale), dallo stampo compilativo e della lunghezza di 76 pp., rappresenta uno studio approfondito sulla figura di Folchetto, vescovo di Marsiglia, che compare nel canto IX del Paradiso della Commedia di Dante. Il personaggio è poco conosciuto e poco studiato. Nella mia tesi ne ricostruisco la turbolenta vita (segnata da amori fatali e dall'incontro con figure d'eccezione come San Domenico e Raab) e delineo i tratti fondamentali della sua poesia. La tesi mi è valsa la votazione finale di 104 su 110. Le righe seguenti sono tratte dall'Introduzione alla mia tesi: "La figura di Folchetto di Marsiglia fu molto importante nella sua epoca: egli fu un trovatore occitanico di origine italiana attivo nell’ultimo ventennio del XII secolo, divenuto prima monaco cistercense poi vescovo di Tolosa nell’epoca della repressione dell’eresia albigese, cioè di quella variante del catarismo che si era diffusa a partire dalla fine del XI secolo nel Languedoc occidentale (in particolare nella città di Albi, da cui prese il nome) ed era basata su una dottrina dualistica che vedeva il bene e il male come forze in continuo conflitto. Lo studio che segue intende analizzare questo personaggio quale è rappresentato da Dante nel canto IX del Paradiso della Commedia. Nella prima parte, abbiamo ripercorso la biografia del trovatore e del vescovo. Per quanto riguarda almeno gli ultimi 25 anni della sua vita, la carriera religiosa e il rilevante ruolo politico in un momento così intenso della storia quale è stata la prima metà del XIII secolo fanno di Folchetto un personaggio abbastanza conosciuto; molto frequente è per questo la sua presenza in documenti dell’epoca ( ). Egli era infatti particolarmente stimato per i suoi meriti di predicatore e soprattutto per la sua ferma ostilità nei confronti degli eretici ( ). Per questa sua intensa attività, non di rado era indicato come “venerabile” e come “santo”, e molti erano quelli che raccontavano miracoli da lui compiuti in vita ( ). Ma la notorietà di Folchetto è dovuta anche ai suoi amori di gioventù, cantati in un importante canzoniere lirico; anche se molti li considerano puri temi poetici, sono rimaste famose le relazioni che egli intrecciò con Azalais, moglie del suo signore Barral, poi con le sorelle del visconte e infine con la stessa imperatrice Eudossia. Per tutto ciò, purtroppo, ci dobbiamo accontentare di rifarci – oltre che alle poesie dello stesso Folchetto – a fonti tradizionali e non sempre del tutto attendibili quali la vida e le razos. Nella seconda parte del lavoro, abbiamo preso in esame i rapporti di Folchetto con Dante, mettendo in evidenza quanto il poeta fiorentino si ispirò alla vita e alle opere del trovatore. Il discorso verte essenzialmente sul canto IX del Paradiso; ma l’influenza che l’insigne trovatore ebbe nei confronti di Dante non si limitò al suo testo maggiore: esso può essere riscontrato anche in molti altri aspetti della sua opera. Le ragioni di tale influenza andranno ricercate innanzitutto nello stile sorvegliatissimo, ricco di artifici retorici e profondamente influenzato dagli autori classici, in cui emerge il gusto per le personificazioni di concetti astratti e per un’accentuata sentenziosità; una poesia che evidenzia la capacità di Folchetto di rielaborare e rendere disponibili all’imitazione concetti, immagini e formule elaborati dalle generazioni trobadoriche precedenti e che i siciliani mostrano di apprezzare ( ). Non deve essere poi trascurato, in relazione alla valutazione di Dante, il ruolo di miles Christi che il trovatore, abbandonato il secolo, assunse nei quasi trent’anni di vescovato tolosano, quando nell’attività pastorale a fianco di san Domenico prima, nella vicenda politica e sul campo di battaglia poi, divenne una figura di primo piano nella storia dell’Occitania nei primi decenni del XIII secolo. In questo modo, come vedremo, esso divenne per Dante un modello poetico-religioso di grande prestigio e quasi una sua proiezione ideale".
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