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AMBON

con la donna «nobile»:

Mi meraviglio molto che all’affetto coniugale, che tutti i coniugi con il vincolo del matrimonio sono

tenuti a scambiarsi, voi volete dare impropriamente il nome d’amore, quando invece si sa che tra marito 9

e moglie l’amore non può avere luogo. E pure ammettendo che siano legati da grande e smisurato

affetto, tuttavia il loro affetto non può prendere il posto dell’amore giacché non può essere inteso in base

alla vera definizione d’amore (sub amoris verae definitionis). Che altro è l’amore se non smisurato e

concupiscente desiderio di abbracci furtivi e nascosti (immoderata et furtivi et latentis amplexus

concupiscibiliter percipiendi ambitio)? Ma quale abbraccio furtivo, per favore, può esserci tra coniugi,

quando si dice che l’uno possiede l’altro e senza paura di rifiuto entrambi possono soddisfare tutti i

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desideri e le voglie che hanno? (A. Cappellano, De amore, I (a cura di), 1992, p. 77”

NSANA

La fin’amor si qualifica dunque per le difficoltà che la sua realizzazione comporta. Una di esse

consiste appunto nel fare assaporare l’attesa, che non è che una forma temporale di separatezza:

Ma s’ella per certo non ha volontà di amarlo, non gli dia speranza né altra cosa che si chiede

nell’amore prima di dare, perché troppo grave colpa è nella femmina non adempiere quello per cui ha

fatto un patto. Per questa ragione è ritenuta cosa turpissima nella femmina, se non cura di fare aspettare

quello che ha promesso, perché queste sono le malattie delle prostitute, le quali sono disposte alla falsità

5 .

in tutto ciò che fanno e dicono, e quello che hanno nel cuore di fare se lo tengono dentro

Una forma spaziale di separatezza è la lontananza fisica, che non deve certo far illanguidire il

sentimento, ma semmai rinvigorirlo:

«Vedo che la femmina può amare poi che sono passati due anni dalla morte del suo amante; dunque io

che sono stata cotanto senza di lui e che non ho avuta nessuna lettera né ho ricevuto messi, essendo lui

nella possibilità di farlo, maggiormente lo posso amare. E tu dici che ‘l no ‘l posso fare? Certo sì posso.»

Dopo la molta contenzione … sì la commisero dalla contessa di Campagna, ch’ella ne dovesse dire e

sententiare quello che ne dovesse essere. La quale sententio, e disse che questa donna non faceva

ragione di volere lasciare il suo amante perché fosse stato a lungo assente, se prima non fosse certa che

non la amava più o ch’egli avesse rotta la fede … Perciò niuna maggiore allegrezza deve avere la

femmina nel suo animo, se non di udire lodare il suo amante quando è in lontana parte, o che

6 .

onorevolmente sappia che stea con buona e gran compagnia

4 F. Z , La lirica amorosa delle origini, cit., p. 397.

AMBON

5 A. C , De amore, G. R (a cura di), Milano 1980, p. 245.

APPELLANO UFFINI

6 A. C , De amore, G. R (a cura di), cit., p. 261.

APPELLANO UFFINI

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Insomma il matrimonio è, al massimo, un remedium concupiscentiae, ma non può certo essere

considerato un’alternativa valida alla fin’amor: “la lussuria si è parte del peccato, facendola colla

7

moglie: allontaniamo il fuoco della lussuria sanza dannare l’anima” . Queste affermazioni non

devono apparire sorprendenti; infatti, come afferma la F : “Il matrimonio, bisogna

UMAGALLI

ricordarlo, era un giogo duro, un servizio talvolta ingrato: le dottrine e le ideologie dominanti … lo

dipingevano come uno stato di necessità, dovuto a una infermità della natura umana … [Infatti,

solo] la teoria dell’amore romantico, secoli dopo, costruirà attorno allo stato coniugale un’atmosfera

attraente prendendo a prestito molti aspetti della dottrina medievale dell’amore cortese; ma fino al

secolo scorso, il matrimonio nella cultura occidentale cristiana, soprattutto nelle classi medio alte,

ha avuto il carattere più di un rimedio, di un obbligo alternativo allo stato di castità, di un impegno

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religioso e sociale che di una situazione alla quale si aspira o che si può sognare” . D’altra parte, il

Cappellano è in buona compagnia di fior di filosofi e teologi che predicano la continenza nel

matrimonio e sottolineano l’intrinseca peccaminosità, anche se lieve, dell’atto coniugale. E basti, al

riguardo, citare Sant’Agostino, che nel De bono coniugali fonda la concezione del matrimonio

come remedium infirmitatis, affermando solo una parziale legittimità dell’atto coniugale, comunque

9

colpevole al di fuori dell’utilità della prosecuzione della prole .

III.

Com’è noto, nel terzo libro del trattato si assiste a un’improvvisa ritrattazione. Esso è

significativamente intitolato De reprobatione amoris (“La riprovazione dell’amore”). In esso

l'autore prende le distanze da quanto aveva affermato nei primi due libri e soprattutto dalla

teorizzazione dell'amore libero che là era esaltato nei suoi aspetti virtuosi e morali in

contrapposizione all'amore matrimoniale. Andrea Cappellano, come la maggior parte dei letterati

medievali, è lo scrittore della duplice verità. Si può sospettare che egli predicasse nella sua

7 A. C , De amore, G. R (a cura di), cit., p. 305.

APPELLANO UFFINI

8 M. F , Eloisa e Abelardo. Parole al posto di cose, Mondadori, Milano 1987, p. 36.

UMAGALLI

9 Cfr. A. P , Amore cortese e modelli teologici. Guglielmo IX, Chrétien de Troyes, Dante, Jaka Book,

ULEGA

Como 1995, pp. 38 s. Sant’Agostino appare indubbiamente più severo ad esempio di San Paolo, per il quale

invece il matrimonio evita semplicemente il peccato di fornicazione: “Quanto poi alle cose intorno alle quali

mi avete scritto, è bene per l’uomo non toccare donna; ma, per evitare la fornicazione, ogni uomo abbia la

sua moglie, ed ogni donna il suo marito” (San Paolo, Corinzi I, 7, 1-2). 11

condizione ecclesiastica l’amore casto e nuziale, e indulgesse invece all’amore mondano e

dissipato. Forse, in quanto uomo, era diviso fra una convinzione etico-religiosa, rivolta a garantire i

valori sociali e tradizionali, e un vagheggiamento letterario che lo avviava verso paesaggi lirici e

romanzeschi, quali quelli proposti dai trovatori a lui contemporanei. In lui coabitano il chierico e il

laico: e se queste due condizioni fossero sentite in aperto dissidio e intimamente si contrastassero, il

suo trattato d’amore avrebbe potuto raggiungere le motivazioni del dramma. Ma nel De amore le

due posizioni risultano soltanto giustapposte, e la prima si evolve ignorando completamente la

seconda, mentre quest’ultima è ostentata come assoluta negazione dell’altra: in forme peraltro

troppo violente e intransigenti perché possano davvero convincere e tanto meno commuovere. Per

Andrea Cappellano si tratta solo di un accostamento, tanto più meccanico ed estrinseco, quanto più

decisa e pacifica è nella sua coscienza la distinzione dei due mondo: il teologico al profano, il

religioso dal letterario, l’ortodosso dall’ereticale.

Tuttavia questa sua stessa indifferenza al contrasto che risulta fra le due parti dell’opera, rende più

oggettivo e perciò più reale il rapporto fra le due ideologie. Andrea Cappellano ha avuto almeno il

merito di non contaminare queste due opposte culture: si è limitato a porle l’una accanto all’altra,

con una netta separazione, che ne assicura la rispettiva indipendenza. A quale delle due egli

credesse, non è facile decidere: forse all’una col cuore e con la fantasia, all’altra con l’intelletto e la

coscienza. Il terzo e ultimo libro del trattato potrebbe anche suggerire l’ovvia ipotesi che il

Cappellano abbia voluto scriverlo con l’unico scopo di redimere i libri precedenti e di scagionare se

stesso dalla facile accusa di libertinaggio: un atto di ipocrisia, del resto, che non era raro nel

medioevo e che la sospettosa vigilanza dell’alto clero e la malevola gelosia dei vicini rendevano

spesso necessario. Eppure la stesura dell’ultima parte è condotta con tale rigore espositivo e

compiutezza d’argomentazioni, che non la rivelano affatto provvisoria rispetto all’interesse

dell’autore. La serietà e la convinzione che sorreggono questa Riprovazione dell’amore attestano

che egli si è trovato di fronte a una duplice realtà umana ed etica. La prima concezione, quella che

egli ha sentito il bisogno di considerare per prima, rivestiva ai suoi occhi un carattere di attualità

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imprescindibile che la imponevano alla sua considerazione; l’altra, che egli espone per ultima ma

che nel suo spirito è anteriore, conserva sempre i suoi valori tradizionali e universalistici. Si

potrebbe convenire che Andrea Cappellano creda effettivamente a quest’ultima, ma considera e

valuta la prima come un momento caratteristico e ineludibile della società contemporanea.

Da questo sfondo di negazioni e rinunce, riceve maggior risalto l’elegante visione dell’amore

mondano e cortese. Quanto più conformista e immobile appare l’idea ispiratrice di queste ultime

pagine, tanto più libera si distacca la realtà dei primi due libri del De amore. Nel terzo libro del De

amore il destino degli uomini è alleggerito da quel grave pericolo per l’anima umana che è l’amore

adultero. Fra tutte le tentazioni la lussuria era quella che risorgeva più tenacemente, pronta a

compromettere l’equilibrio dello spirito. L’esperienza peccaminosa partiva dal fascino femminile e

trascinava gli uomini alla perdizione eterna. L’incontinenza della donna, la sua volubilità e le

inesauribili risorse della sua astuzia divennero oggetto di narrazione nella letteratura medievale,

offrirono lo spunto a innumerevoli exempla della predicazione ecclesiastica, costituirono le prove

attraverso cui si edificava l’esperienza del santo. Andrea Cappellano raccolse e organizzò in una

trattazione compiuta le tante considerazioni che sulla lussuria e sulla donna correvano nella cultura

del suo tempo. Prima della sua Riprovazione, non troviamo un’opera che contempli con tanta

dovizia di argomentazioni e con tanta sistematica precisione questo contenuto pessimistico, tetro e

rinunciatario. Anche per questa terza parte il De amore era destinato al successo, poiché, al pari dei

primi due libri che ambivano a ricostruire i princìpi e la prassi dell’amore cavalleresco-cortese,

quest’ultimo divenne la fonte più autorevole e organica per combattere e maledire l’esperienza

passionale e lussuriosa. 13

La visione matri

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Publisher
A.A. 2013-2014
32 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/09 Filologia e linguistica romanza

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher SolidSnake86 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filologia romanza e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Zambon Francesco.