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ASADEI
Giardini, Pisa 1992, pp. 67-92.
20 Molto prezioso per le vicende poetiche di Mosca, nonché di Clizia e di altre donne montaliane, è il saggio
di P. D C , Invenzioni di ricordi. Vite in poesia di tre ispiratrici montaliane, centro grafico francescano,
E ARO
Foggia 2007.
20
della tradizione cristiana e figurale, come avvenimento che testimonia e anticipa nel tempo una
realtà che è oltre il tempo; per essa moduli e simboli di una pubblica tradizione sacrale si
trasferiscono e traducono nell’ambito di una storia sacra privatissima e chiusa, conferendo ad essa
21
consistenza, durata e oggettività” . In questa prospettiva si comprende anche la presenza esplicita
in questa raccolta del lessico religioso, collegata ad una prospettiva di carattere profetico e
apocalittico che culmina nella condanna della propria epoca e delle sue ideologie.
E’ in questo contesto che, accanto a Clizia, sul fosco scenario della guerra fa la sua prima e fugace
comparsa Mosca. A lei, gravemente ammalata, il poeta dedica la Ballata scritta in una clinica,
dibattendosi angosciato tra l’“emergenza” (v. 1) della guerra e l’“altra Emergenza” (v. 32) della
morte. Ricoverata in ospedale, a Firenze, nei giorni cruenti della lotta contro i nazisti, una donna nei
cui occhi “brillavano lenti di lacrime / più spesse di questi tuoi grossi / occhiali di tartaruga” (vv.
15-17) mette “sul comodino / il bulldog di legno”, insieme con “la sveglia / col fosforo sulle
lancette” (vv. 33-35), per esorcizzare e tenere lontano “il nulla che basta a chi vuole / forzare la
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porta stretta” (vv. 38-39) . Nel solco dell'emergenza:
quando si sciolse oltremonte
la folle cometa agostana
nell'aria ancora serena
– ma buio per noi, e terrore
e crolli di altane e di ponti
21 A. J , La poesia di Montale: dagli “Ossi” ai “Diari”, Einaudi, Torino 1978, pp. 87-88.
ACOMUZZI
22 Della più penetrante analisi della Ballata siamo debitori a M. G , La “Ballata scritta in una
UGLIELMINETTI
clinica”, in “Letture montaliane in occasione dell’ottantesimo anno del poeta”, Bozzi, Genova 1977, pp.
199-211. Adiacente al saggio di Guglielminetti, nello stesso volume, una testimonianza di Natalino S APEGNO
che vede nella Ballata un unicum nella produzione lirica di Montale. 21
su noi come Giona sepolti
nel ventre della balena – (vv. 1-8)
L’“emergenza” (minuscola), che incontriamo bruscamente all’avvio, sta a designare quello che si
definiva ufficialmente – in piena guerra mondiale, con gli alleati anglo-americani che risalivano dal
sud la penisola e lentamente si avvicinavano a Firenze, e i tedeschi occupanti che ancor più
lentamente si ritiravano verso il nord, bombardando e distruggendo – “il passaggio del fronte, che a
Firenze, dove è ambientata la lirica, avvenne nell’agosto 1944”. La chiosa è di Gianfranco C ,
ONTINI
che prosegue: “i ‘crolli’ sono quelli, provocati dai tedeschi in ritirata, di tutti i ponti tranne Ponte
23
Vecchio e dei quartieri alle estremità di questo” . Ecco allora la metafora della “folle cometa
agostana” (v. 3). Evoca una sinistra scia di fuoco: bagliori da bombardamenti, incendi, tracce
infuocate di artiglierie contrapposte nella notte.
ed io mi volsi e lo specchio
di me più non era lo stesso
perché la gola ed il petto
t'avevano chiuso di colpo
in un manichino di gesso. (vv. 10-14)
Quando, proseguendo, si arriva al v. 9, si incontra una coordinazione grammaticale – “ed io mi
volsi” – che è falsamente indicativa di una coordinazione o successione anche temporale immediata.
Il voltarsi dell’io poetante-raccontante riguarda, insomma, un tempo successivo e un luogo diverso,
un altro luogo chiuso, la camera di una clinica. Questa è una poesia intrisa di narratività e
temporalità, tra prima e dopo; una narratività che non disdegna i moduli del sogno o, meglio, del
trauma. Montale si muove tra simboli e figure mitologiche e racconta come subito dopo uno shock:
uno shock insieme storico e privato.
23 G. C , Lettura dell’Italia unita. 1861-1968, Firenze 1968, commento alla Ballata, p. 827.
ONTINI
G , poi, op. cit. pp. 199-201, fa notare come non sia casuale che questa poesia sia stampata su
UGLIELMINETTI
una rivista chiamata “Il Ponte”.
22
Montale dunque si volta, nella camera d’ospedale, e vede la sua compagna ridotta a “un
manichino di gesso” (v. 13) per l’ingessatura entro cui è costretta dai medici che la curano. È
proprio Drusilla Tanzi, è Mosca. E non può certo essere Clizia, come pure qualcuno ancora crede:
impossibile consegnare un visiting angel come Clizia, la Beatrice montaliana, a un ospedale;
impossibile pensare che un’Artemide e poi sempre più astrale Salvatrice-Beatrice come la Clizia
montaliana possa aver bisogno di essere salvata. E poi Montale non sa fare poesia che sulla base di
occasioni reali, come lui stesso ricordava: è in quelle stesse settimane dell’emergenza, nel settembre
del 1944, che Mosca viene colpita da una grave forma di spondilite, che la costringe a ricoverarsi
presso la clinica Palumbo. Nel cavo delle tue orbite
brillavano lenti di lacrime
più spesse di questi tuoi grossi
occhiali di tartaruga
che a notte ti tolgo e avvicino
alle fiale della morfina. (vv. 15-20)
Di qui le già ricordate lacrime di lei, e lo sgomento di lui. Di qui l’attenzione a oggetti quotidiani
e indispensabili: gli occhiali, le fiale della morfina. Inevitabile qui pensare già alla poesia d’apertura
degli Xenia, in cui subito il poeta presenta la moglie ormai assente come un “Caro piccolo insetto /
che chiamano mosca non so perché”, dicendo che “non avevi occhiali, / non potevi vedermi” (vv.
1-2 e 6-7).
Fin dall’inizio quindi Montale aveva individuato negli occhiali un attributo essenziale e
caratteristico della moglie, al punto da inserirli come riferimento a lei fin dal primo componimento
a lei dedicato, parlando subito del “cavo delle tue orbite” e delle “lenti … spesse”, e da aprire la
prima lirica della raccolta a lei dedicata con un’allusione agli occhiali a al loro “luccichio” (v. 8).
D’altra parte non serve ricordare che Mosca era affetta da forte miopia. Ma sarà importante
23
sottolineare invece, ancora parlando di Caro piccolo insetto e degli Xenia in generale, oltre al dato
reale, autobiografico, la funzione narrativa che il personaggio di Mosca svolge all’interno
dell’ultima produzione montaliana, una funzione cioè di “anti-Clizia”: basti ad esempio paragonare
la miopia della moglie del poeta agli “occhi d’acciaio” della protagonista di Nuove stanze (v. 32).
Montale del resto chiarisce ulteriormente la dimensione più quotidiana e affettuosa della
protagonista di Xenia anche nel secondo componimento, che senza soluzione di continuità fa un
tutt’uno con il precedente: “Senza occhiali né antenne / povero insetto che ali / avevi solo nella
fantasia” (vv. 1-3). La miopia è poi il tema pressoché esclusivo dello xenion più breve in assoluto di
tutta l’opera montaliana, tanto più importante in quanto assorbe appunto la totalità della lirica:
“Ascoltare era il solo tuo modo di vedere. / Il conto del telefono s’è ridotto a ben poco.” (Xenia I,
9). Qui l’oralità, che riscatta in qualche modo la miopia della donna, costituisce evidentemente la
dimensione privilegiata dei rapporti sociali intrattenuti da Mosca, che si può immaginare intenta in
lunghe conversazioni telefoniche con le amiche.
D’altra parte il tema della miopia pervade tutta l’ultima opera montaliana, anche in modo velato e
anche laddove non lo ci si aspetterebbe, come ad esempio in Xenia I, 12 dove la primavera – il cui
avvicinarsi evidentemente non è motivo di gioia ma occasione per un amaro bilancio esistenziale
senza Mosca – “sbuca col suo passo di talpa” (v. 1), in cui, più che “un’allusione al letargo
24
invernale da cui esce la talpa”, come vuole R. C nel suo commento a Satura , sarà
ASTELLANA
meglio scorgere il riferimento alla totale cecità dell’animale, nonché al suo di conseguenza più
sviluppato udito. Altro tema, quello dei sensi alternativi alla vista che ne compensano l’assenza,
molto importante nell’economia di Xenia, come dimostra efficacemente la lirica Non ho mai capito
se io fossi, in cui al pettegolezzo dell’alta società si contrappone la virtù segreta di Mosca: un “radar
di pipistrello” (v. 11; animale cieco e quindi, come la talpa di Xenia I, 12, assimilabile all’“insetto
miope” del v. 4) che le consente di smascherare ipocrisie e vizi di “quei furbi” che “non sapevano di
essere loro il tuo zimbello: / di essere visti anche al buio e smascherati / da un tuo senso infallibile”
24 E. Montale, Satura, a cura di R. C , Mondadori, Milano 2012, p.43.
ASTELLANA
24
(vv. 6-10). Non c’è da stupirsi affatto che tale tema stia tanto a cuore a Montale, al punto forse da
inserirlo anche inconsciamente in certe sue poesie, se si consideri che l’assenza stessa di Mosca
dalla vita del poeta è già in sé un “non vedere” e forse anche ormai un “ascoltare” la moglie, nella
speranza di sentire “un fischio, un segno di riconoscimento” (Xenia I, 4, v. 2) che permetta ai due
sposi di riconoscersi nell’aldilà.
Ma tornando alla Ballata, il poeta amareggiato dice a Mosca: “L'iddio taurino non era / il nostro,
ma il Dio che colora / di fuoco i gigli del fosso” (vv. 20-22). Siamo alla strofa centrale, quella dove
appare il toro divinizzato: esso ha sicuramente a che fare con la guerra, anzi ne è insieme
l’emanazione e il barbaro signore. Forse è prossima l’ora del Giudizio, “l’ora del ratto finale” (v.
28): l’io è come un carcerato. Si prepara non solo alla morte individuale, di Mosca e dunque del
poeta che in lei si specchia (v. 9), ma ad altro di anche più grande, all’apocalisse. E insieme si
prepara a cercare, per quanto può, di scongiurarla con un’ulteriore dose di sofferenza. È pronto alla
penitenza: la quale, vista l’ambientazione, è quella, si direbbe, di un santo penitente che stia “nel
cupo / singulto di valli e dirupi” (vv. 31-32). Ma contemporaneamente è appunto questo il
paesaggio in cui si sta preparando l’ingre