
A rispondere al ragazzo è Lucia Azzolina, con una lettera pubblicata sull’‘Huffington Post’. L’ex ministra dell’Istruzione, di recente diventata madre, gli dedica parole di incoraggiamento, che lo esortano a non mollare, nonostante le difficoltà “fisiologiche” cui si va incontro durante il percorso scolastico: “Non smettere mai di scrivere e di sperare. Abbiamo bisogno anche del tuo sconforto di oggi, che magari sarà la tua gioia di domani”.
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La risposta di Lucia Azzolina: “La sconfitta non deve mai essere interpretata come un fallimento”
Questa la lettera integrale di Lucia Azzolina.
Caro ragazzo,
Ti scrivo non in qualità di ex ministra e nemmeno come dirigente scolastica o come insegnante, perché delle mie prediche sono sicura che non sappia cosa fartene e perché non è dell'esercizio dell'autorità o, peggio, del giudizio di un'adulta che hai bisogno in questo momento. Semplicemente, ho letto la tua lettera e mi ha fatto riflettere. Sicuramente, da neo mamma, un giorno dovrò confrontarmi anch'io con le delusioni scolastiche di mio figlio. Da docente ne ho visti di casi del genere, ma dalla nuova prospettiva che la vita mi ha regalato inizio a sentirmi ancora più vicina e allora ti scrivo sperando che tu voglia ascoltare qualche parola disinteressata. Penso che ogni aspettativa per un futuro migliore, con annessa speranza, potremo realizzarla solo se come famiglia e come scuola assumeremo tutti la responsabilità della comprensione, della valorizzazione della personalità di ciascuno.
Nella tua lettera struggente e piena di rabbia, rivolta a una scuola che, a tuo dire, ti ha rifiutato e considerato alla stregua di un numero, spegnendo progressivamente la tua curiosità e la tua passione, affermi perentoriamente: "Poi... Giuro, butto questa maledetta penna e non scrivo mai più, basta racconti, basta poesie, basta saggi e argomentazioni, che ovviamente paiono belli solo a me! Basta sperare inutilmente!".
Non entro nel merito della tua bocciatura, non sto qui a stabilire torti e ragioni, anche perché non ho gli elementi conoscitivi, ma ti dico che questo sarebbe l'errore più grande che potresti commettere. Ancora più grande di un eventuale abbandono scolastico che, ovviamente, ti prego di non prendere neanche in considerazione. Dici che vuoi smettere di scrivere: e perché mai? Ho letto la tua lettera. Trasuda di grinta, passione civile; si vede che qualcosa si agita dentro di te, che ci credi, che hai ancora una voglia matta di sperare e un gran bisogno che qualcuno ti dica di continuare a farlo. Smettendo di scrivere, faresti un torto a te stesso e anche al prossimo, a cominciare da me che qualche tua poesia e qualche tuo racconto, invece, vorrei leggerlo.
È proprio di fronte alla sconfitta, al disincanto, alla voglia matta di lasciar perdere che bisogna prendere in mano la penna. Vedi, una volta chiesero a Bartali quale fosse il suo segreto. Non rispose "il talento" ma "la voglia". Perché in salita, talvolta, capita anche ai campioni di sentir venire meno le forze, ma è in quel momento che entra in gioco la voglia, quel moto interiore che ti spinge a pedalare ancora, a stringere i denti, a soffrire e ad andare avanti. Sai quante volte io stessa ho pianto, quante volte mi sono sentita sola, non capita, irrisa, umiliata? Non succede solo quando si è ragazzi. Capita anche a noi adulti, molto più spesso di quanto non pensi, ma la sconfitta non deve mai essere interpretata come un fallimento. Tu non hai fallito: hai solo perso una partita. Sei caduto dalla bicicletta. Pazienza. Hai, in te, tutti gli strumenti per rialzarti e ricominciare a pedalare, per scalare la vetta.
Scrivo a te per rivolgermi a tutti i ragazzi e le ragazze che quest'anno non ce l'hanno fatta: non arrendetevi, non pensate che il mondo ce l'abbia con voi. La scuola, talvolta, sbaglia, anche clamorosamente. E qualche volta sbagliate voi, ma non importa. È fisiologico! La scuola, con i suoi pregi e i suoi difetti, non serve solo a esaltare i migliori ma soprattutto a prendersi cura di chi ha qualche difficoltà, di chi è rimasto indietro, degli ultimi, dei deboli, dei fragili e di chi ha bisogno di un po' più di tempo per trasformare la salita in discesa.
Narra la leggenda, che a me piace pensare sia vera, che un giovane compositore italiano, che spero a scuola ti abbiano fatto apprezzare a dovere, avesse deciso di abbandonare la carriera operistica. Era rimasto vedovo della prima moglie e una sua opera si era rivelata un fiasco clamoroso, con tanto di fischi solenni. L'impresario Merelli gli consegnò un libretto di Solera. Il nostro compositore tornò a casa, lo gettò sul tavolo e il libretto si aprì in un punto specifico. Ebbene, quel brano era il "Va' pensiero", quell'opera il Nabucco e il giovane compositore si chiamava Giuseppe Verdi. Riprese a comporre e il resto è storia. Non smettere mai di scrivere e di sperare. Abbiamo bisogno anche del tuo sconforto di oggi, che magari sarà la tua gioia di domani.