Indice
- Il Decadentismo
- Giovanni Pascoli(San Mauro di Romagna-1855/ Bologna-1912)
- Poetica
- Opere: Myricae
- Poemetti
- Canti di Castelvecchio
- Poemi conviviali
- Produzione in prosa, in latino e opere civili
- Lavandare (da Myricae)- 1891
- X Agosto (da Myricae)-1896
- Gabriele D’Annunzio
- Poetica
- Opere
- La pioggia nel pineto (da Alcyone)-1902
Il Decadentismo
Il Decadentismo è un movimento culturale sorto in Europa verso la fine dell’800 e gli inizi del 900. Nasce in Francia nel 1880 quando si comincia a definire “decadenti”, con intento dispregiativo, alcuni poeti e artisti inclini alla ribellione antiborghese e anticonformista. Il termine alludeva alla decadenza dell’impero romano, per indicare il pericolo di corruzione dei costumi e di una diffusa crisi morale. I precursori sono i cosiddetti “poeti maledetti”, quali Baudelaire, Verlaine, Mallarmé, Rimbaud e Corbière.Il decadentismo presenta una genesi filosofica e una genesi storica. Sul piano filosofico, esso nasce come reazione al Positivismo. Verso la fine dell’800 iniziano a venir evidenziati i limiti del Positivismo e della scienza stessa. Questo provoca una sfiducia nel Positivismo e nella ragione. Lontano dal Positivismo l’interesse dell’artista decadente si sposta verso nuovi orizzonti, in particolare nella sfera dell’irrazionale: da qui l’attenzione alle patologie, soprattutto psichiche (come l’allucinazione e la nevrosi), agli incubi e ai sogni, nonché alle sostanze in grado di alterare la percezione. C’è un vero e proprio distacco dalla logica razionale che porta a una riconsiderazione di strumenti conoscitivi diversi, in grado di indagare il mistero che sfugge all’osservazione empirica ordinaria. Lo stesso linguaggio diventa oscuro, complesso e allusivo ed esige dal lettore un lavoro arduo di interpretazione. La genesi storica è dovuta alla crisi degli ideali romantici e positivisti, quali la religione, la patria, la libertà, il progresso ecc., smentiti brutalmente dai conflitti interni e internazionali, per cui tramonta l’ottimismo positivistico e al suo posto subentra una visione pessimistica della vita. Per alcuni lo sbocco di questa angoscia è una fuga dalla realtà.
La poetica del Decadentismo è strettamente connessa con la visione della vita intesa come mistero: la poesia, infatti, è concepita come strumento di conoscenza. Dopo il fallimento della filosofia (rivelatasi incapace di dare una qualunque certezza) e della scienza, la poesia resta l’unico tramite che ci possa mettere in comunicazione con l’ignoto, con l’inconscio e con l’Assoluto. Essa assume, pertanto, una funzione conoscitiva diversa da quella delle poetiche precedenti: diventa illuminazione e rivelazione dell’ignoto. Ciò comporta una nuova concezione del poeta: nel Romanticismo egli era chiamato a comunicare un messaggio politico e morale (ad esempio in difesa della libertà nazionale) e appariva come un poeta vate, intento a celebrare le gesta e le idealità di un popolo o dell’intera umanità; il decadentismo, invece, vede nel poeta il veggente, cioè l’esploratore del mistero, dell’inconscio e dell’Assoluto. Inoltre, il Decadentismo rifiuta le forme metriche chiuse, rigide, i versi e le strofe tradizionali e preferisce le forme aperte, ossia le strofe e i versi liberi. Chi fa poesia deve suggestionare il lettore, suggerirgli emozioni e sensazioni.
Nel quadro del Decadentismo si svilupparono altre tendenze, quali ad esempio il Simbolismo e l’Estetismo. Il Simbolismo si sviluppa in campo artistico e letterario nel secondo 800, a partire dalla Francia. Nasce in opposizione alla filosofia del Positivismo e al Realismo, che proponevano una conoscenza analitica dell’uomo e della società. Per i Simbolisti il mondo non è riducibile a ciò che i sensi e la ragione sono in grado di rivelare, ma presenta dimensioni nascoste, che possono essere conosciute attraverso l’intuizione, il sogno o l’allucinazione. Il poeta non deve più fotografare la realtà, come accadeva nel Realismo, ma coglierne il mistero: come suggerisce Baudelaire in “Corrispondenze”, essi dovranno osservare la natura che li circonda come una foresta di simboli, da interpretare e decifrare con la capacità del veggente.
L’Estetismo è il vocabolo utilizzato in Inghilterra per riferirsi ad autori, come Oscar Wilde, accomunati da una concezione della vita come ricerca e culto del bello, se non addirittura come opera d’arte. L’Estetismo non si sviluppa solo in Inghilterra, in quanto troviamo esponenti anche in Francia con Huysmans o in Italia con Gabriele D’Annunzio. L’esteta decadente esibisce atteggiamenti raffinati e anticonformisti e propone di sé un’immagine aristocratica, eccentrica e narcisista. Il suo stile di vita si contrappone ai valori dell’uomo borghese, considerati volgari e materialistici. Egli attua una fuga verso un mondo di bellezza insolita e ricercata.
In Italia, il movimento decadentista si afferma a fine 800, ma è nei primi decenni del 900 che rappresenta in modo più intenso e consapevole le varie correnti artistiche espresse dai principali autori italiani. In particolare, in Italia si possono distinguere due periodi di Decadentismo: il primo, che si sviluppa a partire da fine ‘800 e incarnato in autori come D’Annunzio e Pascoli, si basa sulla necessità di costruire miti decadenti, mentre il secondo, che caratterizza i primi due decenni del ‘900 e rappresentato da Pirandello e Svevo, è più incentrato sulla critica della realtà in modo lucido, distruttivo e profondo.
Giovanni Pascoli(San Mauro di Romagna-1855/ Bologna-1912)
Giovanni Pascoli trascorse una vita apparentemente tranquilla, dedita allo studio, alla poesia e agli aspetti della famiglia. In realtà, la sua esistenza fu profondamente segnata dall’uccisione del padre e dalla perdita di quasi tutti gli altri familiari, traumi che lo spinsero a instaurare un legame morboso con le due sorelle rimastigli e gli impedirono di realizzarsi pienamente nella vita di relazione, esterna al nido domestico. Questa condizione di fragilità psicologica costituisce il punto di partenza della sua poesia, che sotto l’apparente aspetto fanciullesco cela una sensibilità tormentata.Poetica
L’esperienza e l’opera di Giovanni Pascoli possono considerarsi come il punto di incontro di una crisi personale (determinata dai lutti familiari) e di una crisi storica, nata dalla fine delle certezze dell’ottimismo positivistico in un periodo attraversato da turbamenti e inquietudini che precedevano la crisi degli ultimi anni del secolo e dei primi anni del 900. In una società sconvolta dalla violenza, il poeta trova rifugio nel nido familiare, nel quale i dolori e le ansie si placano. Il nido costituisce per Pascoli la protezione dal mondo esterno e simbolo del nido è la madre. La violazione del nido comporta la scoperta di tutto ciò che di spaventoso c’è fuori di esso. Altro elemento che influenzò il pensiero di Pascoli fu proprio la crisi del positivismo, verificatasi verso la fine dell’800, che travolge i suoi miti più celebrati: la scienza liberatrice e il progresso. Pascoli, nonostante inizialmente fosse un seguace delle dottrine positivistiche, non solo riconobbe l’impotenza della scienza nella risoluzione dei problemi umani sociali, ma l’accusò anche di aver reso più infelice l’uomo, distruggendo in lui la fede in Dio e nell’immortalità dell’anima. Così Pascoli mette al centro della sua meditazione proprio ciò che il positivismo aveva rifiutato di indagare: il mondo che sta di là della realtà fenomenica, dell’ignoto e dell’indefinito.Concluse che tutto è mistero nell’universo e che gli uomini sono creature fragili ed effimere, soggetti al dolore e alla morte, vittime di un destino oscuro e imperscrutabile. Da questa visione scaturisce la poetica pascoliana, che va sotto il nome di “poetica del fanciullino”, dal titolo di una sua prosa pubblicata sul “Marzocco” nel 1897. Pascoli afferma che in ognuno di noi è presente un fanciullino, anche da grandi, ma lo si tiene nascosto e frenato. L’idea centrale è quindi che il poeta coincide con il fanciullino, che vede tutte le cose come se fosse la prima volta, con ingenuo stupore e meraviglia. In ogni uomo vi sono infatti due personalità: il bambino, dove le cose piccole divennero grandi e viceversa; la razionalità. Ma nel poeta il bambino domina e in ciò consiste la sua grandezza, ovvero vedere cose che altre persone non vedono. Inoltre, il poeta fanciullino dà il nome alle cose, usando una parola novella, cioè un linguaggio che si sottragga ai meccanismi della comunicazione abituale e va all’intimo delle cose, rendendo il sorriso e la lacrima che c’è in ognuna di esse. In questo quadro culturale si colloca la concezione della poesia pura: per Pascoli la poesia non deve avere fini, il poeta canta solo per cantare, non vuole assumere il ruolo di consigliatore, non si propone obiettivi civili e morali, in quanto la poesia deve essere assolutamente spontanea e disinteressata. Il sentimento poetico infatti, dando voce al fanciullino che è in noi, mette fine agli odi e gli impulsi violenti che sono propri degli uomini, induce la bontà, l’amore, la fratellanza; placa quel desiderio di accrescere i propri possessi che spinge uomini a sopraffarsi a vicenda. Nella poesia pura del fanciullino Pascoli invita all’affratellamento di tutti gli uomini, aldilà delle barriere di classe e di nazione che li separano e li costringono gli uni agli altri. Questo rifiuto della lotta tra le classi si trasferisce a livello dello stile. Pascoli ripudia il principio del classicismo che esige una rigorosa separazione tra ciò che è alto e ciò che è basso. La poesia è anche nelle piccole cose.
Dal decadentismo Pascoli riprende: il senso smarrito del mistero, la concezione della poesia come rivelazione dell’ignoto; il simbolismo, cioè la tendenza a vedere le cose non è nella loro realtà fenomenica, ma come simboli o segni della realtà che va aldilà di quella percepita dai sensi. I motivi dell’azione della poesia pascoliana sono essenzialmente quattro: il motivo delle memorie autobiografiche; il motivo delle celebrazioni degli ideali morali, patriottici e umanitari; la contemplazione della natura; il motivo del mistero della vita, il più vicino ai grandi temi del Decadentismo europeo.
Per quanto riguarda il linguaggio usato da Pascoli può essere distinto in: lingua pre grammaticale, che si basa nell’uso di figure retoriche (come ad esempio l’onomatopea); lingua grammaticale, costituita dal linguaggio sintattico e semantico regolarmente usato; lingua post grammaticale, che consiste nell’abbandono da parte dell’autore delle classiche regole della grammatica, prediligendo un linguaggio ricco di termini particolari, tecnici e gergali. Nelle sue poesie spesso Pascoli ha mescolato queste tre tipologie di linguaggio, mettendo insieme lo stile dotto, il linguaggio gergale e gli innesti in lingua straniera. Per questo motivo si parla di plurilinguismo pascoliano. In Pascoli sono inoltre ricorrenti alcune figure retoriche come: l’allitterazione, l’onomatopea, l’assonanza, l’anafora, l’analogia e la sinestesia. Per quanto riguarda il suo rapporto con la religione, da un lato rifiuta le religioni e i loro dogmi, dall’altro sembra provare nostalgia per un sentimento che potrebbe offrire certezze rassicuranti in un mondo privo di valori.
Opere: Myricae
Essa costituisce la prima raccolta poetica di Pascoli; è vista come un elemento di passaggio tra la letteratura dell’800 e quella del 900. Venne pubblicata per la prima volta nel 1891, ma seguiranno numerose edizioni; l’ultima è del 1911. La vicenda compositiva dell’opera si estende per quasi tutto l’arco della vita dell’autore. Il titolo deriva da un verso della quarta bucolica di Virgilio: le tamerici, dal latino myricae, sono l’emblema della poesia pastorale dello stile dimesso. Pascoli riprende il termine per indicare che si tratta di argomenti umili e quotidiani. La natura è vista come il luogo dell’innocenza e l’infanzia costituisce uno dei temi fondamentali della raccolta: il nido come luogo sicuro degli affetti domestici, viene riportato alla memoria con rimpianto e angoscia. Al centro della riflessione si trova la realtà nella sua dimensione misteriosa: l’ignoto è un territorio da esplorare attraverso la meditazione poetica. Il dolore e la sofferenza non sono generati dalla natura ma dall’intervento dell’uomo sociale, responsabili dell’odio e della violenza. Anche il tema della morte trova spazio tra i motivi della raccolta: il poeta cerca di instaurare una relazione affettiva con i propri cari defunti, all’interno dello spazio della poesia. La semplicità delle cose rappresentate trova un riscontro nello stile: nel lessico precisissimo, ricco di onomatopee; nella sintassi; nell’impiego di analogie, assonanze e sinestesia; nel ricorso al fonosimbolismo (termini ridotti a puro suono che hanno funzione evocativa, cioè suggeriscono sensazioni e stati d’animo). Si dice che con Myricae è iniziata una rivoluzione stilistica destinata a influenzare la produzione del 900.Poemetti
Pubblicati in prima edizione nel 1897, saranno poi divisi dall’autore in “Primi poemetti” e “Nuovi poemetti”. In essi abbiamo la celebrazione della natura e del mondo rurale e una sperimentazione linguistica.Canti di Castelvecchio
Dedicata alla madre e pubblicata per la prima volta nel 1903, la raccolta comprende 69 componimenti divisi in due sezioni oltre che un’appendice. La scelta del titolo rinvia, secondo alcuni critici, al Leopardi, di cui si recuperano i motivi della memoria e del rapporto uomo natura come fonte di riflessione esistenziale.Poemi conviviali
Qui Leopardi passa ad argomenti più elevati. I testi sono incentrati su personaggi storici o mitologici del mondo antico. Ci troviamo di fronte ad antieroi consumati dal dubbio, tormentati e privi di certezze. L’antichità è per Pascoli lo sgomento di fronte alla realtà colma di pianto. Il tema autobiografico è dominante e abbiamo il continuo riaffiorare del ricordo dell’uccisione del padre.Produzione in prosa, in latino e opere civili
In pascoli abbiamo anche produzione lingua latina e produzione in prosa (tra cui ricordiamo, oltre che “Il fanciullino”, anche “La grande proletaria si è mossa” del 1911, scritto in occasione della guerra libica, in cui il poeta celebra l’impresa militare come un’opportunità per sanare la piaga dell’emigrazione e garantire terre nuove da lavorare e ceti più poveri) e anche alcune raccolte patriottiche.Lavandare (da Myricae)- 1891
La lirica svolge uno dei temi più validi e suggestivi della poesia pascoliana: la descrizione della campagna, colta negli aspetti diversi delle varie stagioni.Nella prima strofa, il poeta descrive il luogo: nel campo, mezzo grigio nella parte non arata e mezzo nero nella parte arata, giace abbandonato un aratro, avvolto nella nebbia. Nella seconda strofa descrive il suono che sente in lontananza, appartenente alle lavandaie che lavano i panni nel lavatoio. Il poeta ascolta il loro canto; è un canto triste, che racconta la storia di un amore tradito e della vana attesa della donna abbandonata. La tematica trova corrispondenza nel malinconico paesaggio della campagna autunnale e soprattutto nell’aratro, simbolo di desolazione ed abbandono. Il componimento segue un andamento ciclico: inizia e si conclude con la figura dell’aratro. Nella prima strofa prevalgono le impressioni visive; nella seconda le sensazioni uditive e nella terza sia quelle uditive che quelle visive.
X Agosto (da Myricae)-1896
È una delle liriche più celebri di Giovanni Pascoli. Il titolo non è causale, in quanto il padre morì proprio il 10 agosto 1867. La lirica si apre con un’apostrofe a San Lorenzo (celebrato proprio il 10 agosto), che costituisce una sorta di invocazione. Nella prima strofa, dopo aver invocato il santo, Pascoli ricorda il fenomeno delle stelle cadenti, che cade sempre il 10 agosto. Il poeta assimila le stelle cadenti alle lacrime del cielo, ovvero di Dio, che non è indifferente al dolore delle sue creature. Il corpo centrale della lirica è costruito su un parallelismo tra la rondine e l’uomo. Una rondine viene uccisa senza una ragione apparente mentre tornava nel proprio nido. Ella aveva degli insetti nel becco che servivano a nutrire i suoi rondinini. La morte della rondine ha segnato il destino dei rondinini, che sono destinati a morire poiché non hanno più nessuno che si occupi di loro. Analogamente un uomo (che portava con sé due bambole per le figlie) è stato ucciso mentre tornava a casa. Nella sesta strofa vi è una ripresa di quanto già detto nella prima, dando alla lirica una struttura circolare: finisce così come è iniziata. Tema centrale è la morte. Inoltre abbiamo diversi richiami a Gesù: la rondine il perdono, la croce, gli spini e il 10 numero romano. Il nido, tipicamente usato per riferirsi al mondo animale, viene usato sia per la rondine che per l’uomo: abbiamo una corrispondenza tra la vita dell’uomo e quella degli animali, entrambe accomunate dalla sofferenza e dal dolore. Nell’ultimo verso, Pascoli definisce la Terra “atomo opaco del Male”: la Terra è un piccolo frammento dell’universo privo di luce e dominato dal male.Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio attraversò oltre un cinquantennio di cultura italiana, influenzandola profondamente con una produzione letteraria abbondante è attinente ai generi più diversi. Un’importante influenza la ebbe anche dal punto di vista politico, infatti egli orientò l’opinione pubblica su posizioni interventiste allo scoppio della prima guerra mondiale (partecipa anche al volo su Vienna e all’impresa di Fiume) ed elaborò anche diverse ideologie che in seguito il fascismo fece proprie. La sua personalità eccezionale, caratterizzata da atteggiamenti esibizionistici e volutamente scandalosi genera lo sdegno da parte della massa, colpendo inoltre anche l’attenzione dei contemporanei, a tal punto da definire tale fenomeno dannunzianesimo (il complesso degli atteggiamenti più caratteristici di D’Annunzio, che influenzarono la vita pratica, letteraria e politica degli Italiani del suo tempo).Poetica
Anche D’Annunzio, come Pascoli, avvertì i limiti e la crisi del naturalismo e del positivismo di fine 800. I due poeti hanno infatti in comune la sfiducia nella ragione e nella scienza, rivelatasi incapace di dare una spiegazione sicura della vita e del mondo. A tale crisi D’Annunzio reagisce cercando di restituire all’arte e al poeta, che ne è l’interprete, il ruolo perduto. Aderisce così ai principi dell’estetismo, dove è fondamentale era il culto dell’arte. quest’ultima veniva considerata come il valore supremo a cui devono essere subordinati tutti gli altri valori, compresi quelli morali. La vita in tal modo si sottrae alla legge del bene e del male essi sottopone alla legge del bello, trasformandosi in un’opera d’arte. Questo personaggio dell’esteta si isola dalla realtà meschina della società borghese contemporanea per rifugiarsi all’interno di un mondo di pura arte e bellezza. L’estetismo dannunziano entra però in crisi verso la fine degli anni 80, quando lo scrittore avverte che l’isolamento dell’artista in un mondo di in rapida evoluzione finisce per diventare impotenza. Così, agli inizi degli anni 90 inizia la formulazione della teoria del superuomo, derivate da una particolare lettura banalizzata di Nietzsche che offre allo scrittore lo spunto per delineare la figura di una stirpe di uomini superiori capaci di eroiche imprese per sé stessi e per l’intera umanità. L’esteta, divenuto superuomo, ha il compito di guidare l’umanità esibendo le sue qualità da affermare senza condizionamenti. Come nel caso dell’estetismo, anche il superomismo rappresenta una reazione all’emarginazione degli intellettuali nella società moderna: dell’esteta si isola sdegnosamente dalla realtà, il superuomo cerca di dominarla in nome di una superiorità fondata comunque sul culto del bello. A rendere più complesso questo quadro va detto che, soprattutto nella poesia, si rispecchia la sensualità del temperamento di D’Annunzio, intesa come abbandono gioioso alla vita dei sensi e dell’istinto.Tra i temi ricorrenti si trova il motivo del panismo, la comunione dell’io con la natura: l’uomo, rifiutando la civiltà contemporanea, regredisce fino alle sue origini ,verso quegli elementi naturali che sono fonte di vita. In questa regressione l’umano si naturalizza trasformandosi in elemento del creato e, al tempo stesso, la natura si antropomorfi, assumendo i connotati degli esseri e delle cose terrene. Dalla comunione dei sensi con la natura, deriva una gioia voluttuosa e vitalistica.
Per quanto riguarda la parola, spesso D’Annunzio la sceglie per il suo valore evocativo e musicale più che per quello logico.
Opere
L’attività artistica di D’Annunzio si svolge in tre diversi settori nei quali il poeta si cimentò per tutta la sua vita: la poesia, la narrativa e il teatro. In tutta la produzione di D’Annunzio, sia in versi che in prosa, si possono riconoscere tre fasi:• Nella prima, che va dal 1879 al 1890, la sua opera poetica è caratterizzata dalla fedeltà al modello carducciano, con elementi però ispirati alla poesia simbolista francese e inglese; vengono introdotti temi nuovi, caratterizzati da una componente sensuale. Nelle opere narrative di questo periodo si avverte, in particolare nelle raccolte di novelle, l’influenza del verismo e del naturalismo, superati già nel romanzo il piacere, da una decisa adesione ai temi e all’ideologia del decadentismo e dell’estetismo.
• La seconda fase dal 1890 al 1893, segna una svolta spirituale. D’Annunzio scrive ai romanzi Giovanni episcopo e l’innocente, incentrati sui motivi del castigo, della colpa e del bisogno di purificazione; raccoglie sotto il titolo di poema paradisiaco componimenti ispirati alla purezza degli affetti semplici
• La terza fase, che va fino alle soglie della guerra, è caratterizzata dall’ideologia del superuomo: nei romanzi di questo periodo i temi sono la volontà di potenza, gli amori torbidi, i fallimenti esistenziali di personaggi che sono si credono individui eccezionali; nel ciclo poetico delle laudi l’individualismo, il vitalismo e l’imperativo del piacere dominano i componimenti, anche quando il poeta vate si esibisce in retoriche celebrazioni nazionalistiche. Appartengono a questa fase anche le opere teatrali di ispirazione classica, in cui D’Annunzio rappresenta passioni estreme e logoranti. Delle opere degli ultimi anni mi ricordano i pensieri frammentari raccolti sotto il titolo notturno, che raccoglie meditazioni e fantasie del poeta, convalescente per una ferita all’occhio destro dovuta a un incidente di volo durante la guerra mondiale.
Per quanto riguarda lo stile, è un continuo sperimentare. Nelle sue prime opere segue Carducci e Verga; successivamente inserisce strutture classiche ma anche più originali. Egli ha uno stile musicale, raffinato ed elegante.
L’Alcyone è considerato il capolavoro di D’Annunzio. È il terzo libro del ciclo poetico delle Laudi (una serie di quattro libri che costituiscono l’opera poetica tra le più note dell’autore, in cui viene sviluppato il concetto di superomismo. il progetto prevedeva 7 libri, uno per ogni stella delle Pleiadi) e, come gli altri che lo compongono prende il nome da una stella delle pleiadi. Pubblicato nel 1903, raccoglie 88 poesie, strutturate come il diario di un’esperienza realmente vissuta, ma liricamente trasfigurata: un’estate trascorsa lungo il litorale toscano. D’Annunzio sviluppa qui il motivo del panismo, la comunione dell’io con la natura, in termini mitici. Il poeta si spoglia della dimensione umana e ne oltrepassa i limiti; si impadronisce della segreta energia della natura, fondendosi con il mare, la pioggia, gli alberi. Da questa metamorfosi ricava un’ebbrezza divina, che esprime con una libertà di soluzioni stilistiche e con un virtuosismo che tende al sublime. Abbiamo il passaggio dall’estate all’autunno , che rappresenta il simbolo del trascorrere del tempo. Sotto il profilo stilistico D’Annunzio abbandona le strutture della poesia tradizionale e predilige la strofa libera punto il repertorio lessicale è ricco di arcaismi e termini rari. L’intento del poeta è quello di dissolvere la parola e suscitare sensazioni sublimi, grazie agli effetti sono simbolici che ne derivano.
La pioggia nel pineto (da Alcyone)-1902
Il tema centrale di questa poesia è quello dell’amore del poeta per Eleonora Duse. D’Annunzio ebbe una relazione con questa attrice ed è lei ad ispirare non solo questo componimento ma l’intera raccolta. Qui la donna amata accompagna il poeta durante una passeggiata estiva in campagna finché un temporale non li sorprende, lasciandoli soli e intimi nel pineto, sotto l’acqua che cade e che crea un’atmosfera surreale. La donna viene chiamata “Ermione”, un nome che ricorda un personaggio della mitologia greca, sposata e abbandonata da Oreste: D’Annunzio è come Oreste che torna a lei e alla Natura dopo aver dimenticato di contemplare questo mondo incontaminato, perso nella vita caotica e mondana della città.Durante il temporale estivo ci si immerge completamente nel paesaggio, il poeta chiede subito alla sua compagna di far silenzio per contemplare solamente i rumori dell’acqua e della natura che si trasforma intorno, sotto l’incessante picchiettare della pioggia. Ogni verso non è che un altro passo dentro questo mondo incontaminato, lontano dall’umanità, finché non ci si perde del tutto. Al termine della poesia addirittura i due protagonisti sono diventati una sola cosa con il bosco: al tema del panismo se ne collega subito un altro, quindi, cioè quello della metamorfosi –la trasformazione del corpo da una forma a un’altra che il poeta tratta ricordando le Metamorfosi di Ovidio, poeta classico, dove i protagonisti diventavano realmente, da umani, elementi naturali come alberi o animali. In questa lirica domina l'elemento musicale sottolineato da pause di silenzio: le immagini visive, uditive, olfattive e tattili sfumano e si perdono in quelle sonore; e anche le persone (il poeta e la sua compagna) perdono il valore per diventare partecipi dell'immensa sinfonia della natura. Centrale è anche il tema del sensismo. Il sensismo è la ricerca di tutto ciò che proviene dai cinque sensi: il mondo deve essere conosciuto non attraverso un ragionamento razionale ma solo attraverso ciò che i nostri sensi provano vivendo determinati momenti. Per D’Annunzio questo discorso si accompagna alla ricerca della bellezza: il bello è percepito attraverso i sensi e ricercato nel pineto e in tutti i suoi elementi.