
Stiamo parlando di Niccolò Cipriani, founder nella sua Prato di Rifò, impresa che realizza capi e accessori etici a km 0 con fibre tessili 100% rigenerate.
Niccolò nella nuova puntata del podcast di Skuola.net, #FuoriClasse, ci ha parlato di come ognuno di noi, nel suo piccolo, può provare a essere sostenibile soprattutto quando si parla di vestiti.
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Il desiderio di vedere il mondo
Come sottolinea subito Niccolò, "ero uno studente che faceva mille cose oltre alla scuola, dalla pallanuoto al teatro. Forse non ero proprio uno studente modello, soprattutto sui banchi di scuola dove spesso ero distratto. Nonostante questo me la sono sempre cavata: non ho mai studiato tanto, giusto il minimo indispensabile"."La svolta è arrivata all'università dove ho capito cosa mi interessava veramente così mi sono concentrato molto di più sullo studio. Qui ho realizzato anche il mio sogno ovvero viaggiare: durante l'ultimo anno di università ho fatto un'esperienza in India, a Nuova Delhi. Poi sono tornato a Milano per l'Expo 2015, mi sono laureato e poi sono volato in Vietnam con un programma delle Nazioni Unite che si chiama Fellowships. Ci sono stato quasi due anni ed è stato un vero e proprio spettacolo: c'era un flusso di creatività continuo e tante cose da scoprire".
Il problema del fast fashion
Ad un certo punto però in Vietnam si accorge che "c'era un problema relativo alla produzione visto che si produce molto di più rispetto a quello che le persone comprano. Allo stesso tempo sempre più spesso compriamo capi d'abbigliamento che poi non indosseremo mai. Qui ho toccato con mano cosa voglia dire fast fashion: da un lato diversi gli abiti prodotti in Vietnam e poi venduti in Occidente, dall'altro tutto l'invenduto occidentale che ritorna indietro per finire in discarica o in un inceneritore, a seconda della disponibilità del territorio"."Davanti a tutto questo mi sono detto che no, questo processo non può essere sostenibile visto che quando produco una t-shirt o un maglione uso acqua, coloranti... Ironia della sorte vuole che a Prato, dove sono nato e cresciuto, si riciclino fibre tessili da più di 100 anni, soprattutto lana e cashmere. Così sono tornato a casa con un'idea e ho lanciato un crowdfunding su una piattaforma francese grazie alle tre F, Family, Friends and Fool ovvero amici, parenti e pazzi".
"E' buffo" - continua Niccolò - "come viaggiare, fare esperienze fuori mi abbia dato la possibilità di vedere con altri occhi produzioni che qui venivano fatte da sempre. All'inizio quando andavo a presentare la mia idea, gli artigiani, come si dice in Toscana, mi prendevano per grullo, per scemo. Mi dicevano, 'vuoi vendere un prodotto come rigenerato nonostante si è sempre venduto come vergine e nessuno se n'è mai accorto'. Parliamo solamente di cinque anni da quando non c'era ancora tutta l'attenzione che c'è oggi alla sostenibilità.
Rifò e la moda sostenibile
"Rifò" - ribadisce Niccolò - "per me è stato un processo e un'avventura, e la vivo ancora così. Il nome mi era venuto in mente quando ero in ufficio in Vietnam. Nasce dal termine toscano che sta per 'rifare': Rifò perché produciamo qui nel territorio; Rifò è anche una tradizione perché questo lavoro deriva da un vecchio mestiere che stava un po' scomparendo, il cenciaiolo. In sostanza una figura che si occupava di prendere i cenci o gli stracci, selezionarli per colore e qualità per poi dargli nuova vita. Rifò sicuramente è anche rifare quel mestiere"."Noi utilizzando fibre naturali risparmiamo in media almeno un 80% su acqua, energia, coloranti e prodotti chimici rispetto alla produzione vergine. Dobbiamo considerare che oggi un capo fa almeno 10.000 km prima di raggiungere il nostro armadio, nel nostro caso ne fa solamente 30 prima di realizzarlo e poi distribuirlo. La nostra è un'azienda non estrattiva ma rigenerativa. Fino a questo momento abbiamo sempre pensato che le risorse del nostro pianeta siano infinite: ci importava solamente estrarle e massimizzare il profitto senza curarci delle conseguenze in termini di persone, comunità, risorse ambientali come l'acqua".
"L'acqua però è una risorsa limitata così come le comunità: come azienda ci sentiamo in dovere di dare qualcosa al territorio e al pianeta che ci dà la possibilità di produrre. Se da un lato cerchiamo di ridurre il più possibile il nostro impatto ambientale, dall'altro abbiamo creato dei progetti sociali, come 'Nei nostri panni'. Qui diamo la possibilità ai migranti vulnerabili che arrivano al nostro territorio di integrarsi legalmente e socialmente nella nostra filiera e nel territorio facendogli imparare mestieri che pian piano stanno scomparendo, da quello del cenciaiolo al filatore".
La moda sostenibile in Italia
A differenza di cinque anni fa oggi "c'è un mercato sempre più interessato alle tematiche che trattiamo. C'è una tematica legata al prezzo che è importante: se vuoi fare le cose bene, non puoi vendere una t-shirt a dieci euro. Con quel prezzo vuol dire che una persona è pagata poco più di un euro l'ora e non credo che nel nostro Paese ci sia qualcuno che abbia voglia di lavorare ad un prezzo del genere. Dobbiamo stare molto attenti: quando compriamo qualcosa a basso prezzo è perché ci sono delle conseguenze, se io compro quel prodotto, sto finanziando un'economia che paga poco chi ci lavora".Se da un lato oggi è aumentata l'attenzione per la sostenibilità, dall'altro c'è il fenomeno del greenwashing ovvero realtà enormi che si dicono sostenibili solamente per marketing.La sostenibilità non si fa in tre anni o in cinque anni ma è un percorso. Posso usare un prodotto riciclato ma se continuo a produrre in eccesso e vendere solo il 60% di quello che produco, non si può parlare di sostenibilità. Bisogna rivedere il modello di vendita e di produzione che è basato sulla quantità e non sulla qualità.
"Oggi" - conclude Niccolò - "siamo spinti da offerte imperdibili, prezzi passi, edizioni limitate, offerte a tempo che ci portano ad acquistare qualcosa di cui non abbiamo bisogno. Dovremmo essere un po' più razionali e chiederci, davvero io ho bisogno di comprare questo capo? Davvero ho l'armadio vuoto? Il rischio è quello di andare a comprare qualcosa di superfluo non fa bene né al nostro portafoglio né al pianeta".
Paolo Di Falco