
E' la storia di Greta Cristini, analista che collabora con la rivista di geopolitica più famosa d’Italia, Limes, e reporter di guerra. Difatti adesso si trova in Ucraina per raccontare la guerra con la Russia che, tra l'altro, è anche il tema centrale del suo primo libro che uscirà in primavera.
Greta nella nuova puntata del podcast di Skuola.net, #FuoriClasse, ci ha raccontato com'è stato il suo salto nel nulla e come ha provato in questi mesi a raccontare la guerra.
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Gli studi e la carriera a New York
Rinunciare a tutto per inseguire la propria passione non è sicuramente una cosa da poco ma un vero e proprio atto di coraggio come nel caso di Greta che si è lasciata alle spalle "un percorso di studio prettamente giuridico: ho una doppia laurea in giurisprudenza in italiano e francese. Dopo i primi due anni a Firenze mi sono trasferita alla Sorbona di Parigi. Ho scritto la mia tesi in diritto penale europeo a Bruxelles e poi tramite un concorso ho vinto una borsa di studio. Così mi hanno spedita a New York dove ho fatto l'LLM ovvero il legum magister, un master post laurea di diritto americano".Infatti, "in Europa abbiamo un sistema giuridico di civil law mentre in America e nel Regno Unito ce n'è uno di common law e per diventare avvocato, come nel mio caso, bisogna fare per forza un altro master che ho seguito anche se non ero molto convita. Ammetto però di essere rimasta affascinata da quel mondo: vivere a Manhattan, la sensazione di essere privilegiata insieme ai miei compagni di corso visto che ci trovavamo a New York in università di eccellenza...Inoltre avevamo la possibilità di diventare avvocati con un percorso più rapido rispetto a quello italiano: lì ci sono dei piccoli esami e poi c'è un grande esame, il Bar, che fa riferimento alla barra che da avvocato tu puoi superare quando sei in una corte".
Così a ottobre del 2018 è diventata avvocata "anticorruzione perché ho sempre voluto fare il magistrato antimafia: sono cresciuta leggendo Falcone e Borsellino e militando in Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Poi a New York ho seguito dei corsi anticorruzione e da lì ho provato a riprendere quel mio vecchio sogno di lavorare nell'anticorruzione. Ho fatto domanda in giro e una Big Law, essenzialmente uno di quei studi legali americani con dei fatturati stratosferici, mi ha contattata visto che parlavo francese, italiano e inglese e ovviamente facendo indagini a livello globale serviva gente che parlasse più lingue. Qui ho lavorato per tre anni".
La passione per la geopolitica e la scelta di lasciare tutto
"In quei tre anni" - ci dice Greta Cristini - "ho imparato a lavorare seguendo la disciplina anglosassone: mi ritengo molto fortunata perché ho avuto il mio approccio al mondo del lavoro in America, adesso che sono ritornata in Italia vedo che la metodologia è molto diversa e, ancora, preferisco quella anglosassone. Un lavoro divertente visto che viaggiavo parecchio andando a fare indagini in giro per il mondo. Poi è anche arrivato il Covid e mi sono ritrovata a New York, uno degli epicentri della pandemia globale, a 10 minuti da Central Park dove, tra l'altro, avevano allestito un campo speciale per gestire l'epidemia".Ma, "dopo tre anni, sopratutto visto che mi annoio molto velocemente quando mi accorgo di fare qualcosa e di saperla fare bene, ho scelto di seguire un'altra strada. Da anni leggevo Limes ovvero la rivista italiana di geopolitica e, io che avevo pensato che il diritto potesse aiutarmi a spiegare un po' le cose del mondo, mi accorgevo sempre di più che non trovavo lì le risposte ma nello studio della geopolitica. Da un lato a New York mi sono accorta che nel mio lavoro mi mancava lo stimolo intellettuale di cui invece mi nutro e con la geopolitica questo lo avevo quindi, semplicemente, ho fatto la scelta meno prudente possibile. A New York era tutto ben avviato, le prospettive di crescita erano meravigliose, mi sentivo un po' al centro del mondo però a 26 anni mi son detta 'se non faccio adesso questo salto nel vuoto non lo faccio più'".
"E poi anche quella qualità di vita che magari un lavoro stabile come quello a New York mi assicurava non mi bastava per fermarmi così sono tornata in Italia dopo otto anni all'estero con l'idea di darmi alla geopolitica. All'inizio avevo aperto un blog: l'idea era comunque quella di prendermi del tempo per ricominciare a studiare. Nel mio anno di transizione a New York ho anche frequentato il primo anno della scuola di Limes: ero ancora avvocata e seguivo in contemporanea le lezioni che erano il venerdì e il sabato mattina in Italia solo che a New York c'erano sei ore di fuso orario in meno e quindi mi svegliavo alle 3:00 di notte e poi alle 4:00 cominciavo le lezioni in diretta streaming per il covid".
"Erano tre ore di lezione, dalle 4:00 alle 7:00, così restavo sveglia e poi cominciavo a lavorare anche perché se fai l'avvocata a New York i weekend non è che esistano molto. Sono tornata in Italia a dicembre del 2021 e poi qualche mese dopo sono partita per l'Ucraina, un altro step per accumulare ancora più esperienza e volume rispetto all'analisi geopolitica: ho provato a fare geopolitica dal campo, 'geopolitica con i piedi' la chiamiamo a Limes".
Cosa significa raccontare una guerra
E' passato già un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina nata a seguito dell'invasione da parte della Russia e Greta, che ci parla da Kiev, è al suo "terzo mese in Ucraina e ho girato l'intero territorio ucraino quindi ho lavorato con tanti cronisti, giornalisti, fotoreporter e ho visto il loro modo di raccontare la guerra anche perché per me era la mia prima esperienza". Difatti spiegare cosa accade in una guerra non è qualcosa di facile e proprio per questo "ci sono tanti modi differenti per raccontarla: c'è chi ha un approccio più umano perché cerca le storie di disperazione per dare l'idea della guerra intesa come lato oscuro dell'umanità, c'è chi si concentra invece sul discorso tattico militare raccontando la parte bellicista...""Il mio esperimento è quello di cercare di restare più fredda possibile, il più distaccata possibile anche da quelle storie particolari con cui entri in contatto nel momento in cui vai sul campo. Ho cercato di accumulare così tante interviste, sia dal punto di vista dei civili che dei militari e delle autorità politiche, perché tutte queste informazioni cerco di filtrarle, guardarle, interpretarle con la lente geopolitica che è avulsa da qualsiasi approccio ideologico e politologico. La lente geopolitica mi permette di comprendere meglio questa guerra perché non ho bisogno e non sento la necessità nel raccontata di prendere parte. La geopolitica richiama a sé molteplici saperi e non si interessa di prendere posizione, di dire chi ha ragione e chi ha torto ma si limita a studiare il conflitto come forma di relazione tra attori geopolitici, si lascia alla politica il compito di dire chi ha ragione e chi ha torto".
"E' chiaro che in una guerra" - sottolinea Greta Cristini - "c'è un aggressore e un aggredito ma alla geopolitica interessa entrare nella testa dei russi e degli ucraini per spiegare come loro vivono la guerra, quali sono le loro ragioni. L'analista con tutto il margine d'errore possibile cerca di mettersi nelle loro teste e questo significa studiare la loro storia, capire cosa significa vivere qui e quindi capire anche i vincoli geografici che possono limitare e calibrare in qualche modo la forma mentis delle persone. Come una persona ragiona si fonda anche su dove è nata e, di conseguenza, anche sui limiti che ha vissuto in termini socioculturali e geografici. Per esempio il fatto che la Russia sia il paese più grande al mondo, che sia un paese bicontinentale e che sia un paese che nella sua storia è stato invaso tantissime volte vista la vastità di confini da difendere, ha creato antropologicamente nel popolo che abita quelle terre un sorta di incertezza intrinseca.
"Questo può spiegare l'idea della percezione di pericolosità, dell'erosione di quello spazio di vitalità che i russi hanno avvertito con l'allargamento della NATO. Ma attenzione non li stiamo giustificando: diciamo le ragioni dell'uno e dell'altro senza prendere posizione e questo ci permette di vedere le cose da più prospettive visto che non esiste una sola geopolitica ma più geopolitiche quante sono le collettività di riferimento dal momento in cui ogni collettività ha la sua forma mentis, la sua storia, la sua antropologia, i suoi modelli culturali. Così lo sforzo empatico di mettersi nella testa degli altri, il fatto che non ci sia determinismo e quindi si può vedere un conflitto da diverse prospettive, il fatto che puoi metterti sempre in discussione mi tiene ogni giorno intellettualmente viva ed è attraverso questa lente che ho cercato di raccontare questa guerra".
Prendersi del tempo per riflettere senza essere troppo severi con se stessi
Se c'è qualcosa che questa seconda esperienza o 'seconda vita', così come piace chiamarla a lei, le ha lasciato è l'importanza di "prendersi tempo quando non si hanno chiari i propri obiettivi: ho sempre proceduto sfondando porte, partecipando a competizioni e bandi senza però chiedermi mai 'ma tu questa cosa la vuoi fare?'. Mi sono sempre mossa per competitività e sfida con me stessa senza prendermi il tempo per capire se quella cosa mi piacesse realmente o meno. Infatti ho avuto un momento in cui a New York mi sono resa conto che quella non era la vita che volevo e quindi se mi fossi fermata un po' prima a riflettere forse in Ucraina ci sarei arrivata prima"."Bisogna sperimentare, farsi domande, non preoccuparsi di avere delle incertezze visto che sono quelle cose che ci tengono vivi. Allo stesso tempo" - conclude Greta Cristini - "va bene anche continuare a cambiare idea: io stessa che ho deciso di cambiare completamente vita adesso mi sento dentro un vortice di cambiamento che, già lo sento, mi sta portando di nuovo a ricambiare. Accettiamo il cambiamento perché se lo gestiamo bene può diventare anche una droga positiva: non importa dove o cosa ma tu alla risposta su quello che vuoi fare ci arrivi a tentativi. Un ultimo consiglio che posso dare e che provo a dare anche a me stessa è quello di avere un po' di pazienza, quello di non essere troppo severi con se stessi perché altrimenti non si vive bene".
Paolo Di Falco