
Il prete si prodigò in favore degli ultimi, soprattutto dei giovani, costruendo anche una scuola la cui esperienza viene ancora oggi – a distanza di 60 anni – ricordata. Quella che sorgeva sulle colline di Barbiana era una realtà scolastica che Don Milani aveva messo in piedi per aiutare i figli dei contadini ad emanciparsi, a sviluppare il proprio senso critico: in sintesi, per diventare dei degni cittadini. L'attività del sacerdote è stata – come spesso accade – apprezzata solo a posteriori, dopo la scomparsa di Don Milani: ripercorriamo allora le tappe della vita di un uomo a cui ancora oggi la scuola italiana deve molto.
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Chi era Don Milani: dall'agnosticismo al cattolicesimo
Lorenzo Milani nacque il 27 maggio 1923 in una famiglia agiata di Firenze. Non era uno studente particolarmente brillante: iscritto al liceo 'Berchet' di Milano, non eccelleva nel rendimento. Deciso a rompere con la tradizione di famiglia, non volle iscriversi all’università dopo aver ottenuto il diploma: una scelta che creò numerosi contrasti soprattutto col padre dal quale si allontanò in giovane età.Quando la famiglia si trasferì a Milano, Lorenzo Milani scelse di convertirsi al cattolicesimo e pochi mesi dopo entrò in seminario. Da subito emersero quelle proprietà per cui ancora oggi viene ricordato: Milani era molto critico rispetto alla esteriorità di alcuni riti: secondo lui, centrale nella vita religiosa, doveva essere una rigorosa ricerca tutta interiore della verità.
La formazione e il pensiero
Il contesto in cui visse è fondamentale per comprendere la filosofia di Lorenzo Milani: la guerra e il fascismo, e la consapevolezza di una origine estremamente privilegiata, dalla quale voleva liberarsi, lo portarono a assumere posizioni radicalmente critiche verso l’ingiustizia sociale e l’autoritarismo. Divenuto ufficialmente sacerdote nel 1947, suo primo incarico fu quello di cappellano nella parrocchia di San Donato a Calenzano, un paesino tra Prato e Firenze. Qui mise in piedi la prima scuola popolare. Una scuola aperta e gratuita per gli operai e per i contadini.Egli maturò alcune riflessioni fondamentali sulla lingua e sull’insegnamento. Padroneggiare la lingua è lo strumento primo e imprescindibile per qualsiasi lotta indirizzata alla realizzazione dell’uguaglianza e al superamento delle ingiustizie sociali: l'istruzione diveniva dunque mezzo di emancipazione, libertà e coscienza politica.
Le sue posizioni da subito vennero criticate soprattutto negli ambienti ecclesiastici. Quando nel 1951, e poi nel 1953, il parroco si espresse in pubblico sostenendo la libertà del voto e affermando che ognuno avrebbe dovuto votare secondo coscienza, contravvenne alla leggi clericali che impedivano ai sacerdoti di parlare del voto e delle elezioni. Una presa di posizione che gli costò il posto a Calenzano e l'invio – in pianta stabile – nell'anonimo comune di Barbiana.
Il progetto educativo: l'esperienza di Barbiana
Barbiana è una piccola frazione di Vicchio nel Mugello, dove a metà degli anni '50 non esisteva ancora una scuola media. Don Milani decise di realizzare una scuola per i giovani del luogo, figli di contadini poveri e con pochi strumenti per emanciparsi. La scuola impegnava i ragazzi tutto il giorno, tutti i giorni dell’anno. Non c’era la ricreazione, considerata inutile e uno sperpero del tempo.Si praticava la tecnica della scrittura collettiva; si leggevano i quotidiani, si discutevano e si scriveva insieme il commento. Erano previste conferenze e incontri settimanali con sindacalisti, politici, intellettuali. I primi a porre domande agli intervenuti dovevano essere coloro che avevano il titolo di studio più basso. L’obiettivo di questo progetto educativo era l’emancipazione delle classi subalterne.
Don Milani, un prete "scomodo"
Quella di Barbiana fu un'esperienza formativa per lo stesso parroco. Più veniva a contatto con le realtà disastrate del territorio, più in Don Milani cresceva un senso di giustizia orientato verso i deboli. In quel periodo, insieme ai suoi alunni, scrisse 'L'obbedienza non è più una virtù', lettera in difesa dell'obiezione di coscienza, inviata a tutti gli organi di stampa dell'epoca. In seguito, fu la volta di 'Lettera ad una professoressa', scritta dopo aver assistito alla bocciatura di due suoi alunni agli esami di Stato: si tratta di una lettera di denuncia del sistema formativo italiano, secondo Milani – ai tempi – contraddistinto da connotati classisti.Nello stesso testo si leggevano alcuni nodi da riformare, tra cui il sistema delle bocciature e il tempo pieno. Don Milani visse in maniera radicale, estrema per il ruolo che ricopriva, e spesso in contrasto con i suoi superiori. Fu lui a mettere in luce i nervi scoperti e tutte le contraddizioni che animavano la società dell'epoca: proprio per questo viene ricordato come un “prete scomodo”.