In questo appunto vedremo in che cosa consiste lo studio di funzione: ossia un insieme di procedimenti analitici finalizzati (come ad esempio la determinazione degli asintoti) a determinare i costituenti "più importanti" di una funzione per esserne poi in grado di determinare il suo grafico. Esso si compone di diverse fasi.
Indice
- Lo studio di funzione
- Studio del dominio e del codominio della funzione
- Individuazione di eventuali parità o disparità della funzione
- Determinazione dei punti di intersezione con l'asse delle ascisse e delle ordinate
- Valutazione di una funzione alle estremità del suo dominio
- Valutazione dei massimi, dei minimi o dei punti di flesso di una funzione
- Studio dei punti singolari
- Tracciamento del grafico della funzione
Lo studio di funzione
Diamo prima di tutto la definizione di funzione: una funzione è una legge matematica che associa ad ogni valore della variabile
più valori della variabile
si dicono invece relazioni, e non fanno parte di questa trattazione.
Attribuito un qualsiasi valore alla variabile indipendente
(purchè esso ricada all'interno del dominio della funzione, concetto che verrà spiegato poco più avanti), la legge espressa dalla funzione permette di calcolare il corrispettivo valore della variabile dipendente
.
Ad esempio una funzione è l'equazione:
, che come si sa è l'equazione di una parabola.
Non è raro trovare una funzione nella notazione
.
L'insieme di tutti i valori che la x può assumere -dando un significato alla funzione- si chiama "dominio" della funzione, mentre l'insieme di tutti i corrispondenti valori dell y è il "codominio" o "immagine" della funzione. Solitamente l'analisi matematica si occupa di studiare funzioni reali di variabile reale, e cioè quelle funzioni in cui dominio e codominio appartengono all'insieme "R" dei numeri reali.
Ogni funzione reale di variabile reale può essere rappresentata nel piano cartesiano attraverso un grafico, che prende il nome di grafico di funzione. Tale grafico è formato da tutti i punti del piano cartesiano le cui coordinate
appartengono alla funzione (cioè tali che, se inserite nella funzione, rendono vera l'uguaglianza che essa esprime). Questo grafico è molto utile, perché permette di capire immediatamente qual è l'andamento della funzione e quali sono -se ce ne sono- le sue particolarità.
Nelle funzioni più semplici anche il tracciamento del grafico di funzione è un'operazione poco complessa: è sufficiente costruire una tabella di valori
e corrispettivi valori
. Le coppie di valori
così ottenute rappresentano le coordinate dei punti che appartengono alla funzione. Disegnati questi punti nel piano cartesiano, sarà sufficiente congiungerli.
Ma nella maggior parte dei casi disegnare il grafico di una funzione non è semplice, e richiede tutta una serie di procedure complesse, che tutte insieme prendono il nome di studio di funzione. Detto altrimenti, lo studio di funzione è un procedimento suddivisibile in più fasi che permette di studiare le caratteristiche della funzione, al fine di poterne rappresentare il grafico.
Queste fasi sono piuttosto numerose, e per poterle descrivere tutte in dettaglio occorrerebbe una lunga e specifica trattazione, tale da costituire quasi il contenuto di un intero libro. Nel presente appunto ci limiteremo a riportare l'elenco di tutte queste fasi in ordine "cronologico", cercando di fornirne una -se non dettagliata- comunque esauriente descrizione.
Studio del dominio e del codominio della funzione
Assegnata una funzione, la prima operazione da eseguire su di essa è definire il suo dominio e il suo codominio nel piano cartesiano.
Nel caso di funzione reale di variabile reale si stabiliranno dunque quali sono i valori reali che la
può assumere affinché i valori della
che gli corrispondono restino anch'essi nell'insieme dei numeri reali, e si escluderanno quelli per i quali questo non avviene. Tale procedura è abbastanza semplice e si basa generalmente sulle regole matematiche delle- operazioni elementari.
Determinare il dominio di una funzione nell'insieme dei numeri reali viene chiamato anche "determinazione delle condizioni di esistenza" della funzione. Tale determinazione si basa su quella che è spesso nota come "convenzione del dominio", la quale afferma che: "Quando una funzione è definita senza specificare il suo dominio, si sottintende che il dominio consista di tutti i valori reali x per i quali il valore
Determinato il dominio (cioè i valori che la
può assumere per i quali la funzione è definita), si stabilirà il codominio (cioè i valori che la
può assumere per quei valori della
).
Ad esempio nella funzione:
il dominio è rappresentato da tutti i numeri reali (perché la variabile
), mentre il codominio è rappresentato da tutti e soli i numeri reali non negativi (poiché per la legge espressa la y non può assumere valori negativi), cioè tutti i numeri reali
.
Individuazione di eventuali parità o disparità della funzione
Va prima di tutto data la definizione di funzione pari e funzione dispari:
- Una funzione si dice pari se [math] f(-x) = f(x) [/math]per ogni[math] x [/math]appartenente al dominio della funzione.
- Una funzione si dice dispari se [math] f(-x) = - f(x) [/math]per ogni[math]x[/math]appartenente al dominio della funzione.
La funzione
è ad esempio una funzione pari, perché
.
La funzione
è ad esempio una funzione dispari, perché
.
Rilevare eventuali parità o disparità nella funzione è molto importante, e soprattutto utile per disegnare il suo grafico. Infatti il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all'asse y; il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto all'origine.
L'unica funzione che è sia pari che dispari è
Determinazione dei punti di intersezione con l'asse delle ascisse e delle ordinate
Spesso accade che una funzione intersechi in uno o più punti gli assi cartesiani. Determinare questi punti di intersezione è molto importante ed utile: ancora una volta si tratta di una operazione che può agevolare il tracciamento del grafico della funzione nel piano. I punti in cui la funzione interseca l'asse
hanno ordinata nulla e saranno del tipo
, similmente i punti in cui la funzione interseca l'asse
hanno ascissa nulla e saranno del tipo
.
Ad esempio, consideriamo la funzione
. Se
allora
cioè
. Se invece
allora
. Quindi c'è una sola intersezione con l'asse delle ascisse e una sola intersezione con l'asse delle ordinate. Il grafico taglia l'asse delle ascisse nel punto di coordinate
.
Il grafico taglia l'asse delle ordinate nel punto di coordinate
.
Valutazione di una funzione alle estremità del suo dominio
Definito il dominio di una funzione, ne conosciamo gli estremi: sappiamo cioè dove la funzione è definita e dove non lo è.
Per avere più chiaro l'andamento di una funzione e poterne tracciare il grafico, risulta molto utile studiare cosa avviene quando si è infinitamente vicini al punto o ai punti dove essa non è definita, cioè ai limiti del dominio. Far questo significa calcolare il limite di una funzione alle estremità del suo dominio.
Supponiamo ad esempio che una certa funzione
sia definita su tutto l'insieme dei numeri reali, ad eccezione del punto di ascissa a. La funzione è però definita finché resta infinitesimamente vicina ad a, ed avvicinandosi al punto di ascissa a essa assume un valore infinitesimamente vicino all'ordinata di valore b.
Diremo allora che la funzione f(x) tende al limite b quando x tende al valore a, o più semplicemente che b è il limite di f(x) per x che tende ad a, e si scrive:
Nasce il problema di come fare a determinare il valore di b dal momento che a non fa parte del dominio, e quindi la funzione non è definita in quel punto. Altre volte può addirittura accadere che il valore b del limite non esista.
Rispondere alla domanda non è semplice, e come detto in precedenza richiederebbe una trattazione specifica a parte. In questo appunto si dirà semplicemente che il limite di una funzione in un certo punto a esiste ed è pari ad un certo valore b solo se essa ha entrambi i limiti destro e sinistro, e questi due limiti coincidono entrambi con b. Se così non accade, il limite non esiste. Il limite destro e sinistro di una funzione sono i valori che essa assume quando x è infinitesimamente vicino al valore a rispettivamente "arrivando" dalla sua destra o dalla sua sinistra.
Per il calcolo di questi limiti esistono poi precise regole da seguire, nel merito delle quali, trattandosi di una semplice trattazione illustrativa dello studio di funzione, non entriamo.
Da non trascurare, quando si esegue lo studio di una funzione, è anche il calcolo dei limiti all'infinito, cioè agli estremi del campo reale, quando la variabile x diventa molto, molto grande, sia in senso positivo che in senso negativo. Non è facile dare la definizione di limite all'infinito. Possiamo dire che se una funzione f(x) è ad esempio definita in un intervallo di valori
e se è possibile rendere f(x) infinitesimamente vicina ad un certo numero b quando la x assume un valore molto, molto grande, allora possiamo dire che la funzione f(x) tende al limite b quando x tende all'infinito, e si scrive:
...e b rappresenta il limite all’infinito della funzione.
Viceversa, se una funzione f(x) è ad esempio definita in un intervallo di valori
e se è possibile rendere f(x) infinitesimamente vicina ad un certo numero b quando la x assume un valore negativo molto, molto grande in valore assoluto, allora possiamo dire che la funzione f(x) tende al limite b quando x tende all'infinito negativo, e si scrive:
I limiti all'infinito di una funzione permettono, oltre a valutare l’andamento della funzione agli estremi del campo reale (come detto precedentemente), di capire se essa presenta degli asintoti orizzontali. Si dice che una funzione presenta un asintoto orizzontale se tende/si avvicina ad una retta orizzontale di equazione y=±k quando x assume valori molto molto grandi o molto molto piccoli.
Ad esempio, se consideriamo
, facendone il limite per x che tende all'infinito positivo, risulta:
mentre il limite per x che tende all'infinito negativo risulta:
Quindi tale funzione ha due asintoti orizzontali: uno per y=1 e uno per y= -1.
Non ci sono solo limiti all'infinito, ma anche limiti infiniti. Questo succede quando una funzione assume valori infinitamente grandi o piccoli
in corrispondenza di particolari valori (compresi anche
) assunti dalla variabile x.
Si ricordi però che l'infinito non rappresenta nessun numero reale, quindi in realtà le funzioni che hanno limiti infiniti non hanno limiti: semplicemente crescono in modo arbitrario assumendo valori enormemente grandi o piccoli.
Quando una funzione presenta tende/si avvicina ad una retta verticale di equazione x=±k se x assume particolari valori, si dice che essa è dotata di asintoti verticali.
Prendiamo ad esempio la funzione:
facendone il limite per x che tende a 0, risulta:
Quindi tale funzione ha un asintoto verticale in corrispondenza di x=0.
Da tutto quello che è stato detto finora, si capisce come i limiti ci aiutino anche a verificare (o se non altro a definire) la continuità di una funzione, ovvero se una funzione è continua oppure no in tutto il suo dominio (punti interni ed esterni), oppure ha dei punti di discontinuità. (Per esempio nei punti di discontinuità di una funzione possono trovarsi asintoti verticali).
Accertarsi che una funzione sia continua oppure discontinua all'interno di un certo intervallo è molto importante, perchè una funzione è differenziabile (ovvero derivabile) in un certo intervallo del suo dominio solo se è continua in quell'intervallo. Che cosa si intende per funzione derivabile e quale importanza l'operazione di derivazione di una funzione abbia nel suo studio verrà definito poco più avanti.
Per ulteriori approfondimenti sugli asintoti vedi anche qua
Valutazione dei massimi, dei minimi o dei punti di flesso di una funzione
A questo punto dello studio di funzione non resta che determinare se la funzione stessa è dotata di punti di massimo o di minimo (assoluti o locali).
Cominciamo dai primi (massimi e minimi assoluti).
Diremo che una funzione ha un valore massimo (assoluto) in
Viceversa una funzione ha un valore minimo (assoluto) in
Un teorema ci garantisce che se il dominio di una funzione è un intervallo limitato e chiuso, e se la funzione è continua lungo questo dominio, allora la funzione è sicuramente dotata di un valore di massimo e di minimo assoluti, e quindi la loro determinazione è possibile.
Accanto ai massimi e minimi assoluti, una funzione può anche essere dotata di massimi e minimi locali. Volendo dare una definizione abbastanza semplice ed intuitiva di questi valori, diremo che essi sono i punti in cui il grafico è "più in alto o più in basso dei punti vicini, ma meno alto e meno basso dei massimi o dei minimi assoluti".
Per determinare i valori di massimo o di minimo (assoluti o locali) di una funzione è necessario calcolare la derivata prima della funzione stessa. Vediamo perché e soprattutto cosa si intende per derivata prima.
La derivata prima di una funzione (indicata spesso con il simbolo
) è a sua volta una funzione: quella della tangente alla funzione base in uno qualsiasi dei suoi punti. La pendenza di detta tangente esprime inoltre la pendenza della funzione base.
Assegnata una qualsiasi funzione, calcolare l'equazione della sua tangente non è difficile, in quanto il processo di "derivazione" di una funzione segue regole ben precise, imparate a memoria le quali, il procedimento può dirsi quasi meccanico. Sebbene sarebbe interessante illustrare queste regole, se ne risparmia in questa sede la trattazione, la quale ancora una volta richiederebbe un intero appunto a parte.
La derivazione di una funzione è possibile solo negli intervalli dove questa è continua, ovvero nei punti all'interno del suo dominio privi di cuspidi, angoli o estremi... Dove la funzione è continua (e quindi è possibile calcolare la derivata prima), si dice che essa è "differenziabile". Nei punti dove la funzione non è differenziabile la tangente è verticale. Tali punti vengono detti punti singolari.
Poichè la derivata rappresenta la tangente al grafico della funzione assegnata in uno qualsiasi dei suoi punti, essa permette di capire anche quale sia l'andamento (o segno) della funzione: se crescente o decrescente. Se infatti la derivata prima di una funzione in un certo intervallo è sempre positiva (per accertarsene basta inserire alcuni valori della x nell'equazione della derivata prima scegliendoli sempre più a destra sull’asse reale), allora la funzione è crescente in quell'intervallo muovendosi verso destra. Allo stesso modo, se la derivata prima di una funzione in un certo intervallo è sempre negativa, allora la funzione è decrescente in quell'intervallo muovendosi verso destra. I punti in cui invece la derivata prima assume valore nullo (e quindi la tangente al grafico della funzione è orizzontale) vengono detti punti critici, e possono essere di vario tipo.
Per essere certi che i valori della x tali da annullare la derivata prima siano punti di massimo o minimo assoluti, oppure valori di massimo e di minimo locali, occorre sostituirli nella funzione di partenza, determinando i corrispettivi valori della y. Tali valori vanno confrontati con quelli che la funzione assume negli altri punti critici, singolari e negli estremi del suo dominio: se sono i massimi o minimi valori che la funzione assume, si tratta di massimi o minimi assoluti. Altrimenti si tratta di massimi e minimi locali.
La derivata seconda della funzione (cioè la derivata della sua derivata) fornisce invece importanti informazioni sulla concavità (verso l'alto o verso il basso) della funzione e quindi sull'eventuale presenza di punti di flesso, oltre a darci un ulteriore criterio per la determinazione dei punti di massimo e minimo di una funzione.
Se infatti la derivata seconda di una funzione in un certo intervallo è sempre positiva, allora la funzione ha la concavità rivolta verso l'alto in quell'intervallo. E se in detto intervallo vi era un punto a derivata prima nulla, in quel punto vi è un minimo. Allo stesso modo, se la derivata seconda di una funzione in un certo intervallo è sempre negativa, allora la funzione ha la concavità rivolta verso il basso in quell'intervallo. E se in detto intervallo vi era un punto a derivata prima nulla, in quel punto vi è un massimo. La derivata seconda ci fornisce quindi un ulteriore criterio per stabilire se un punto critico è un massimo o un minimo.
Per esempio si consideri nuovamente la funzione:
, allora si ha
, che si annulla per
.
Quindi in
vi è un punto critico. Calcoliamo la derivata seconda (derivata della derivata prima) della funzione:
In questo caso la derivata seconda è sempre positiva, e quindi anche nel punto critico di coordinate
. Ne deduciamo che il punto critico presente in
è un minimo della funzione.
I punti di flesso (più correttamente e compiutamente andrebbero definiti flessi orizzontali) sono invece quei punti in cui la concavità della funzione è opposta dalla parte destra rispetto alla parte sinistra. In corrispondenza dei punti di flesso sono nulle sia la derivata prima che la derivata seconda della funzione.
Consideriamo ad esempio
. La derivata prima è
, che si annulla per
.
Quindi in
vi è un punto critico. Calcoliamo la derivata seconda della funzione: essa è pari a
che è nulla per
. Ne deduciamo che il punto critico presente in
Studio dei punti singolari
Un completo studio di funzione dovrebbe comprendere anche la trattazione e l’analisi dei punti singolari. Cioè di quelle “situazioni particolari” in "punti particolari", che comportano la formazione di cuspidi, angolarità, flessi verticali, ecc. Il discorso sarebbe molto ampio e particolareggiato ed esula perciò dalla trattazione sommaria di questi appunti.
Per ulteriori approfondimenti sullo studio di funzione vedi anche qua
Tracciamento del grafico della funzione
Un volta eseguiti tutti i suddetti calcoli, il grafico della funzione è pronto per essere disegnato, a mano o attraverso l'ausilio di software grafici.