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Habilis
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Omero e la Oral composition
Milman Parry sosteneva che i poemi omerici fossero solo dei componimenti orali e che l’intera Iliade fosse caratterizzata da una formularità di schemi narrativi che vengono costantemente modificati. Parry mise a confronto questa formularità con la Oral Composition, cioè un processo di ripetizione orale perciò i canti epici furono continuamente cantati di aedo in aedo. Gli aedi non sapevano scrivere e conoscevano questo repertorio di formule e di schemi narrativi che costituivano un testo orale fisso.
Parry ipotizzò che gli aedi sapessero a memoria dei canti epici e che fossero in grado di improvvisarli a richiesta. A Parigi, Parry frequentò l’Ecole Pratique des Hautes Etudes e lì conobbe Mirko, uno studioso che si occupò delle tradizioni epiche serbe. Parry, rendendosi conto che le ricerche di Mirko potevano essergli utili, partì con lui e incontrò dei cantori analfabeti che usavano gli stessi sistemi che Parry aveva ipotizzato per gli aedi. Al ritorno dal suo viaggio, Parry morì e gran parte del suo materiale venne conservato ad Harvard. Il figlio di Parry, però, richiamò l’attenzione su alcuni dei lavori del padre. La tesi di Parry era rivoluzionaria perché ribaltava completamente le idee della critica omerica. Attorno ad Omero c’è una questione secolare. I primi cenni sulla questione risalgono al 1705, quando Francois Hedelin d’Ambignac, scrisse un trattato su Omero in cui vi sono due affermazioni:
- Omero non è mai esistito;
- L’Iliade e l’Odissea sono il risultato della raccolta di diversi canti epici in origine indipendenti.
Sappiamo dalle fonti che Pisistrato nominò una commissione di aedi incaricati di mettere l’Iliade e l’Odissea per iscritto. Questa è la prima redazione scritta dei poemi omerici.
Verso la fine del ‘700, il critico tedesco Wolf tornò sull’argomento e recuperò il personaggio di Omero dicendo che Omero è come Ossian. I canti di Ossian erano la traduzione dell’opera di un bardo vissuto nel VI sec.
Nei poemi omerici c’è un nucleo originario (Ur Ilias) attribuibile ad Omero, ma che poi nel tempo è stato esteso. Da Wolf in poi ha inizio la fase della critica omerica dominata dagli analitici. Gli analitici lavorarono sul testo omerico da vari settori, cercando di sezionarlo in modo da individuare le fasi di composizione attraverso cui i poemi omerici sono passati. Infatti dove vi sono apporti linguistici diversi dallo ionico si ha la probabilità che quei canti epici abbiano subito delle aggiunte. Ci sono punti in cui Omero si contraddice e qui gli analitici dissero che c’erano delle aggiunte palesi. Il primo di questi analitici fu Gottfried Hermann, che parlò di Ur Ilias individuandola. Nel corso del tempo le ricerche degli analitici si complicarono, però. Dopo Hermann vi furono Karl Lachmann e Kirchoff. Essi elaborarono la teoria “Kleinenlieder”, cioè dei microcanti. Lachmann riconobbe nell’Iliade la rapsodia di 16 poemi epici originariamente indipendenti tra loro. Kirchoff, invece, ravvisa nell’Odissea la rapsodia di 3 soli poemi: Telemachia, Nostoj, Tisij.
Per Kirchoff questi erano 3 poemi indipendenti, che erano stati a loro volta rapsodia di canti di minore estensione. La tesi si complica notevolmente perché vi sono tanti canti indipendenti che vengono raggruppati a formare il poema. La figura di Omero, quindi, viene disgregata perché non vi è più in nucleo originario. Con Wilamoviz la teoria si complica ulteriormente poiché egli scrisse il “Die Ilias und Homer”, in cui raccolse decenni di studi sui poemi omerici. Wilamoviz partì dall’informazione che esisteva in Ionia una corporazione di aedi detti Omerici, siccome si dicevano discepoli di Omero e prosecutori della sua opera. Questi aedi e gli aedi di altre corporazioni lavorarono su testi scritti e confrontavano versioni diverse di uno stesso episodio oppure tagliando determinati episodi e introducendone altri. Le ricerche di Parry sono rivoluzionarie perché:
- Gli analitici erano arrivati a ipotizzare che dietro ai poemi omerici ci fosse una tradizione orale. Solo Wilamoviz si staccò e parlò di una composizione scritta. Parry, con i suoi studi sull’epica serba, ha la riprova di ciò che gli analitici avevano ipotizzato;
- C’è un risvolto che demolisce la teoria analitica perché la dimostra assurda. I poemi omerici sono il risultato di una lunga catena di improvvisazioni epiche. Però la modalità stessa dell’improvvisazione orale rende inutili le ricerche degli analitici perché, quando un aedo improvvisava, si riferiva ad un testo orale fisso. Questo testo era perfettamente unitario e veniva ogni volta messo in gioco. Quindi cercare il nucleo originario non ha senso poiché il testo sottoforma di schema narrativo generale è già presente nella mente degli aedi .

È chiaro che, nel passare di queste tradizioni da un’età all’altra, ogni generazione lascia le sue tracce. La società descritta da Omero non è più quella micenea, perché quella società aveva già una scrittura ed era molto più gerarchizzata. Con la decifrazione delle tavolette in lineare B si nota ciò. Ci sono particolari riconducibili ad una società come quella micenea, quindi la società descritta da Omero ha rapporti più semplici. Nei poemi omerici, però, è conservata una memoria di luoghi, oggetti e rituali religiosi.

La stesura dei poemi omerici
Entro l’ottavo sec. i materiali costituivi dei poemi omerici si fissano e sono quelli che noi oggi conosciamo. Si concorda nel dire che c’è un salto cronologico legato alle differenze tra i due poemi. La tesi di una prima stesura scritta di questi materiali è stata avanzata nel 1935 da un filologo tedesco, Wolfgang Shadewalt, che, dimostrata l’infondatezza delle critiche analitiche, recuperò il personaggio di Omero facendone il redattore finale dei due testi. Tuttavia quella di una redazione scritta entro l’ottavo sec. a.C. è una semplice ipotesi. Oltre a ciò, il testo dell’Iliade e dell’Odissea che noi leggiamo oggi rinvia di sicuro alla fine del IV sec. A., quando ad Alessandria d’Egitto due filologi, Zenodoto e Aristarco curano un’edizione ufficiale dei poemi omerici. Zenodoto curò l’Iliade, Aristarco l’Odissea. Essi fecero confluire ad Alessandria gran parte delle redazioni scritte dei due poemi, le confrontarono tra di loro (collazione) e fissarono un testo. Della loro edizione essi fecero curare una copia, che venne esposta nella Biblioteca di Alessandria. Abbiamo rinvenuto papiri risalenti al VI sec. a.C. che testimoniano brani dell’Iliade e dell’Odissea. Dopo Parry, Havelock riprese le ricerche e individuò nei poemi omerici una enciclopedia tribale. Questo termine, prima di Havelock, era stato utilizzato da James Joyce. Quando Joyce iniziò a scrivere l’Ulisse, la panoramica omerica era dominata dagli analitici. Dire che i poemi omerici sono un’enciclopedia significa dire che essi raccolgono e documentano tutta una serie di valori, usanze, convenzioni sociali proprie di un certo mondo. Nel momento in cui l’Iliade e l’Odissea raccolgono e documentano tutta questa serie di elementi, essi conferiscono ai poemi omerici un valore normativo. Non ci si limita a testimoni8are una tradizione, ma si dice anche come ci si deve comportare e a quali valori ci si deve attenere. La tradizione diventa un precedente di riferimento al quale una comunità deve guardare. Gli aedi già presentavano i loro canti non come opera loro, ma come canti di origine divina. Infatti essi si presentavano come invasati dalla Musa, che parlava per bocca loro.

La società omerica
Per lungo tempo i poemi omerici vennero considerati opera di mera fantasia. Dunque le vicende non avevano alcuna storicità, posto che parlassero di una società immaginaria. Quando Schliemann scoprì le rovine di Troia, vennero inaugurate una serie di campagne archeologiche e venne ritrovata anche Micene. A questa società viene assegnato il nome di civiltà Micenea o Achea, traendo queste denominazioni dai poemi omerici. A partire da Schliemann, la valutazione dei poemi omerici cambiò poiché si ha la prova che essi hanno un fondamento storico. Nel sito di Pilo vennero rinvenute delle tavolette che attestano una grafia affine alla lineare A cretese. Queste affinità facevano pensare che la civiltà micenea fosse influenzata da quella cretese e fosse pre – greca. Nel 1952, però, l’architetto Micheal Ventris riuscì a decifrare le tavolette in lineare B. Dalla decifrazione emergono due dati fondamentali:
- La lineare B decifrata ha restituito la forma più arcaica di dialetto dorico a noi nota. Ne deriva che la lingua dei Micenei era greca.
- Le tavolette di Pilo e di Crosso ci restituiscono una società diversa da quella dei poemi omerici. È una società capillarmente organizzata. Di questa strutturazione poche tracce sono rimaste nei poemi omerici e, quindi, anche l’idea che i poemi omerici siano fonte dei Micenei entra in crisi.
Dagli anni 1200 a.C. il Mediterraneo orientale entra in crisi a causa dei Popoli del Mare. Crollano la civiltà ittita e micenea. La chiave di volta fu il crollo della civiltà cretese. Infatti i micenei popolarono Creta e da lì controllavano le rotte marina. Essi, però, erano guerrieri e ne approfittarono per cercare di creare un’egemonia politica. Di conseguenza si creò una reazione a catena di popolazioni che scappavano e che si riversavano in Egitto e Grecia. I micenei avevano innescato un processo di conquista e ne vennero travolti. Nei poemi omerici vi sono 3 livelli:
a) Società micenea
b) Società del periodo oscuro
c) Prima società arcaica

a) Nei poemi omerici c’è ancora una memoria legata alla società micenea di:
- luoghi: Troia, Micene, Argo, Tirino
- oggetti: Elmo di Merione
- rituali: Nekuia
Nell’Odissea viene descritto l’elmo di Merione, che serviva per mimetizzarsi poiché era di feltro. Inoltre nel libro XI dell’Odissea, Odisseo giunge nell’Ade per interrogare Tiresia e compie un vero e proprio rito di necromanzia. Odisseo scava una fossa, sparge attorno della farina, quindi compie libagioni rituali e sulla fossa sgozza degli animali in modo che il loro sangue venga raccolto nella fossa. I morti non hanno più consapevolezza e, per avere risposte da loro, bisogna far riprendere loro contatto con la vita. I morti vengono richiamati dall’odore del sangue e, bevendolo, riacquistano consapevolezza. È stato ritrovato ad Efira un santuario, che era un oracolo di necromanzia. La società dei due poemi, però, è molto meno gerarchizzata rispetto a quella micenea. Ne abbiamo una testimonianza fin dal I libro dell’Iliade, in cui Crise si reca dagli Achei per riavere la figlia Criseide in cambio di un riscatto. Crise trova gli Achei tutti riuniti e si rivolge a loro per perorare la sua causa. Questo nella società micenea era inconcepibile. La questione della restituzione di un ostaggio si configura come un problema di politica estera. In decisioni del genere, i laoi erano esclusi. Di certe questioni si parlava rigorosamente davanti al Vanax e ai basilei .
b) La società del periodo oscuro si protrae fino alla fine del IX sec. La dicitura “Medioevo ellenico” non è precisa, poiché ci sono circa 3000 anni di distanza e poi questa definizione parte dalla svalutazione del Medioevo come periodo di barbarie. Di questo periodo non si sa praticamente nulla, siccome scomparve la scrittura.
c) L’Iliade e l’Odissea testimoniano, anche, la fase di uscita del mondo greco dalla crisi. Nel XVIII libro dell’Iliade c’è la descrizione dello scudo di Achille, pieno di scene di guerra. Questa descrizione attesta per la prima volta l’esistenza di una struttura politico – sociale, la polij. Un altro esempio è nel XXII libro dell’Iliade, nel Pianto di Andromaca. In questo libro Andromaca si sofferma sul destino di Astianatte, in una pagina che crea contrasto col VI libro, in cui Ettore aveva chiesto che il figlio crescesse forte. Andromaca figura il figlio sradicato, emarginato dalla società e raffigura questa prefigurazione nell’immagine in cui i convitati ad un banchetto lo scacceranno dicendogli:”vattene! Tuo padre non banchetta più con noi”. In queste parole è echeggiato il riferimento agli ordinamenti delle poleij di tipo arcaico, in cui gli aristocratici erano tenuti a banchettare insieme, per dare un segno visibile della loro parità. Altro ulteriore esempio si ha nel IX libro dell’Odissea, in cui c’è l’episodio del Ciclope. Odisseo e i suoi compagni giungono nell’isola dei Ciclopi e si imbattono in Polifemo. L’isola è descritta come un paese di cuccagna. Tuttavia Omero dice che quest’isola, pur così ricca, non è adeguatamente sfruttata da chi ci vive. La descrizione dell’isola dei Ciclopi contiene un invito alla colonizzazione.
Questi 3 livelli sono compresenti nei poemi omerici. La società è pertanto ibrida a tutti gli effetti, tanto che oggi la critica parla di “società omerica”.

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