Concetti Chiave
- Didone, figura della mitologia classica, è conosciuta come fondatrice e prima regina di Cartagine, con il nome derivato da significati come "donna virile" o "l'Errante".
- Secondo la leggenda, dopo l'uccisione del marito Sicheo da parte del fratello Pigmalione, Didone fuggì con un tesoro nascosto, ingannando il fratello e approdando in Tunisia.
- Didone fondò Cartagine ingannando il re Iarba con un'astuzia: utilizzò una pelle di bue tagliata in strisce per racchiudere un vasto territorio.
- Nell'Eneide di Virgilio, Didone si innamora di Enea, ma viene abbandonata, portandola al suicidio e maledicendo Enea e i suoi discendenti.
- Il mito di Didone è stato ripreso in varie opere letterarie, tra cui la Divina Commedia di Dante, in cui appare nel V canto dell'Inferno, e in scritti di autori come Petrarca e Boccaccio.
In questo appunto di italiano viene fornita una descrizione di Didone da viva. Didone è una figura appartenente alla mitologia classica, nota per essere stata la fondatrice e la prima regina di Cartagine.
Indice
Descrizione di Didone da viva
La figura mitologica di Didone è la figlia primogenita di Mutto, re di Tiro, il cui nome significherebbe, secondo un’antica etimologia, “donna virile”, secondo un’altra teoria “l’Errante”, per il suo lungo peregrinare alla ricerca di una nuova patria.
Da Virgilio viene descritta come una giovane “pulcherrima”, molto bella, bionda, vestita molto sontuosamente, come si addice al suo rango. È un personaggio che prende spunto dalla leggenda cartaginese che ha come protagonista Elissa (= la gioconda), figlia del re Mutto di Tiro, il padre decise di dividere il suo territorio in parti uguali tra i due figli, ma Pigmalione, preso dalla smania del potere le uccise il marito Sicheo, proprio, nell’intento di impadronirsi delle sue ricchezze. Il mito narra che fu lo stesso Sicheo a comparire in sogno alla moglie per rivelarle la causa della sua morte, consigliandole di fuggire dal fratello. La giovane principessa, quindi si trovò costretta a fuggire, caricò il tesoro su alcune navi, di nascosto, e, con dei compagni fidati, fuggì lontano, alla ricerca di una nuova patria. Per ingannare Pigmalione, finse di gettare in mare i sacchi pieni d’oro, in realtà i sacchi contenevano sabbia, facendo credere di voler placare l’anima del defunto marito, i marinai, intimoriti dal fatto di non poter tornare da Pigmalione senza l’oro, virarono per Cipro, nell’isola ad attenderli c’erano delle fanciulle chiamate appositamente da Didone, a questo punto i marinai, dopo aver appreso che l’oro in realtà si trovava sulle navi, decisero di rimanere fedeli a Didone. La donna sbarcò nell’odierna Tunisia, dove venne accolta benevolmente da Iarba, il re dei Getuli, che le concesse di stabilirsi su “tanta terra quanta ne potesse racchiudere una pelle di bue”, questa frase però le permise di giocare d’astuzia, Didone infatti ordinò ai suoi compagni di tagliare una pelle di bue in strisce sottilissime che, unite fra loro, formarono un nastro con cui fece cingere un vasto territorio. È proprio in questo vasto territorio che fece costruire la città di Cartagine, il cui antico soprannome era infatti “Birsa”, che in greco significa “pelle di bue”. Il re Iarba, a questo punto, colpito dall’astuzia e dall’intraprendenza della principessa, la chiese in sposa minacciando di dichiararle guerra nel caso di un suo rifiuto. La donna, decisa a rimanere fedele alla memoria di Sicheo, preferì uccidersi. Del suo suicidio narrano in maniera differente Timeo e Giustino e Virgilio nell’Eneide.
per un ulteriore approfondimento sul mito di Didone vedi anche qua
Didone nell’Eneide di Virgilio
A scrivere e parlare della leggenda di Didone sono stati Timeo e Giustino, ma anche gli storiografi Ennio e Nevio, studiarono il mito di Didone per comprendere le cause primordiali che stavano alla base delle lotte tra Roma e Cartagine. Virgilio, quindi, nel suo poema l’Eneide non fu il primo a parlarne. Su questo nucleo primitivo della leggenda, Virgilio inserì il notissimo episodio che ha per protagonista Enea: costui, gettato sulle coste dell’Africa da una tempesta ed ospitato dai Cartaginesi, per volere di Venere, nonché per istigazione di Giunone, suscitò nell’animo della regina un forte sentimento d’amore che le fece dimenticare il caro ricordo di Sicheo. Didone ospitò generosamente Enea ed i suoi compagni e, durante un banchetto chiese all’eroe troiano notizie sulla caduta di Troia, in questo modo attraverso i versi virgiliani ripercorriamo le vicende della guerra di Troia. Il racconto suscitò la commozione della regina, ed i suoi sentimenti si trasformarono presto in una travolgente passione per l’ospite. Sua sorella Anna le consigliò di seguire il suo cuore, pensando che così avrebbe riiniziato a vivere con serenità e che ciò sarebbe stato un fatto positivo per il popolo cartaginese che si sarebbe unito a quello troiano. Tutto ciò provocò l’indignazione di Iarba, che supplicò Giove di far ripartire lo straniero. Il re degli dei, conscio del luminoso destino affidato all’eroe troiano, tramite Mercurio, ordinò ad Enea di riprendere il suo viaggio, Enea non poté disobbedire al re degli dei e lasciò Cartagine. Vedendosi abbandonata dall’uomo che amava più di ogni altra cosa al mondo, l’infelice Didone pensò, in un primo momento, di corrergli dietro, supplicando l’eroe troiano di restare con lei. Dall’idea della vendetta, passò al rimpianto di non aver ucciso i Troiani quando le era stato possibile ed infine invocò le divinità vendicatrici e lanciò una terribile maledizione su Enea ed i suoi discendenti. Stravolta, dall’odio, Didone si suicidò con la spada che l’eroe troiano le aveva donato, gettandosi poi nel fuoco di una pira sacrificale. Enea e Didone si incontreranno nuovamente nell’oltretomba.
per un ulteriore approfondimento sull'Eneide vedi anche qua
Il mito di Didone nelle altre opere letterarie
Anche altri letterati hanno citato il mito di Didone nelle loro opere, uno fra questi è Dante che nella Divina Commediainserisce Didone nel V canto dell’inferno affianco ai più noti Paolo e Francesca. San Girolamo nell'Adversus Jovinianum, cita Didone come una vedova casta fedele a suo marito, lo stato topos viene ripreso sia da Petrarca che da Boccaccio. Il mito di Didone arriva sino alla contemporaneità letteraria, viene infatti citato anche da Ungaretti.
per un ulteriore approfondimento sul V canto dell'inferno di Dante vedi anche qua
Domande da interrogazione
- Chi era Didone nella mitologia classica?
- Come Didone riuscì a fondare Cartagine?
- Qual è il ruolo di Didone nell'Eneide di Virgilio?
- Come viene rappresentato il mito di Didone in altre opere letterarie?
- Quali sono le cause delle lotte tra Roma e Cartagine secondo gli storiografi?
Didone era la figlia primogenita di Mutto, re di Tiro, e fondatrice e prima regina di Cartagine, nota per la sua bellezza e astuzia.
Didone ingannò il re Iarba tagliando una pelle di bue in strisce sottili per delimitare un vasto territorio, dove poi fondò Cartagine.
Nell'Eneide, Didone si innamora di Enea, ma dopo essere stata abbandonata da lui, si suicida, lanciando una maledizione su Enea e i suoi discendenti.
Didone è citata da Dante nella Divina Commedia, da San Girolamo come vedova casta, e da autori come Petrarca, Boccaccio e Ungaretti.
Gli storiografi come Ennio e Nevio studiarono il mito di Didone per comprendere le cause primordiali delle lotte tra Roma e Cartagine.