Natalia_M
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Concetti Chiave

  • La locuzione latina "ex aequo" significa "alla pari" o "alle stesse condizioni", utilizzata per indicare uguaglianza o parità, specialmente in contesti di premi o competizioni.
  • La corretta grafia della locuzione è "ex aequo", da non confondere con "ex equo", che erroneamente significherebbe "dal cavallo".
  • "Ex aequo et bono", che si traduce come "secondo il giusto e il bene", è usata in ambito giuridico per indicare decisioni basate sull'equità.
  • La locuzione "ex aequo" è ben documentata nei testi di autori latini come Cicerone e Seneca, sottolineando la sua storica rilevanza.
  • Nel diritto internazionale, "ex aequo et bono" si riferisce alla risoluzione di dispute adattando le leggi secondo equità, distinta dall'uso comune di "ex aequo".
Questo appunto tratta del sintagmaa “ex aequo” una delle locuzioni latine più usate nell’italiano contemporaneo, di cui si analizzeranno il significato, l’origine e l’uso. Si chiarirà infine la differenza tra le espressioni “ex aequo” e “ex aequo et bono”.
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Indice

  1. Ex aequo: significato
  2. Ex aequo: origine e uso
  3. Ex aequo et bono: origine, significato e uso.

Ex aequo: significato

Nel sintagma “ex aequo” è presente la preposizione “ex” (“e” davanti a consonante) che può reggere l’ablativo di allontanamenteo, causa, conformità, direzione, materia, misura, moto da luogo, origine e provenienza, partitivo e di tempo.

Nel caso della nostra locuzione si tratta di un ablativo di conformità. “Aequo” è l’ablativo singolare del sostantivo neutro della seconda declinazione “aequum aequi” , derivato dall’aggettivo “aequus aequa aequum”. L’aggettivo significa “pianeggiante, uguale, imparziale, equo” mentre il sostantivo vuol dire “pianura, uguaglianza, parità”. La locuzione avverbiale “ex aequo” si traduce dunque “alla pari, alle stesse condizioni”. Si badi bene a non confondere la locuzione avverbiale “ex aequo” con “exaequo” che è il presente indicativo attivo alla prima persona singolare del verbo della prima coniugazione “exaequo, exaequas, exaequavi, exaequatum, exaequare”. Tale verbo è un composto di “aequo” che presenta come primo elemento la preposizione “ex”. “Aequo”, che di fatto deriva dalla radice di “aequus”, significa “spianare, levigare, rendere uguale”, mentre “uguagliare, rendere uguale, uniformare” costituiscono i principali modi di tradurre il suo composto “exaequo”. Non sarà poi inutile ricordare che la grafia corretta è “ex aequo” con il dittongo /ae/ e non “ex equo” dove il secondo lessema è l’ablativo singolare del sostantivo maschile della seconda declinazione “equus, equi” che significa “cavallo”. Se dunque, invece di scrivere “ex aequo” scriveremo “ex equo” invece di dire “alla pari” staremo dicendo “dal cavallo”.

Per approfondire la terza declinazione latina vedi anche qui

Ex aequo: origine e uso

La locuzione “ex aequo” è abbondantemente attestata negli autori latini quali Ammiano Marcellino, Cicerone, Claudiano, Columella, Livio, Lucano, Lucrezio, Macrobio, Ovidio, Petronio, Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Properzio, Quintiliano, Sallustio, Seneca il Vecchio, Seneca, Sidonio, Silio Italico, Svetonio, Tacito, Terenzio, Tertulliano, Tibullo e Vitruvio.
L’espressione “ex aequo” ha due diversi usi nell’italiano contemporaneo. Può significare “in parti uguali” o “alla pari”.
La prima accezione si trova utilizzata quasi esclusivamente in riferimento a premi o somme di denaro. Seguono alcuni esempi d’uso del significato “in parti uguali”:

  • Marco e Cesare, dopo aver giocato al superenalotto e aver vinto, hanno diviso la vincita ex aequo. = Marco e Cesare, dopo aver giocato al superenalotto e aver vinto, hanno diviso la vincita alla pari.
  • La giuria ha ritenuto di dividere ex-aequo la borsa di studio tra il violinista e il pianista. = La giuria ha ritenuto di dividere in parti uguali la borsa di studio tra il violinista e il pianista.

La seconda accezione è quella oggi più diffusa e si utilizza soprattutto nel caso di gare in cui due o più concorrenti si sono classificati a pari merito. Seguono alcuni esempi d’uso:

  • La ginnasta russa e quella italiana si sono classificate al primo posto ex aequo. = La ginnasta russa e quella italiana si sono classificate al primo posto alla pari.
  • L’atleta ha condiviso il primo gradino del podio ex aequo con il suo più grande avversario. = L’atleta ha condiviso il primo gradino del podio alla pari con il suo più grande avversario
Ex aequo: significato e uso della locuzione latina articolo

Ex aequo et bono: origine, significato e uso.

La locuzione “ex aequo et bono” è attestata nel Bellum Iugurthinum di Sallustio (35.7) nella forma “ex aequo bonoque”. Si riportano a seguire il testo latino e la traduzione del passo.

Testo latino
Erat ea tempestate Romae Numida quidam nomine Massiva, Gulussae filius, Masinissae nepos, qui quia in dissensione regum Iugurthae advorsus fuerat, dedita Cirta et Adherbale interfecto profugus ex patria abierat. Huic Sp. Albinus, qui proxumo anno post Bestiam cum Q. Minucio Rufo consulatum gerebat, persuadet, quoniam ex stirpe Masinissae sit Iugurthamque ob scelera invidia cum metu urgeat, regnum Numidiae ab senatu petat. Avidus consul belli gerundi movere quam senescere omnia malebat. Ipsi provincia Numidia, Minucio Macedonia evenerat. Quae postquam Massiva agitare coepit neque Iugurthae in amicis satis praesidi est, quod eorum alium conscientia, alium mala fama et timor inpediebat, Bomilcari proxumo ac maxume fido sibi imperat, pretio, sicuti multa confecerat, insidiatores Massivae paret ac maxume occulte, sin id parum procedat, quovis modo Numidam interficiat.
Bomilcar mature regis mandata exequitur et per homines talis negoti artifices itinera egressusque eius, postremo loca atque tempora cuncta explorat. Deinde, ubi res postulabat, insidias tendit. Igitur unus ex eo numero qui ad caedem parati erant paulo inconsultius Massivam adgreditur; illum obtruncat, sed ipse deprehensus, multis hortantibus et in primis Albino consule, indicium profitetur. Fit reus magis ex aequo bonoque quam ex iure gentium Bomilcar, comes eius qui Romam fide publica venerat.
At Iugurtha manufestus tanti sceleris non prius omisit contra verum niti, quam animadvortit supra gratiam atque pecuniam suam invidiam facti esse. Igitur quamquam in priore actione ex amicis quinquaginta vades dederat, regno magis quam vadibus consulens clam in Numidiam Bomilcarem dimittit, veritus ne relicuos popularis metus invaderet parendi sibi, si de illo supplicium sumptum foret. Et ipse paucis diebus eodem profectus est, iussus a senatu Italia decedere. Sed postquam Roma egressus est, fertur saepe eo tacitus respiciens postremo dixisse, “Urbem venalem et mature perituram, si emptorem invenerit!”

Testo italiano
C'era in Roma in quel periodo un certo Numida di nome Massiva, figlio di Gulussa e nipote di Massinissa, il quale, poiché si era opposto a Giugurta nella contesa dei re, era fuggito dalla patria dopo la resa di Cirta e la morte di Aderbale. Quest'uomo fu persuaso da Spurio Albino, che tenne il consolato con Quinto Minucio Rufo l'anno dopo Bestia, a chiedere al senato il trono di Numidia, poiché era della stirpe di Massinissa e poiché l’odio misto al timore pesava su Giugurta a causa dei suoi crimini. Il console, bramoso di fare la guerra, preferiva agitare le acque piuttosto che languire. Proprio a lui era toccata come provincia la Numidia, a Minucio la Macedonia. Dopo che Massiva iniziò ad agire e Giugurta trovava un sostegno insufficiente nei suoi amici perché alcuni erano ostacolati dal rimorso, altri dal disonore e dalla paura, Giugurta ordina a Bomilcare, di procurarsi in gran segreto con il denario, come aveva fatto tante volte, dei sicari per uccidere Massiva.
Bomilcare esegue immediatamente gli ordini del re e per mezzo di uomini abili in tali faccende tiene sempre traccia dell'andirivieni di Massiva, in breve, di tutti i luoghi e momenti. Alla fine, quando si presenta l’occasione, gli tende un agguato. Dunque, uno di quelli che erano stati reclutati per commettere l'omicidio assale Massiva un po’troppo imprudentemente; lo uccide, ma fu lui stesso arrestato; e su sollecitazione di molti, specialmente del console Albino, svela tutto. Bomilcare, compagno di uno che era venuto a Roma con un salvacondotto, è processato più in linea con il concetto di giusto e buono che con la protezione offerta dal diritto internazionale.
Giugurta, tuttavia, sebbene fosse chiaramente responsabile di un crimine così efferato, non cessò di nascondere la verità finché non si rese conto che l'indignazione per l'atto era troppo forte anche per la sua influenza e il suo denaro. Perciò, sebbene nella prima udienza avesse presentato cinquanta mallevadori tra i suoi amici, provvedendo più al suo regno che ai mallevadori, mandò segretamente Bomilcare in Numidia, temendo che gli altri suoi sudditi si rifiutassero di obbedirgli, se si fosse eseguita la condanna a morte di quello. Pochi giorni dopo, egli stesso partì per la stessa destinazione, avendo ricevuto l’ordine dal senato di lasciare l'Italia. Dopo essere uscito da Roma, si dice che spesso la guardasse in silenzio e alla fine dicesse: "Città venale e destinata a perire presto, se troverà un compratore!"

Nell’espressione “ex aequo bonoque” o “ex aequo et bono” si trova in aggiunta, rispetto a “ex aequo”, il sostantivo neutro della seconda declinazione “bonum boni” che significa “bene” e deriva dall’aggettivo “bonus, bona, bonum”. La traduzione è dunque “secondo il giusto e il bene”. Come emerge dalla sua attestazione latina, la locuzione è utilizzata in ambito giuridico. Nel diritto internazionale si riferisce all’applicazione delle leggi adattandole secondo equità o alla situazione in cui due contendenti si rivolgono a una corte internazionale per risolvere le loro controversie. Non bisogna dunque confondere tra loro le locuzioni “ex aequo et bono” inerente al diritto e “ex aequo” che, come si è detto, viene comunemente utilizzata nell’italiano scritto e parlato con il significato di “in parti uguali” e “alla pari”.

Per approfondimenti sul Bellum Iugurthinum vedi qui

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato della locuzione "ex aequo"?
  2. La locuzione "ex aequo" significa "alla pari" o "alle stesse condizioni", derivando dall'ablativo di conformità del sostantivo neutro "aequum aequi".

  3. Qual è l'origine e l'uso della locuzione "ex aequo" nell'italiano contemporaneo?
  4. "Ex aequo" è attestata in molti autori latini e nell'italiano contemporaneo si usa per indicare "in parti uguali" o "alla pari", spesso in contesti di premi o competizioni.

  5. Qual è la differenza tra "ex aequo" e "ex aequo et bono"?
  6. "Ex aequo" si riferisce a condizioni di parità, mentre "ex aequo et bono" è usata in ambito giuridico per indicare decisioni basate su equità e giustizia.

  7. In quali contesti si utilizza "ex aequo et bono"?
  8. "Ex aequo et bono" è utilizzata nel diritto internazionale per applicare leggi secondo equità o per risolvere controversie tra contendenti in una corte internazionale.

  9. Qual è l'importanza della corretta grafia di "ex aequo"?
  10. È importante scrivere "ex aequo" con il dittongo /ae/ per evitare di confonderlo con "ex equo", che significherebbe "dal cavallo" invece di "alla pari".

Domande e risposte