Concetti Chiave
- Il percorso fenomenologico è un viaggio dall'individuo allo spirito, sviluppato attraverso sei gradi principali: coscienza, autocoscienza, ragione, spirito, religione e sapere assoluto.
- Ogni grado rappresenta un'evoluzione della coscienza, iniziando con la conoscenza gnoseologica fino a una consapevolezza più profonda e spirituale, culminando nel sapere assoluto.
- La dialettica del riconoscimento è fondamentale, con l'autocoscienza che emerge attraverso il confronto storico e filosofico tra figure come servo-padrone e coscienza infelice.
- La ragione si sviluppa in tre fasi: osservativa, attiva e individualità in sé e per sé, cercando di superare la dicotomia tra soggetto e oggetto attraverso leggi e rivoluzione.
- Lo spirito rappresenta la convergenza delle individualità in un'entità più grande, unificando l'io e il noi in una risoluzione collettiva e universale.
Questo percorso può essere visto sia dal lato dello spirito sia da quello dell’uomo: è un percorso che compie sia il singolo uomo, la coscienza finita che si nega come determinazione finita e si risolve nel suo dover essere cioè lo spirito, sia lo spirito che ponendosi in altro da sé si concretizza e si arricchisce.
Indice
I sei gradi del percorso
Questo percorso è composto da 6 gradi:
1. Coscienza
2. Autocoscienza
3. Ragione
4. Spirito
5. Religione
6. Sapere assoluto (filosofia)
(Coscienza, autocoscienza e ragione sono propri della coscienza finita mentre dallo spirito in poi la coscienza finita si risolve nell’infinito. All’interno di ogni grado si incontrano delle figure, le cosiddette tappe storico-ideali, momento in cui la coscienza umana e lo spirito seguono una tappa importante.)
Fenomenologia dello spirito
La fenomenologia dello spirito viene definita come “storia romanzata dello spirito” perché procede per individuazione di figure. Anche le figure procedono per tesi, antitesi e sintesi perché se questa è la legge di sviluppo della realtà tutto si sviluppa dialetticamente. È una storia di continue scissioni perché dobbiamo tener conto che al centro della fenomenologia dello spirito c’è questo tema della lacerazione della coscienza la quale, procedendo per scissioni giunge a nuove sintesi. La principale scissione rimane quella tra oggetto e soggetto (rappresentato dall’altro uomo, Dio, la natura, il mondo), dicotomia che la coscienza tende erroneamente a trovare perché il suo punto di partenza è ingenuo, non consapevole delle cose.
1.
Primo grado: coscienza
Primo grado: la coscienza che è la parola che indica il primo grado e che rappresenta l’individuo.
La coscienza si articola in tre figure: sensazione, percezione e intelletto.
La sensazione riguarda la capacità del soggetto di cogliere una qualità dell’oggetto hic et nunc; è una affezione sensoriale relativa ad una qualità dell’oggetto che colgo qui e ora con i sensi.
La percezione è una sorta di collezione/insieme di sensazioni in relazione l’una con l’altra; le percezioni effettuano un processo di unificazione delle sensazioni.
L’intelletto attribuisce quindi a questo insieme di sensazioni il principio esplicativo, la legge che ne sta a fondamento.
Il primo grado è un grado di tipo gnoseologico, si occupa cioè della conoscenza ed è più specificatamente fondato sul rapporto soggetto-oggetto. Giunti all’intelletto la dicotomia diminuisce perché il soggetto attribuisce le leggi all’oggetto.
2.
Secondo grado: autocoscienza
Secondo grado: l'autocoscienza che è la coscienza giunta alla figura dell’intelletto giunge a coscienza di sé perché dà le leggi all’oggetto.
Le tre figure dell’autocoscienza sono: servo-padrone, stoicismo-scetticismo e coscienza infelice.
Con questo grado col quale inizia il percorso storico, passiamo dal piano gnoseologico al piano pratico nel senso di relativo all’agire umano.
Servo-padrone: Hegel dice che in generale l’autocoscienza, e quindi ogni determinazione finita, quando è giunta ad essere lei a dare le leggi, tende a superare l’alterità dell’altro uomo, la dicotomia tra sé e l’altro, impadronendosene, negando la sua alterità.
Originariamente nella storia il rapporto tra soggetto e oggetto si è affermato nel rapporto servo-padrone nel senso che due autocoscienze nell’antichità si sono scontrate nella lotta per la sopravvivenza e l’esito di questo confronto è stato che il vincitore, colui che non ha avuto paura di morire, è diventato padrone e lo sconfitto invece un servo, cioè alterità ridotta nella condizione di servire e quindi oggetto in quanto negato nella sua alterità.
Dialettica del riconoscimento
La storia compie un progresso attraverso quella che Hegel chiama “la dialettica del riconoscimento” in virtù della quale l’individuo nega l’altro da sé ma poi lo deve riconoscere come altro e così facendo capisce meglio sé stesso, è meglio sé stesso. Occorre riconoscere l’alterità e l’umanità che è nell’altro perché dal riconoscimento dell’altro io raggiungo una migliore identità con me stesso, sono meglio me stesso, arricchito.
A partire da questa figura emerge il fatto che nessuno di noi è pienamente sé stesso senza l’alterità, se si chiude cioè in una logica particolaristica negando l’altro perché è proprio la relazione con l’altro uomo che ci fa raggiungere la nostra pienezza.
Questo processo avviene in forma non perfetta, non conclusiva facendo piccoli passi in avanti: il padrone non è autosufficiente, per vivere ha bisogno del lavoro del servo mentre quest’ultimo non solo è autosufficiente ma ha in più di vedere nel padrone il suo modello di sviluppo e così facendo forse si emancipa. Non vale l’inverso perché il padrone non si riconosce mai nella condizione servile. È il servo che deve riconoscere il padrone come altro da sé e compiere un processo di riconoscimento dell’alterità: la dialettica del riconoscimento è infatti innescata dal servo al punto tale che la verità del rapporto sta in lui.
Similmente potremmo dire che per capire un sistema politico-economico basta guardare il servo, colui che applica le proprie forme alla materia e per questa ragione il polo che mette in movimento la figura il quale però non fa la rivoluzione: la figura si ferma a questo risultato perché il servo non è consapevole.
Stoicismo e scetticismo
Stoicismo-scetticismo: il passaggio successivo è che questa capacità di attribuire le proprie forme all’oggetto deve essere consapevole, cioè pensata, cosa che il servo non riesce a fare. È lo stoico che arriva a questa coscienza. La seconda figura dell’autocoscienza è la figura in cui la dicotomia soggetto-oggetto viene superata ma non completamente affermando la superiorità del pensiero sulla realtà ma la realtà non viene superata perché le cose sussistono. Per questa ragione lo stoico il quale si emancipa col pensiero, non riuscendo a superare la realtà la nega: nega ogni determinazione finita revocandola in dubbio. Ma questa revoca si ritorce contro lo scettico stesso perché nonostante egli possa negare tutte le determinazioni finite ce n’è una impossibile da negare: la coscienza finita che dubita della realtà circostante: non può dubitare di sé stesso mentre dubita.
Hegel ricava in questo modo una contraddizione tra l’uomo inteso come essenza che è intrasmutabile e tutto ciò che c’è attorno di caduco, cioè trasmutabile.
Coscienza infelice e misticismo
Coscienza infelice: giunto a questo punto Hegel mostra come l’uomo tenda a credere la propria immutabilità come fuori di sé e la chiama Dio, mentre riconosce sé stesso in una condizione caduca, mortale ed effimera. Questa è la coscienza infelice perché scissa tra una parte di sé, quella intrasmutabile e l’altra trasmutabile.
Questa dicotomia si risolve in età medioevale con il misticismo quando l’uomo mistico giunge a una identificazione con Dio dopo aver connesso la sua parte trasmutabile con quella intrasmutabile giungendo ad una fusione uomo-dio.
Questa ultima figura dà il nome a tutto il percorso fenomenologico perché la coscienza è sempre scissa in una dicotomia soggetto-oggetto e nel tentativo di superarla giunge a una scissione tra sé e Dio. Dio infondo è la coscienza, la parte intrasmutabile dell’uomo proiettata fuori di sé: infatti trovi Dio nella tua coscienza.
3.
Terzo grado: ragione
Terzo grado: la ragione
Dall’esperienza della coscienza infelice che riconosce sé in Dio e ritrova sé stessa, Hegel ricava il superamento dell’autocoscienza stessa che diventa ragione in quanto giunge a consapevolezza di essere tutte le cose. Questa consapevolezza è in sé, in forma potenziale, implicita che deve rendersi in atto e diventare coscienza per sé.
Il terzo grado si divide in ragione osservativa, ragione attiva e individualità in sé e per sé.
Ragione osservativa e attiva
Ragione osservativa: la ragione si cerca nella natura compiendo un percorso definito “inquieto cercarsi”. Cerca nella natura quello raggiunto con un contatto mistico e cioè cerca sé stessa legislatrice, quella che dà le leggi. Hegel colloca la ragione osservativa nell’epoca della rivoluzione scientifica (come diceva anche Galileo, lo scienziato osserva la natura per trovare poi una legge che aveva già proiettato nella mente).
Ragione attiva: si intende l’attività dell’individuo che interviene sulla realtà. La ragione attiva è la ragione individuale che supera la dicotomia tra sé e la realtà tentando di modificare la realtà. In questo Hegel riprende Fichte quando fa la distinzione tra uomo dogmatico e uomo idealista che cambia il mondo con le idee.
Ci sono tre sotto-figure, tre modi in cui la coscienza individuale può tentare di superare la dicotomia col mondo:
• Edonismo: mi butto nel mondo e me lo godo totalmente (prende spunto dal Faust di Goete che rinuncia all’immortalità e fa un patto col diavolo pur di raggiungere le vette più ambiziose della sua conoscenza).
• Legge del cuore: adombra senza che Hegel lo abbia mai menzionato Rousseau il quale rappresenta il rifiuto del mondo inautentico a cui contrapponeva il mondo che egli aveva nel cuore, la propria legge del cuore. La legge del cuore è il gran rifiuto della realtà che però secondo Hegel è impotente perché l’uomo si chiude in una presunta purezza, una legge del cuore che gli indica come dovrebbe essere il mondo ma lì si ferma, non fa nulla. In questo modo la dicotomia ha un esito fallimentare perché ognuno di noi pretende di poter applicare presuntuosamente la propria legge morale al mondo iniquo ma la legge del cuore che tutti hanno è diversa.
• Il cavaliere della virtù e il corso stile del mondo: è la terza e ultima sotto-figura della ragione attiva. Il cavaliere è con tutta evidenza Robespierre che operò affinché il corso stile del mondo fosse invertito al punto tale da fare della virtù il fondamento di un rovesciamento del corso del mondo. Un uomo virtuoso pensa di poter invertire il corso del mondo imponendo il bene.
Di diverso dalla legge del cuore c’è il fatto che questa rimane una legge individuale mentre la virtù diventa un’opera collettiva nel senso che questo processo avviene per effetto dell’operare degli uomini. La parola opera (intesa come attività collettiva) sostituisce la parola cosa (oggetto). Hegel usa non “ding” ma “zahe”, molto simile a pragma.
Il cavaliere della virtù impone quella che lui ritiene essere la virtù e taglia anche le teste a chi non vuole essere virtuoso. In generale rappresenta sempre la maggioranza ma c’è sempre una minoranza che non è d’accordo e questo rappresenta il limite del cavaliere della virtù perché deve imporre la virtù, cosa che tradisce una genesi individuale. Anche se pensa di elaborare un progetto universalmente valido deve comunque usare il terrore per imporre la virtù a chi non la pensa come lui.
Seguendo la dicotomia soggetto-oggetto e il modo in cui il soggetto supera l’oggetto in questo caso l’oggetto che corrisponde al corso stile del mondo diventa attività e viene superato in quanto opera del soggetto ma finisce però che la virtù viene imposta col terrore.
Individualità in sé e per sé
Individualità in sé e per sé: in sé significa che la ragione deve raggiungere questa consapevolezza attraverso sé stessa, cioè avendo sé come oggetto, avere la certezza di essere tutte le cose, mentre per sé si riferisce alla capacità di normare la realtà.
Denigrata fase del corso stile del mondo intesa come opera collettiva si afferma la priorità dell’individuo. Alla fine di ogni rivoluzione assistiamo alla chiusura dell’individuo nella sua piccola esistenza.
Questa ultima figura del terzo grado, la ragione, si divide in regno animale dello spirito, ragione legislatrice e ragione esaminatrice di leggi.
• Regno animale dello spirito: è come se lo spirito che ha attraversato tutto questo percorso ritornasse all’individuo. L’individuo ripiega a sé stesso e ai suoi bisogni che sono animali ai più semplici e bassi e chiudendosi nella sua piccola vita pensa di esplicare ai propri doveri civici. È il tipico buon borghese che si preoccupa di attendere ai suoi doveri privati pensando di essere un buon cittadino.
• Ragione legislatrice: gli individui, una volta tornati all’individualità coesistono a condizione che ci siano leggi che li limitino. Questa è la ragione legislatrice, ragione che pensa che le leggi possano cambiare le cose. Fare leggi diventa il contributo che la ragione dà alla trasformazione della realtà. Se nella ragione attiva l’individuo faceva la rivoluzione, nell’individualità in sé e per sé la ragione fa le leggi con cui trasforma la realtà.
• Ragione esaminatrice di leggi: è quella che va a verificare che le leggi siano universali. La legge deve dettare regole valide universalmente che cambino il corso delle cose e la ragione esaminatrice di leggi esamina che esse siano universali. In questo modo la capacità degli uomini di cambiare la realtà, di determinare l’oggetto con la propria ragione passa attraverso l’emanazione di leggi attraverso le quali la ragione imprime sulla realtà sé stessa. Può accadere però che una legge tradisca una genesi di parte perché le istituzioni che si occupano di verificare la validità delle leggi non sono completamente perfette. Anche la ragione esaminatrice, pur avendo il compito di esaminare sé stessa nel fare le leggi, può sempre essere espressione di una individualità.
Sicché la ragione, pur essendo capace di sovvertire il presunto ordine delle cose, non riesce a sfuggire ad un peccato d’origine proprio dell’uomo: l’individuo per quanto proteso al raggiungimento della massima universalità rimane pur sempre particolare.
4.
Quarto grado: spirito
Quarto grado: Spirito
È il grado a cui l’individualità deve confluire. È come se il ruscello non possa dar altro che confluire nel mare.
“Un noi che è un io, un io che è un noi, è la risoluzione dell’io nel noi”. Lo spirito preesiste cronologicamente e ontologicamente agli io che devono confluire al noi ed è il noi a dare un senso e una direzione agli io individuali.
Domande da interrogazione
- Qual è il significato del percorso descritto nel testo?
- Quali sono le figure principali del primo grado, la coscienza?
- Come si sviluppa il secondo grado, l'autocoscienza?
- In che modo la ragione, terzo grado, cerca di superare la dicotomia tra sé e la realtà?
- Qual è il ruolo dello spirito nel quarto grado?
Il percorso rappresenta l'evoluzione della coscienza umana e dello spirito, attraverso sei gradi che vanno dalla coscienza al sapere assoluto, con l'obiettivo di superare la dicotomia tra soggetto e oggetto.
Le figure principali del primo grado sono la sensazione, la percezione e l'intelletto, che rappresentano il processo di conoscenza e il rapporto tra soggetto e oggetto.
L'autocoscienza si sviluppa attraverso le figure di servo-padrone, stoicismo-scetticismo e coscienza infelice, passando dal piano gnoseologico a quello pratico e affrontando la dialettica del riconoscimento.
La ragione cerca di superare la dicotomia attraverso la ragione osservativa, la ragione attiva e l'individualità in sé e per sé, cercando di modificare la realtà e normarla attraverso leggi.
Lo spirito rappresenta il punto di confluenza dell'individualità, dove l'io si risolve nel noi, dando senso e direzione agli io individuali e preesistendo cronologicamente e ontologicamente.