La Camera dei deputati era l’unico organo elettivo previsto dallo Statuto, ma era eletto a suffragio ristretto (cioè solo una piccola minoranza della popolazione poteva votare). Le condizioni per esercitare il diritto di voto consistevano nel saper leggere e scrivere e nel pagare una certa imposta sul reddito. Il suffragio universale maschile venne introdotto nel 1912. A quel punto, si può dire che il regime liberale basato sul censo si era trasformato in regime democratico pluriclasse, con l’ingresso sulla scena politica delle grandi forze popolari, organizzate nei grandi partiti di massa. Con l’allargamento della rappresentanza, il sistema parlamentare iniziava a fare i conti con il conflitto sociale e con le contraddizioni politiche che ne derivavano. Il sistema parlamentare e, con esso, lo Stato liberale non seppero reggere, in Italia, alla sfida della
democrazia.
La crisi dello Stato liberale
La frammentazione tra molteplici forze politiche e la difficoltà di perseguire progetti politici generali indebolirono il
Parlamento. Progressivamente il
Governo, anche attraverso metodi fondati sul trasformismo e sulla corruzione, divenne padrone della situazione. Le tensioni sociali, inoltre, accentuarono il ruolo del Governo, al quale toccò tenere insieme la situazione sociale e mantenere l’ordine pubblico. Gli anni della fine dell’Ottocento e dell’inizio del
Novecento videro soppiantato lo Stato parlamentare da un sistema diverso, che faceva perno sull’organo esecutivo e sulla burocrazia.