Concetti Chiave
- L'aula bunker di Palermo, costruita per il maxiprocesso contro la mafia, rappresenta un luogo di memoria e coraggio, evocando emozioni profonde tra i visitatori.
- Il maxiprocesso di Palermo è stato il più grande processo penale mai celebrato, con 475 imputati e concludendosi con 19 ergastoli e 2665 anni di pene detentive.
- Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono simboli della lotta contro la mafia, affrontando con coraggio minacce e pericoli per garantire giustizia in Italia.
- La strage di Capaci e quella di Via D'Amelio hanno segnato la perdita di Falcone e Borsellino, evidenziando la brutalità della mafia e il sacrificio dei magistrati.
- Nonostante il dolore e le perdite, vi è un forte impegno collettivo nella società, soprattutto tra i giovani, per continuare la lotta contro la mafia e promuovere un futuro di giustizia.

Visita all'aula bunker
Le emozioni riempiono la vita, non si possono controllare né reprimere.
Le emozioni ti aiutano a ricordare, a vivere il presente e a proiettarti nel futuro.
In questi tre giorni nel ricordo di Falcone e Borsellino ho vissuto sensazioni profonde andando a visitare, insieme alla mia classe, l'aula bunker nel carcere di Palermo.
Quando sono entrata nell'aula bunker l'emozione si è trasformata in lacrime silenziose che scorrevano sul mio viso; le ho lasciate scorrere piano, lasciandomi trasportare dal ricordo di ciò che anni fa si è svolto in questo luogo.
L'aula bunker è un'aula di tribunale costruita tra il 1985 e il 1986, nel carcere dell'Ucciardone di Palermo.
L'aula venne ideata apposta per permettere lo svolgimento del maxiprocesso di Palermo perché era l'unica che avrebbe potuto contenere ben 475 persone (tra imputati, avvocati e testimoni).
Ho visto Falcone e le gabbie che erano state piene di mafiosi e la mia immaginazione si è trasformata per alcuni momenti in realtà, come se anche io fossi stata presente al maxiprocesso, chiamato in questo modo perché, come citato prima, coinvolse moltissime persone, tutte unite di fronte al processo penale che avrebbe finalmente posto fine, dal 1986, ai crimini di Cosa nostra (omicidi, traffico di stupefacenti, estorsione, associazione mafiosa e altri ancora).
Il maxiprocesso e le vittime della mafia
Il maxiprocesso oggi è definito come il processo penale più grande mai celebrato al mondo. E tutto ciò, casualmente, avvenne proprio in Italia. Se non possiamo essere fieri di quanto accaduto prima del processo, possiamo invece esserlo di quanto accaduto durante e dopo il processo: si concluse con 19 ergastoli e pene detentive per un numero di anni di reclusione pari a 2665.
Dei brividi mi sono arrivati al cuore, come frecce di dolore e ho pianto.
Lentamente ho realizzato che nella mia commozione erano raggruppate emozioni e stati d'animo differenti perché ero seduta dove, anni fa, Falcone lottò di fronte al tribunale e non per se stesso, ma per la sua patria, per i suoi cittadini, per i suoi cari e per il futuro della sua terra.
Falcone ha sempre ammesso di avere paura, ma che mai si sarebbe fermato. Un anno prima della strage di Capaci, Falcone disse: "Il vigliacco muore più volte al giorno, il coraggioso una volta sola. L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, l'importante è saper convivere con la propria paura, non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza". Quanta paura può provare un uomo davanti ad altri uomini chiusi in gabbia che con la loro cattiveria e crudeltà ti scrutano e ti minacciano? Quante scomode verità sono venute alla luce in quei giorni grazie alle sue instancabili indagini contro la mafia? Quanto grave può essere una vita che sa che presto terminerà? E quanto coraggio ci vuole per continuare a lottare, nonostante le domande appena poste?
Sul palco si alternano giornalisti, politici, magistrati uniti in coro all'elogio dell'operato di Falcone e Borsellino, nomi ormai inscindibili. Scorrono immagini di 25 anni fa ed interviste ai familiari delle vittime, vedove impegnate nella lotta contro la criminalità organizzata come la vedova Schifani che, anch'essa di un coraggio indescrivibile, disse: "A nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, chiedo che venga fatta giustizia. Rivolgendomi agli uomini della mafia, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono. Io vi perdono, ma dovete mettervi in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare. Di cambiare, ma loro non cambiano...".
C'è poi anche il superstite della strage di Capaci, l'autista di Giovanni Falcone, Giuseppe Costanza.
Tanto, tanto dolore che sembra incolmabile.
Ma ci sono anche i bambini, l'orchestra, i giovani con gli striscioni, si sentono innumerevoli parole di ottimismo, di retrocessione della mafia, di voglia di andare avanti sempre, nonostante le vite perse.
Ritrovo il sorriso perché anch'io sono qui per dare il mio contributo con la mia presenza, insieme ai miei compagni e alle mie professoresse, con lo striscione "io posso dire no alla mafia", con i disegni sulla mafia, le parole e la musica.
E il mio cuore si riempie di speranza.
I giudici Falcone Borsellino
I giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono i giudici simbolo, anzi l'essenza, della lotta alla mafia. Nel 1992 la mafia dà il via alla strategia stragista e i primi ad essere colpiti saranno proprio loro. Il 23 maggio 1992 avviene la strage di Capaci, il giudice Falcone, tre uomini della scorta e sua moglie vengono uccisi. La moglie e Falcone tornavano da Roma e all'altezza di Capaci la macchina esplose per 500 litri di tritolo messi nell'auto di Falcone dalla mafia: un gesto che fece capire realmente e finalmente il pericolo della mafia in Italia e in particolare a Palermo. La mafia aveva dichiarato guerra allo Stato.
L'amico fraterno di Falcone, Borsellino, un mese prima della propria morte, disse: "La morte di Falcone, ovviamente, mi ha lasciato in uno stato di grave situazione psicologica, in quanto non si tratta di un semplice collega ma del mio più vecchio amico. Ho avvertito una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio, fortunatamente, però, se non dico di averlo ritrovato ho almeno ritrovato la rabbia per continuarlo a fare. Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano, mi disse Ninni Cassarà. Io accetto la condizione e le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo e del come lo faccio, lo accetto perché ho scelto di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto è una sensazione che non disgiunge dal fatto che io credo nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia e che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuare a farlo, senza fermarci di fronte alla certezza che questo ci costerà caro". Infatti, Borsellino morì ventisei giorni dopo nella strage di Via D'Amelio. Una quantità enorme di esplosivo venne lasciato nella macchina di Borsellino e morirono, oltre a Borsellino, 5 agenti della scorta.
La mafia c'è ancora oggi, così come la lotta allo Stato, ma ci sono anche i processi e le denunce alla mafia. Questo è ciò su cui più bisogna focalizzarsi: fare giustizia è possibile.
Per ulteriori approfondimenti sulla mafia vedi anche qui
Domande da interrogazione
- Qual è stata l'esperienza emotiva della visita all'aula bunker?
- Cosa rappresenta il maxiprocesso nella lotta contro la mafia?
- Qual era la visione di Giovanni Falcone sul coraggio?
- Come sono ricordati i giudici Falcone e Borsellino?
- Qual è il messaggio di speranza trasmesso durante le commemorazioni?
La visita all'aula bunker ha suscitato emozioni profonde, trasformandosi in lacrime silenziose e un forte senso di connessione con gli eventi storici del maxiprocesso.
Il maxiprocesso è stato il più grande processo penale mai celebrato al mondo, concludendosi con 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni, segnando un punto di svolta nella lotta contro Cosa nostra.
Giovanni Falcone credeva che il coraggio consistesse nel convivere con la paura senza lasciarsi condizionare, affermando che il coraggioso muore una volta sola, mentre il vigliacco muore più volte al giorno.
I giudici Falcone e Borsellino sono ricordati come simboli della lotta alla mafia, avendo sacrificato la loro vita per la giustizia e la sicurezza dello Stato, nonostante la consapevolezza dei pericoli che correvano.
Durante le commemorazioni, si è trasmesso un messaggio di speranza e ottimismo, con giovani e bambini che esprimono la volontà di dire no alla mafia e di continuare la lotta per un futuro migliore.