Il Novecento
L’Italia agli inizi del novecento è ancora un paese arretrato anche se al suo interno inizia a svilupparsi nuove industrie, soprattutto a Torino dove nasce l’industria automobilistica.Il proletariato cittadino si avvia a diventare una forza sociale organizzata e consapevole. Inizia una sorta di emigrazione interna: abbandono delle campagne e inurbamento. Poi però più grande è l’emigrazione oltre confine e il divario che va a crearsi tra nord e sud.
L’illusione di poter risolvere questa situazione porta ad una politica coloniale conquista della Libia che costituisce una situazione più di facciata d rispetto alla situazione in Italia.
Tumulti e scioperi erano stati repressi con la violenza, a Monza era stato ucciso Umberto I e poi c’è stata l’elezione del nuovo re Umberto III. A Giolitti però va attribuito un grande impulso. Giolitti, eletto capo del governo, inizia una politica di accordo tra liberali e socialisti, inaugura così la concezione dello Stato come mediatore dei partiti sociali. Giolitti porta provvedimenti per i lavoratori e per le donne.
Tutto quello che impone Giolitti porta ai primi segni di modernità: prima di tutto il paesaggio cittadino, arriva l’elettricità e le città iniziano ad essere illuminate; aumenta il benessere e entriamo nel periodo della “Belle epoque”.
Nonostante questa positività non si possono e i tare i problemi sociali, perché questa politica porta non poche difficoltà, nel 1912 firma il suffragio universale maschile e i socialisti vincono le elezioni e Giolitti cerca un rapporto con i cattolici.
1913 → patto Gentiloni: accordo tra cattolici e liberali, forti resistenze dai conservatori.
Nel 1914 scoppia la Grande Guerra, boom della tecnologia a favore della guerra, l’industria viene totalmente convertita alla produzione di armamenti. La guerra infligge al sentimento positivista → la tecnologia, la scienza, entrambe sottoposte alla guerra vengono viste in cattiva luce, non possono rappresentare il progresso.
La quasi maggioranza degli intellettuali vede la guerra come un dovere morale, o un riscatto.
Ideologie
Il positivismo entra in crisi mostrano i limiti della sua concezione meccanicistica della realtà. Con la teoria della relatività annunciata nel 1905 Einstein dimostra che anche le scienze esatte (mete altica, fisica e geometria) si fondano su presupposti convenzionali e relativi.Freud, tutte le concezioni psichiatriche e antropologiche vengono messe in crisi perché viene introdotta la teoria dell’inconscio.
Queste teorie sviluppano un generale clima di rinnovamento che sottolineano il ruolo attivo del soggetto. Si passa da una concezione della realtà come fatto oggettivo a una diversa percezione della complessità del reale.
Entrano in gioco moltissimi elementi relativi, spesso in contraddizione tra di loro → la realtà non può essere ridotta ad una realtà schematica(positivismo).
Il cambiamento delle coordinate del sapere e del conoscere investe quella che è l’immagine dell’uomo. Uomo nei confronti della società e della storia.
Il pensiero di Nietzsche inizia ad imporsi anche in Italia. Confuta tutte le certezze filosofiche ufficiali. Scienza e filosofia vengono messe in discussione. Condanna non solo il progresso, ma smaschera la falsità delle ideologie.
Elemento fondamentale: Nietzsche demistifica i pregiudizi della realtà comunale, va contro la morale comune.
Altro filosofo che suggestiona il pensiero del novecento è Versuanne(?): la vita è una perenne creazione che si può conoscere solo con l’intuizione. Gli stimoli insistono in particolare su un dinamismo e attivismo che caratterizzano ampi settori della cultura del tempo. Si inizia a sentire la necessità di cambiare la cultura e la letteratura, e questa necessità si diffonde tra le giovani generazioni intellettuali che fondano importanti riviste per lanciare i loro programmi e idee. Attraverso le riviste c’è anche l’intento di migliorare la società.
Gli intellettuali iniziano ad imporsi non solo come coscienza critica, ma anche come una forma politica alternativa. Prevalgono nettamente le tendenze antidemocratiche e anti socialiste (rifiuto dei valori borghesi considerati meschini) e quindi c’è la richiesta di soluzioni forti e autoritarie. Da D’Annunzio ai futuristi si afferma il culto della forza e l’esaltazione del progresso della tecnica. I futuristi definiranno la gierra come “la igiene del mondo”.
Formazione di acceso nazionalismo che porterà l’Italia ad entrare nel conflitto mondiale, anche il mito diventa una esaltazione dell’eroismo romano che poi si manifesta nel fascismo.
Benedetto croci si forma alla scuola del positivismo si forma Benedetto Croci. Croci esercitò una grandissima egemonia a livello culturale nell’Italia del novecento.
Istituzioni culturali
Questo clima di rinnovamento che caratterizza il primo novecento italiana offre possibilità di intervento agli intellettuali soprattutto quelli più giovani che provengono dalla media borghesia. Essi vedono una sorta di promozione sociale. Dalla figura di intellettuale tradizionale (inserito nella società) si inserisce quello che vuole diventare protagonista della vita nazionale intervenendo su aspetti diversi della vita culturale e sociale. Questo porta a creare riviste e sviluppare una più ampia attività editoriale perché si rendono conto che con la loro opera possono incidere su ciò che succede.Il dibattito si arricchisce di numerosi programmi e proclami attraverso i quali la società colta italiana viene sollecitata a prendere posizione.
La città da dove parte tutto è Firenze, centro culturale più vivo in questo momento.
1903 Corradini → “Il regno”: ideologia nazionalista.
1904-1906 Giuseppe Antonio Borgese → “Hermès”: in riferimento alla esperienza d’Annunziana si prefisse un intento di rinnovamento letterario 1903-1907 Papini e Brezzolini → “Leonardo”: orientamento prevalentemente filosofico e aperto alle nuove tendenze del nazionalismo.
1908: cessano le pubblicazioni del “Leonardo” e Brezzolini fonda “LA VOCE”, a questa rivista non venne affidato un programma preciso, ma diventa luogo di incontri e discussioni, si rende portavoce dei suoi collaboratori e delle voci. I maggiori studiosi e intellettuali sono sempre a scrivere lì. L’orientamento di fondo era di collegare strettamente il discorso culturale e politico, on un preciso impegno educativo. La voce ad un certo punto si divide tra interessi culturali e politici.
1911 Salvemini si occupa della questione meridionale e fonda “Unità”, rivista ufficiale comunista.
Prezzolini interviene sulla “Vice” per dargli un’impronta antidemocratica e interventista, ma cerca di aumentare lo spazio per la letteratura. Il compromesso dura poco perché deve cedere la direzione ad un critico Giuseppe de Roberto che diede alla rivista un taglio letterario tanto che diventa “La Voce Bianca”, pubblicata in forma antologica con testi critici estranei a cultura e società.
“Lacerba” diventa manifesto del futurismo, dominato dalla figura di Palazzeschi e da prima favorevole al fondatore del futurismo (Filippo Tommaso Marinetti) giunse ad una rottura col movimento perché rifiuta le ideologie estremiste della formulazione di Marinetti. Nel 1915 chiude.
L’intellettuale ha questa volontà di innovazione, che lo spinge a formulare numerosi programmi per precisare le intenzioni e le finalità di queste nuove proposte culturali.
Si spiega la nascita di queste nuove forme di aggregazione. Si riuniscono in gruppi e cercano di rendere più autorevoli le linee programmate e cercano di riscuotere ampi consensi. Ad esempio ci sono tanti manifesti del futurismo, perché sentono la necessità di un distacco netto dal passato.
Si approfondisce la frattura tra queste nuove tendenze e le istituzioni.
Resta viva a Torino la scuola del metodo storico. L’organo prestigioso è il Giornale storico della letteratura italiana (1883). Questo giornale si rifiuta di occuparsi di autori viventi, totale disinteresse per la letteratura contemporanea. Critica universitaria vs critica militante.
Sviluppo dell’editoria di tipo popolare. Si pubblicano soprattutto romanzi leggeri di consumo (Sonzogno ad esempio) e romanzi di appendice (romanzi rosa di Diala). Inizialmente i rosa sono pubblicati a puntate sulle riviste.
L’industria editoriale cerca di raffinarsi producendo testi con ricche decorazioni che accrescono il prestigio dell’autore e soddisfano i gusti nuovi del lettore medio-alto.
Emilio Treves è il maggiore editore a Milano. Pubblica autori stranieri e importanti italiani.
Accanto a questo tipo di editoria si aprono spazi significativi per l’editoria legata alle nuove tendenze di questa cultura militante.
Poesia di Marinetti.
Libreria della voce, 1911 – Prezzolini. Pubblica i più significativi testi della letteratura contemporanea italiana.
Giornalismo: strumento di informazione.
Corriere della sera – Milano. Già agli inizi del ‘900 è il più autorevole tra i giornali. Da qui derivano importanti riviste periodiche: La lettura, che proponeva testi letterari, La domenica del corriere, di attualità con intenti divulgativi che diventerà famosa per le illustrazioni delle sue copertine, Il corriere dei piccoli, destinato ad un pubblico infantile.
A queste riviste collaborano gli scrittori che sono pagati. Questi interventi aumentano la diffusione della letteratura come costume. Si afferma un concetto più moderno di pubblico, che condiziona il mercato editoriale.
La lingua e le forme letterarie
Continuano ad operare i fattori che avevano contribuito all’unificazione linguistica del Paese, anzi si intensificano in questo periodo.La scuola: a partire dal governo di Giolitti diventa interesse del governo. La scolarizzazione aumenta, c’è un regresso dell’analfabetismo che alla vigilia della guerra scende al 25%. Rimangono difficoltà riguardo la diffusione dell’istruzione a causa degli scarsi investimenti, evasione al sud dove i bambini sono avviati al lavoro. L’istruzione in Italia si limita a quella elementare. Quindi coloro che dopo le elementari non scrivono e leggono ricadono nell’analfabetismo. Questo si risente a livello linguistico. La lingua nazionale inizia ad essere usata in modo più corretto grazie alla scuola. Oltre al dialetto si inizia ad usare la lingua italiana, costellata da termini dialettali italianizzati. L’istruzione media e superiore rimane elitaria.
1911: solo il 4% della popolazione arriva alle superiori.
La stampa: più testate giornalistiche. La stampa a Torino, il giornale d’Italia a Roma. Si diffondono tra la piccola borghesia, quella impiegatizia e commerciale, raggiungendo strati del proletariato urbano più alfabetizzato.
Stampa di partito: partito socialista. L’Avanti. I partiti diffondono opuscoli, i manifesti, letti da operai. Nasce un altro partito di massa che è quello popolare, di ispirazione cattolica. I giornali sono un grande mezzo per la diffusione della lingua nazionale. la diffusione di questo tipo di stampa va a incidere sulla lingua perché devono diffondersi in modo più possibile.
Nasce un italiano più semplice, senza termini aulici, sintassi composta da frasi brevi, paratassi, lessico più semplice, meno aristocratico. Scompare l’enfasi retorica, il lessico aulico, tipici della lingua letteraria scritta che rappresentava ancora una tradizione elitaria. La lingua letteraria si avvicina alla lingua parlata. Resta il fenomeno di D’Annunzio, che continua ad usare una lingua molto aristocratica, ma per contro si ha la lingua di Bozzano, rappresentante degli opuscolari.
Il decollo dell’industrializzazione permette la lettura a più persone.
Salari più alti grazie a Giolitti, orari di lavoro meno pesanti, maggiori garanzie incremento della lettura nella classe operaia.
Le campagne rimangono più arretrate. C’è il fenomeno delle migrazioni interne, spesso nella stessa regione. Queste persone devono abbandonare il loro dialetto, adottando un altro dialetto o l’italiano. Hanno a che fare anche con ambienti ufficiali.
Alcuni si rifiutano completamente di abbandonare il proprio dialetto. Quindi vengono considerati inferiori. L’italiano è uno strumento di integrazione e promozione sociale.
Altri invece iniziano ad usare il dialetto locale. Nascono fenomeni di ibridazione nel lessico, nei modi di dire.
Negli anni 50-60 questo fenomeno raggiunge il massimo perché c’è la seconda industrializzazione.
L’emigrazione si volge anche all’estero verso Francia, Belgio, Germania e l’America.
1900-1914: 600000 persone all’ano partono per l’estero.
Gli emigranti venendo a contatto con realtà più avanzate si rendono conto dell’importanza dell’istruzione. Capiscono che devono mandare i figli a scuola. Continuare a parlare la propria lingua diventa simbolo di inferiorità sociale. Capiscono che bisogna essere in grado di capire e parlare la lingua di quella società. È necessario per essere rispettati. Tra di loro continuano a parlare in italiano. L’italiano rimane la lingua per scrivere ai parenti a casa. Molti rientrano e ritornano diversi e più civili e linguisticamente più abili.
Con l’unificazione si sviluppa una grandissima burocrazia perché cresce la popolazione, l’amministrazione deve affrontare nuove esigenze.
Gli effetti linguistici si riscontrano sui burocrati, trasferiti lontano dai loro luoghi di origine. Gli effetti si verificano sulla popolazione perché la burocrazia è quotidianamente a contatto con i cittadini.
La lingua della burocrazia subisce l’influenza del meridione perché spesso gli impiegati provengono dal sud. Si crea un linguaggio settoriale chiamato burocratese.
Tra i fattori unificanti ci sono gli scambi commerciali. Le dogane avevano ostacolato l’unificazione linguistica, invece dopo l’unificazione questo cambia. Gli scambi comportano rapporti tra persone diverse sia di persona, si attraverso lettere.
Altro fattore è stato il servizio militare. I giovani del sud sono spesso stati mandati nelle caserme del nord. Spesso gli analfabeti trovano nel periodo della leva l’occasione per compiere i primi studi. Determinante fu l’apporto della grande guerra. Arrivano persone dei ceti più vari nelle trincee. Rapporti di solidarietà ma anche conoscenze tra persone diverse.
Tutti questi scambi se da un lato favoriscono la lingua nazionale, dall’altro fanno si che termini locali e dialettali entrassero nell’italiano parlato e scritto.
Si costituisce un italiano popolare, diverso dalla lingua usata tra gli ambiti artistici e culturali. È però comunque una lingua viva utilizzata dai ceti subalterni, va ad affiancare il dialetto dei ceti più bassi.
Vengono rinnovate le forme letterarie. Agli inizi del novecento cambiano gli statuti, le regole, della poesia e della prosa. Riprendono spunti del decadentismo.
La lirica abbandona gli schemi più rigidi e rigorosi, che si bassavano sulla metrica e sulla rima per avvalersi del verso libero. Il verso libero fino ai giorni nostri è il verso prevalente.
La prosa si fa soggettiva e intimistica. Privilegia misure breve, cadenze liricheriggianti, il romanzo entra in crisi. A distruggere la forma sarà il futurismo.
Crepuscolari: definizione di Burgese. Rappresenterebbe il tramonto della più alta tradizione lirica nazionale (Carducci, Pascoli e D’Annunzio). Rappresentano la crisi.
Oggetti umili della realtà quotidiana, buone cose
Sergio Corazzini: disposizione sentimentale del poeta con la sua stanchezza esistenziale. Verso libero.
Moretti: privilegia il mondo dell’infanzia ma sa dare anche delle rappresentazioni crude della vita provinciale. Strutture metriche regolari.
Guido Gozzano: disincanto di un’ironia che corrode gli ideali e la mitologia della società contemporanea. Strutture metriche regolari.
Vociani: rivista La voce (Firenze). No gruppo omogeneo e compatto, esprimono le esigenze morali. La poesia affronta i contenuti interiori di una soggettività vista come scavo esistenziale, necessità di scavare interiormente nell’animo di ciascuno, ricercare i valori della coscienza o una fede religiosa. Richiedono un impegno sociale e civile reso necessario dal bisogno di colmare un vuoto profondo, motivo del diserto con Sbarbaro. I vociani non hanno un manifesto programmato, non ubbidiscono a principi di poetica ben definita. Non c’è una poetica ma tutti questi autori sono accomunati dall’ipotesi di rinnovamento. Personalità diverse tra loro collegate da questo. C’è anche qui il distacco dalla tradizione accademica. I vociani usano abitualmente il verso libero e quindi sono considerati i primi veri esponenti della lirica italiana come espressione autonoma delle esigenze. Contaminazione tra prosa e poesia.