Concetti Chiave
- Le "Operette morali" di Leopardi sono prose filosofiche, spesso in forma di dialogo, scritte dopo la sua delusione del viaggio a Roma, riflettendo sull'impossibilità del piacere e la natura maligna.
- Nel "Dialogo della Natura e di un Islandese", Leopardi esplora l'evoluzione della sua concezione della natura, da benevola e donatrice di illusioni a indifferente e meccanicistica.
- Il dialogo è ispirato da Voltaire e presenta un islandese che, cercando di sfuggire alle minacce naturali del suo paese, si confronta con una Natura personificata, maestosa e indifferente alla sorte umana.
- L'opera sottolinea l'ironia e la disillusione di Leopardi, confrontando la costante ricerca dell'islandese di un luogo privo di sofferenza con l'indifferenza della natura verso l'uomo.
- Leopardi usa il dialogo per esprimere la sua visione della natura come matrigna, indifferente al destino umano, e riflette sull'ineluttabilità della sofferenza e della morte come parte dell'equilibrio naturale.
Indice
- Le Operette Morali di Leopardi
- Tematiche Leopardiane
- Evoluzione del Concetto di Natura
- Dialogo della Natura e di un Islandese
- Viaggio dell'Islandese
- Incontro con la Natura
- Fuga dalla Natura
- Sofferenze dell'Islandese
- Ricerca della Felicità
- Indifferenza della Natura
- Requisitoria dell'Islandese
- Risposta della Natura
- Conclusione del Dialogo
Le Operette Morali di Leopardi
Le operette morali sono prose filosofiche che Leopardi scrisse dopo il 1822, ovvero dopo la delusione che gli procurò il viaggio a Roma quando in lui venne a mancare in seguito a questa delusione la sua ispirazione poetica (poiché aveva già scritto i Piccoli Idilli, poi effettua questo viaggio a Roma che determina l’inaridirsi della sua ispirazione poetica, che poi sarà ripresa con il risorgimento e i Grandi Idilli).
In effetti la forma sotto la quale queste operette si presentano è per lo più la forma dialogica, infatti la maggior parte vengono intitolate dialogo (…), e questo dialogo viene effettuato o con un elemento naturale che viene personificato (come in questo caso la natura) o con personaggi mitici o con personaggi fantastici; oppure è un dialogo tra personaggi storici.Un primo gruppo di operette risale al 1824 e a questo gruppo appartiene il “Dialogo della Natura e di un Islandese”; poi ce ne sono altre postume tra le quali possiamo ricordare il “Dialogo tra Plotino e Porfidio” (sono due filosofi, quindi sono personaggi storici) e il “Dialogo di Tristano e di un amico”.
Tematiche Leopardiane
Per quanto riguarda le tematiche affrontate sono quelle consuete della poetica leopardiana, quindi l’impossibilità del raggiungimento del piacere e della felicità; la natura maligna che priva l’uomo del piacere, quindi l’insoddisfazione nei confronti della vita. Esulano da queste tematiche alcune operette, quali il “Dialogo tra Plotino e Porfidio” dove si tratta la tematica del suicidio, quindi c’è già un accenno alla tematica della pietà e della solidarietà che Leopardi esprime nei confronti del genere umano e che quindi anticipa un po’ la tematica della “Ginestra”. Fa parte di questo gruppo anche la “Lettera al conte Carlo Pepoli”, in cui c’è la critica nei confronti della società contemporanea e soprattutto nei confronti dell’esaltazione del progresso e delle tendenze spiritualistiche che si diffondevano nel corso dell’800.
Evoluzione del Concetto di Natura
È quello in cui maggiormente si percepisce l’evoluzione del concetto di natura da parte di Leopardi, ovvero da una concezione finalistica, per cui la natura opera per il bene dell’uomo, donandogli l’immaginazione e la fantasia con cui si costruiscono le illusioni; ad una concezione meccanicistica, ovvero la natura che è del tutto indifferente nei confronti dell’uomo e della sua felicità e che opera esclusivamente per il mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema(concezione della natura che è presente anche nel canto notturno).
Dialogo della Natura e di un Islandese
Quest’operetta per quanto riguarda il suo contenuto venne ispirata a Leopardi da una lettura di un’opera di Voltaire intitolata la “Storia di Jenny”, in cui Voltaire afferma che gli islandesi sono tra tutti gli abitanti della Terra quelli maggiormente minacciati dalla natura, in quanto da una parte soffrono per le condizioni climatiche dell’isola molto fredda, e dall’altra parte su di loro incombe perennemente la minaccia del vulcano Ecla, che è uno dei vulcani più pericolosi poiché erutta continuamente mettendo in pericolo la vita degli abitanti.
Viaggio dell'Islandese
Quindi in quest’operetta ci viene rappresentato quest’islandese che cerca di sfuggire alle minacce della natura, infatti in un primo momento decide di vivere in solitudine nella sua isola di provenienza e lontano da tutti gli altri uomini, in tal modo da non causargli sofferenze.
Però poi si accorge che questo non basta per vivere una vita tranquilla e lontana dalle sofferenze, perché viene minacciato continuamente dagli elementi naturali (eccessivo freddo nell’inverno, che contrasta poi con l’eccesivo caldo della breve estate) e poi viene tormentato interiormente dall’angoscia che gli procura la presenza di questo vulcano.
Allora decide di andare via dall’Islanda e di cercare un posto sulla Terra in cui potesse se non raggiungere la felicità almeno non soffrire, ma si accorge che in qualsiasi posto della Terra era sempre sottoposto a sofferenze sia fisiche che interiori.
Incontro con la Natura
In questo dialogo viene presentato nel momento in cui decide di rifugiarsi nelle zone più interne dell’Africa, che erano zone inesplorate e disabitate dagli uomini; ma qui si imbatte proprio nella natura, che viene personificata e viene rappresentata come una donna dall’aspetto maestoso e terrificante (bello e terrificante).
Fuga dalla Natura
La natura inizia a dialogare con lui, e che appunto gli spiega che essa è totalmente indifferente nei confronti della sorte degli uomini, anche se però la domanda ultima dell’islandese: “Qual è il fine dell’esistenza umana” resta senza risposta, quindi lo si può paragonare al “Canto del pastore errante dell’Asia”, dove appunto la luna non risponde alla domanda del pastore sull’infelicità dell’uomo. Bisogna mettere in evidenzia l’ironia con cui l’autore conduce il dialogo. L’operetta è stata scritta di getto nel 1824, quindi in pochi giorni.
Ci presenta quest’islandese che aveva viaggiato un po’ per tutto il mondo e che ora si trova nelle zone più interne dell’Africa, che erano state fino ad allora inesplorate dall’uomo, deserte e disabitate. E dice che gli capitò la stessa avventura che capitò a Vasco da Gama quando volle oltrepassare il Capo di Buona speranza, infatti secondo la leggenda questo Capo di Buona speranza si personificò e si presento agli occhi di Vasco da Gama e cercò di distoglierlo dalla sua avventura, lui si imbatte nella natura. In pratica da lontano vedendo questa forma enorme pensò che fosse una scultura pari a quelle che già aveva visto sull’isola di Pasqua, però poi si avvicinò e realizzò che in effetti era non una scultura inanimata, ma una vera e propria donna. Viene rappresentata come una donna grandissima e aveva questo busto molto grande appoggiato ad una montagna insieme anche al gomito, quindi era distesa, e il volto era tra il bello e il terrificante; e questa donna, che rappresenta la personificazione della natura, dopo essere stata per un periodo zitta a contemplare iniziò lei il dialogo. Qui spiega il perché di questo viaggio, ovvero quello di sfuggire alla natura. La natura dice sei proprio uno sciocco perché hai cercato di scappare da me venendo in queste terre deserte, ma ti imbatti proprio nella mia presenza. Poi l’islandese esprime la sua grande infelicità per il fatto che si è imbattuto direttamente nella natura, dalla quale egli cerca di sfuggire. Invece ora la natura chiede: “perché mi vuoi sfuggire?”.
Sofferenze dell'Islandese
Egli risponde dicendo che fin da giovane aveva compreso la vanità della vita, la stoltezza degli uomini e l’impossibilità di raggiungere il piacere, si propose di vivere una vita tranquilla e lontana dalle sofferenze, proprio perché lui aveva acquisito la consapevolezza che vivendo tra gli uomini queste sofferenze vengono aumentate, perché gli uomini si combattono a vicenda e quindi aumentano l’infelicità che si sovrappone all’infelicità naturale dell’uomo.
Questo proposito di vivere una vita appartata in solitudine nella mia isola è facile da raggiungere, perché è un’isola a bassa densità di popolazione, quindi lui ha potuto trovare dei luoghi in cui era in totale solitudine senza difficoltà. Ciò nonostante anche se era in solitudine lui non riusciva a liberarsi da ogni sofferenza, poiché si era liberato dalla sofferenza che gli poteva provocare il vivere con altri uomini, ma comunque nutriva delle sofferenze determinate dal clima (inverni troppo lunghi e freddi; ed estati troppo calde). Quindi oltre alle sofferenze fisiche determinate dalle condizioni climatiche, lui provava dei tormenti interiori determinati dalle minacce continue del monte Ecla, poiché questo monte eruttando poteva incendiare le loro case che erano fatte di legno.
Ricerca della Felicità
Una volta che lui ha capito che in quel posto non è possibile non soffrire, perché anche stando in solitudine comunque prova delle sofferenze sia fisiche che interiori, allora medita un nuovo proposito, ovvero di ricercare questa vita tranquilla lontana dalla sofferenza in altri posti del mondo, e quindi abbandona l’isola. Dapprima va ai Tropici, però soffre il caldo; poi va ai poli, ma fa troppo freddo; afflitto nei climi temperati dall’eccessiva umidità dell’aria; infatti afferma che ha percorso tutti i luoghi della Terra, ma in tutti vi erano sempre delle condizioni climatiche o degli elementi fisici che gli procuravano sofferenza(o troppo caldo o troppo freddo; o troppa pioggia o troppa neve; oppure c’erano gli animali che pur senza recare alcun offesa, avevano cercato di divorarlo oppure i serpenti di avvelenarlo) Quando dice questo “filosofo antico” fa riferimento a Seneca che nelle “Naturales Questiones” afferma che se non si vuole avere timore di nessuna ogni cosa è da considerarsi come fonte di timore. Se anche tralasciamo tutte queste cose, bisogna poi considerare le malattie, che ti divorano nel fisico e nell’animo, e in effetti afferma che anche se è stato lontano dalle malattie, perché comunque ha portato avanti un’esistenza non dedita ai piaceri del corpo, ciò nonostante le malattie incombono sul suo fisico e lo mettono sempre a rischio di vita.
Indifferenza della Natura
Poi afferma che è la natura che ci dona questi piaceri dell’esistenza, però se noi usufruiamo di questi piaceri mettiamo a rischio la nostra vita, ma egli pur tenendosi lontano da questi piaceri del corpo non ha potuto evitare le malattie. Ovviamente c’è un riferimento autobiografico, in quanto Leopardi aveva un corpo molto fragile minacciato proprio da questa forma di rachitismo infantile, che lo condanna ad avere anche dolori molto forti alle ossa, alla schiena e poi man mano lo faranno diventare gobbo.
Requisitoria dell'Islandese
Un passo importante è: “che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere.”, in cui viene espresso il concetto della natura matrigna nei confronti di tutto ciò che ha creato.
Poi dice che la natura ci fa soffrire fin quando non ci fa morire. In pratica Leopardi anche nello Zibaldone dice speriamo che io non arrivi a vivere la vecchiaia perché questa è la somma di tutti i mali, ed è un male che noi non possiamo evitare, a meno che non si muoia prima.
Risposta della Natura
La natura risponde alla lunga requisitoria dell’islandese dicendo: “pensavi io avessi creato il mondo per te e per il tuo benessere?”; e che in tutte le azioni che fa non ha come fine ne la felicità ne l’infelicità degli uomini, ovvero l’estrema indifferenza della natura nei confronti del genere umano, infatti le sue azioni nei nostri confronti non sono intenzionali, perché il suo unico fine è quello del mantenimento della vita dell’ecosistema, per cui se ciò causa felicità o infelicità non è dovuta da lei, e se con queste sue azioni determinerà l’estinzione del genere umano anche questo non è dovuto da lei(estrema indifferenza nei confronti dell’uomo). L’islandese risponde in maniera molto sarcastica dicendo che non aveva chiesto lui di venire al mondo, ma sei tu che mi hai messo al mondo; allora la natura opera come un ospite, ovvero come qualcuno che con insistenza mi invita a casa sua, prima mi invita e poi mi maltratta.
Quindi proprio perché tu sei nostra madre, se proprio non vuoi operare per il nostro piacere, allora dovresti fare in modo di non farci soffrire. Successivamente si interroga sul fatto che se la natura non ha creato il mondo non per il mio fine(felicità), allora perché lo ha messo al mondo se lui era inutile (“qual è il senso della nostra vita?” come chiede il pastore errante).
Conclusione del Dialogo
Ora la natura risponde chiaramente che lei bada soltanto all’equilibrio dell’ecosistema, e che lui non aveva ancora capito che l’universo è retto da leggi meccaniche di causa e di effetto, e che la sofferenza fa parte di questo ciclo, quindi non può essere eliminata poiché ciò metterebbe in discussione tutto l’equilibrio dell’ecosistema. Le stesse cose che chiede il pastore errante :“a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?”, a questa domanda così come la luna al pastore non da risposta la natura.
A questo punto la leggenda narra che due leoni si avvicinarono all’islandese e lo sbranarono; altre invece attribuiscono la fine dell’islandese ad un mito, ovvero si sollevò un vento di sabbia e seppellì l’islandese insieme a tutti i misteri che lui aveva visto.
Domande da interrogazione
- Qual è il tema principale delle "Operette Morali" di Leopardi?
- Come evolve il concetto di natura nelle opere di Leopardi?
- Qual è la trama del "Dialogo della Natura e di un Islandese"?
- Quali sono le sofferenze dell'islandese nel dialogo con la Natura?
- Come reagisce la Natura alle domande dell'islandese sulla felicità umana?
Le "Operette Morali" di Leopardi affrontano temi filosofici, tra cui l'impossibilità di raggiungere il piacere e la felicità, e la natura maligna che priva l'uomo del piacere, portando insoddisfazione nella vita.
Leopardi passa da una concezione finalistica della natura, che opera per il bene dell'uomo, a una concezione meccanicistica, dove la natura è indifferente alla felicità umana e opera solo per mantenere l'equilibrio dell'ecosistema.
Nel "Dialogo della Natura e di un Islandese", un islandese cerca di sfuggire alle minacce naturali della sua terra, ma ovunque vada, incontra sofferenze fisiche e interiori. Alla fine, si confronta con la Natura personificata, che gli spiega la sua indifferenza verso l'umanità.
L'islandese soffre per le condizioni climatiche estreme della sua isola e per la minaccia costante del vulcano Ecla. Anche quando cerca la solitudine per evitare le sofferenze umane, non riesce a sfuggire alle sofferenze naturali.
La Natura, personificata come una donna maestosa e terrificante, spiega all'islandese che è indifferente alla sorte degli uomini e non risponde alla sua domanda sul fine dell'esistenza umana, lasciando l'islandese senza risposte definitive.