Daniele
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Concetti Chiave

  • Giacomo Leopardi, nato a Recanati nel 1798, è considerato uno dei più grandi poeti italiani dell'Ottocento, noto per il suo pessimismo e la sua profonda riflessione sulla condizione umana.
  • Tra le sue opere più celebri ci sono i "Canti", che comprendono poesie famose come "L'infinito" e "A Silvia", entrambe caratterizzate da una forte introspezione e una ricerca del "vago e indefinito".
  • Lo "Zibaldone" è una raccolta di appunti e riflessioni personali di Leopardi, in cui esplora temi filosofici e poetici, pubblicato postumo grazie alla famiglia Ranieri.
  • Le "Operette Morali" sono una serie di prose filosofiche e satiriche che riflettono il pessimismo cosmico di Leopardi, evidenziando la natura indifferente e crudele verso l'uomo.
  • Il pensiero leopardiano evolve in tre fasi: pessimismo storico, dove la natura è vista come benigna; pessimismo cosmico, con la natura matrigna; e una fase di invito alla solidarietà umana contro le avversità.
In questo appunto si descrivono vita ed opere di Giacomo Leopardi che è uno dei più importanti poeti della letteratura italiana dell'Ottocento. Le sue vicende personali ci sono note anche grazie al suo diario personale di ricordi, noto con il titolo di Zibaldone. Il poeta nacque a Recanati nell'anno 1798, nelle Marche. Egli scrisse tantissime poesie importanti e note, come per esempio A Silvia, poesia celeberrima, in cui viene descritta la figura di Silvia intenta nelle sue attività di vita quotidiana.
Tra le sue poesie che si trovano nelle raccolte poetiche de I Piccoli Idilli e I Grandi Idilli, si ricorda anche Il Sabato del villaggio, in cui vengono delineati i tratti della poetica leopardiana. Tra le altre poesie vi sono per esempio La sera del dì di festa, L'Infinito, in cui viene descritto lo stato d'animo dell'autore quando ammira l'infinito a partire dal celeberrimo " Sempre caro mi fu quest'ermo colle...". vita e opere di Giacomo LeopardiUno dei tratti principali della poetica leopardiana è per esempio il pessimismo, che si articola in varie fasi, tra cui per esempio si ricorda il pessimismo cosmico e il pessimismo storico. Tra i temi della poetica leopardiana si ricorda anche per esempio anche la natura. Si riportano anche alcune frasi celebri di Giacomo Leopardi.

Indice

  1. Biografia di Giacomo Leopardi
  2. Pensiero di Giacomo Leopardi
  3. Opere di Leopardi
  4. Altre informazioni sulla vita di Leopardi
  5. Note biografiche su Leopardi
  6. Pensiero e vita di Leopardi
  7. Informazioni su Leopardi
  8. Opere di Giacomo Leopardi
  9. Pensiero e poetica di Giacomo Leopardi
  10. La teoria del piacere
  11. L'atteggiamento titanico
  12. Vita, opere e poetica di Leopardi
  13. Frasi celebri di Giacomo Leopardi

Biografia di Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati, un piccolo paese delle Marche: sarà il luogo dove passerà la sua vita. Il padre era un uomo molto interessato alla cultura, aveva una biblioteca molto fornita, fondò l'Accademia dei Diseguali, ma non era bravo ad amministrare l'economia famigliare: la diede quindi in gestione alla moglie.
Leopardi nello Zibaldone descrive la madre come una donna molto fredda, rigida, austera, non affettuosa.
I fratelli ricevettero un'istruzione privata ed a soli 14 anni Leopardi non aveva più nessuno che potesse insegnargli, sapeva tradurre testi greci, latini ecc.
Nella sua vita compose 240 opere trattando temi diversi, si interessò anche alla politica, condannando il governo di Napoleone.
Ebbe pochissimi amici, i più importanti furono Giordani, Stella e Ranieri. Con Giordani intraprese una fitta corrispondenza che gli permetteva di avere contatti con la cultura italiana ed europea.
Nel 1819 l'ambiente recanatese divenne insofferente per lui. Tentò di scappare, ma venne scoperto. Nello stesso anno scrisse i Piccoli Idilli contenenti L'infinito, Alla luna; si sposta a Roma con l'intento di trovare lavoro e sperando di trovare una società diversa da quella che conosceva, ma rimane deluso e decide di ritornare a Recanati; qui, nel 1823 scrive Le Operette morali.
Nel 1825 sotto richiesta dell'editore Stella si trasferisce a Milano, successivamente a Firenze, Bologna e Pisa, dove compone i Grandi Idilli (1828-1830) contenenti A Silvia.
Per ragioni di salute è costretto a rinunciare a un incarico offertogli in Germania. Depresso, si chiude in casa per 16 mesi non avendo contatti con nessuno.
Partecipa con Le Operette morali a un "concorso" indetto dall'Accademia della Crusca senza vincere: questo lo porterà a una depressione ancora più profonda.
In questo periodo compone alcune delle sue opere più importanti come Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta.
Nel 1830 si ritrasferisce a Firenze dove si innamora di Fanny Targioni Tozzetti, la quale non contraccambia assolutamente il suo amore. Su questo tema Leopardi scriverà Il ciclo di Aspasia.
Nel 1833 accettando l'offerta dell'amico Ranieri si trasferisce a Napoli dove scriverà La ginestra nel 1836 e morirà l'anno successivo.
Durante quasi tutta la vita Leopardi (1817-1832) scriverà Lo Zibaldone, il titolo indica una pietanza formata da molti ingredienti infatti è una sorta di diario scritto senza l'intento di essere pubblicato, un'opera complessa che verrà tenuta dalla famiglia Ranieri per molti anni prima di essere pubblicata. Scritto con vari registri stilistici, conteneva tutti i suoi pensieri, le sue idee, le sue vicende private, stralci di poesie o opere che permisero,solo nel 1900, di capire in modo più approfondito le sue opere e quindi avere una visione piu chiara e apprezzarle al meglio.

Pensiero di Giacomo Leopardi

Il suo pensiero può essere diviso in 3 parti principali:
  1. Il pessimismo storico o relativo, che va dal 1818 al 1822, tratta di come, secondo lui, la natura sia benigna, il presente con l'affermarsi della ragione è simbolo di sofferenza e solo il passato attraverso la traduzione dei testi classici può portare un po' di sollievo nell'uomo, quando si diventa adulti tutti ci si accorge che tutti i sogni, le speranze che si avevano da giovani sono vaghe, finte, irrealizzabili.
  2. La seconda fase va dal 1824 al 1835 in cui la natura è maligna, l'uomo soffre per colpa della natura, l'uomo non raggiungerà mai la felicità vera perchè non esiste, l'uomo esiste per soffrire.
  3. La terza fase coincide con l'opera La ginestra, viene considerato il testamento poetico e filosofico di Giacomo Leopardi: l'uomo deve unirsi con i suoi simili per cercare in qualche modo di alleviare la sofferenza e sconfiggere la natura, viene paragonato alla ginestra perché così come lei riesce a ricrescere, rifiorire dopo le eruzioni vulcaniche l'uomo deve impegnarsi e unirsi per un futuro migliore.

Opere di Leopardi

I Piccoli Idilli: scritti tra il 1819 e il 1821 fanno parte del pessimismo storico e assieme ai Grandi Idilli formano l'opera I Canti. Scritti con un registro semplice, immediato. Fanno parte L'infinito e Alla luna e Leopardi in questa opera vuole rappresentare un quieto rifugio dal tempo e dallo spazio ma non sarà mai sganciato dal presente, egli prova a perdersi nei suoi pensieri ma è comunque consapevole che il presente esiste e non permette la fuga nel sogno.
Le Operette morali: scritte nel 1824 si entra nella fase del pessimismo cosmico, si tratta di testi in prosa e il loro scopo era quello di mostrare il vero, di mostrare la sofferenza dell'uomo da parte della natura e la falsità della realtà.
Scritte in un linguaggio elevato, difficile e con questo Leopardi realizza il suo obiettivo di dare alla lingua italiana la ricchezza e la varietà di termini tipica del 1500.
I Grandi Idilli: vengono anche chiamati canti pisano-recanatesi e di questi fa parte A Silvia, Il passero solitario, Il sabato del villaggio; in questi canti Leopardi tende a valorizzare l'aspetto sentimentale della poesia e egli non cerca più una consolazione ai dolori della vita ma esprime il rimpianto per una giovinezza svanita e solo il ricordo del passato provoca in lui sensazioni piacevoli
Il ciclo di Aspasia: fanno parte A se stesso, Il pensiero dominante e venogno ispirati dall'esperienza amorosa di Leopardi.
Si nota in maniera molto diretta l'esternazione del dolore, la sofferenza di Leopardi.
Questi spingono Leopardi a un nuovo impegno ideologico-politico per rifiutare i miti illusori del progresso e definire un'idea di solidarietà basata sulla verità.
I Piccoli e Grandi Idilli assieme al Ciclo di Aspasia formano i Canti i quali contengono anche Le canzoni che sono i primi componimenti di Leopardi.
Le Canzoni sono di spinta civile e patriottica, ci sono nmerosi spunti verso la società corrente cioè corrotta e inerte. Fanno parte L'ultimo canto di Saffo, A Angelo Mai, All'Italia.
per ulteriori approfondimenti sulle opere di Leopardi vedi anche qua

Altre informazioni sulla vita di Leopardi

L'infanzia: Giacomo Leopardi nacque a Recanati (nelle Marche) il 29 giugno 1798. È il primo di cinque figli, di cui due particolarmente cari al poeta: Paolina e Carlo. Il conte Monaldo, suo padre, è un amante delle lettere, è sollecito verso il figlio e ne asseconda gli studi. Dopo che egli ha in parte sperperato il patrimonio di famiglia è la madre, Adelaide Antici, donna fredda, severa e bigotta, ad occuparsi dell'amministrazione domestica. Precocemente, a soli undici anni, Giacomo compone versi poetici, le prime prose, traduce Odi di Orazio. Gli anni che seguono vedono crescere in progressione il numero dei componimenti in Italiano e Latino, le prime Dissertazioni filosofiche, una traduzione in ottave dell'Ars Poetica di Orazio. Tra le pareti di palazzo Leopardi trascorrono "sette anni di studio matto e disperatissimo" (così definiti in una delle prime lettere al Giordani), anni che compromettono irrimediabilmente la salute e l'aspetto fisico di Leopardi. In questi anni di studio impara da solo il greco e l'ebraico, e più tardi si procura diffuse conoscenze nelle lingue straniere.
Il 1815: L'avvicinamento alla poesia avviene nel 1815, con la traduzione degli Idilli di Mosco e della Batracomiomachia ("battaglia dei topi con le rane") un poemetto attribuito ad Omero (paternità erronea, contestata dal Leopardi).
Il 1816: Ma è il 1816 l'anno in cui più distintamente la vocazione alla poesia si fa sentire, pur tra le tante opere di erudizione che ancora occupano il campo, l'anno di quella che Leopardi stesso definirà conversione "dall'erudizione al bello": accanto alle traduzioni del primo libro dell'Odissea e del secondo dell'Eneide, compone un Inno a Nettuno, che finge
Il 1817: Nel 1817 si registrano nuove traduzioni e prove poetiche significative (ricordiamo in particolare l'Elegia I, che confluirà nei canti "Il Primo amore", nato dall'ardente passione ispirata al poeta dalla cugina Gertrude Cassi Lazzari). Nel frattempo prende avvio un diario d'eccezione, lo "Zibaldone dei miei pensieri", destinato ad accogliere appunti e riflessioni di vario genere fino al 1832. Ma in quest'anno Leopardi trova anche un grande amico in Pietro Giordani. Dalla immediata e reciproca stima nasceranno una durevole amicizia e una attivissima corrispondenza epistolare fondamentale per la formazione del poeta.
Il 1818: Nel 1818 Leopardi compone il primo scritto che abbia valore di manifesto poetico: il "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica", in difesa della poesia classica; inoltre pubblica a Roma, con dedica al Monti, le due canzoni All'Italia e Sopra il monumento di Dante.
Il 1819: Nel 1819 è colpito da una grave malattia agli occhi che gli impedisce di leggere e a volte anche di pensare, tanto che più volte medita il suicidio. Tenta la fuga da Recanati, fuga che però viene scoperta, a causa del clima della città, divenuto ormai insopportabile.
Tra il 1819 e il 1821: scrive i primi idilli, mentre continua e giunge all'apice l'applicazione del poeta al progetto delle Canzoni, pubblicate a Bologna nel 1824, con una nuova dedica al Monti e un interessante apparato di Annotazioni di carattere linguistico.
Le Operette Morali:già dal 1820 prende avvio il disegno delle Operette morali. Attraverso una schiera di personaggi, alcuni storici (Cristoforo Colombo) ed altri fantastici e spesso personificazioni di enti astratti inanimati, sono impietosamente processati i pregiudizi sui quali si fonda il comune senso del vivere e la verità, ingrata all'uomo e per questo sempre negata, finalmente s'impone compiutamente, rivelando che la vita è un deserto, o una biblica valle di lacrime, e la natura è indifferente al destino delle sue creature.
Luglio 1820: Al luglio 1820 risale, nelle pagine dello Zibaldone, il primo disegno compiuto di speculazione filosofica in chiave ormai negativistica: lo si può considerare la pietra miliare della nuova stagione di un pessimismo che vede Leopardi gradatamente allontanarsi dall'alveo dell'ortodossia cristiana, già messa a dura prova negli anni giovanili dalle grandi esplorazioni compiute nei territori delle filosofie ed eresie antiche con il proposito di difendere i valori della tradizione cristiana, sentiti come razionali,contro le tendenze mitiche e superstiziose. L'approccio ai filosofi sensisti e illuministi (Diderot, Montesquieu …) apre il varco ad una riflessione sempre più disancorata e alla fine avversa ad ogni professione di fede, sino a posizioni di dichiarato e irriducibile ateismo e agnosticismo (cioè sospensione di giudizio di fronte a problemi che sfuggono alla possibilità umana di comprensione).
Dal novembre 1822 al maggio 1823: si colloca il soggiorno a Roma, presso gli zii materni. La capitale si rivela però una grossa delusione: mediocri i letterati e gli uomini in genere, mediocre il livello del dibattito letterario, così vivo e vario ai tempi del Monti. Solo il Neibhur, grande storico tedesco e ministro di Prussica presso la S. Sede, si interessa veramente al Leopardi e cerca di procurargli una carica e uno stipendio presso il governo pontificio: ma il disegno va a monte per i troppi sospetti nutriti dal Vaticano nei confronti del candidato.
Nel 1825: parte per Milano dove l'editore Stella gli commissiona la direzione di un'edizione completa di Cicerone, che però non si farà. Nel settembre è a Bologna, dove dimora per più di un anno, traducendo il "Manuale di Epitteto", filosofo greco dell'età di Domiziano, sostenitore di una morale di tipo stoico: la filosofia insegna a distinguere che cosa è in potere dell'uomo da ciò che trascende ogni sua libera scelta. Per l'editore Stella ancora cura un commento alle Rime di Petrarca
Nel 1826: torna alla poesia, con i versi "Al conte Carlo Pepoli", poesia fredda e grigia, sul modello, che poi resterà senza seguito, dell'epistola oraziana, e ancora cura l'edizione dei Versi, dove raccoglie la sua produzione poetica diversa dalle canzoni.
Nel 1827: esce a Milano, presso l'editore Stella, la sua Crestomazia Italiana, cioè una "scelta di luoghi insigni o per sentimento o per locuzione raccolti dagli scrittori italiani in prosa di autori eccellenti d'ogni secolo" (alla Crestomazia della prosa, seguirà una della poesia).
Nel novembre del 1828: Leopardi è a Pisa (dove compone "Il Risorgimento" e "A Silvia"), poi ancora a Firenze, poi nel novembre di nuovo a Recanati, dove lo chiamano la morte precoce del fratello Luigi e altri problemi famigliari. Ritrovare i luoghi e gli oggetti immutati della sua giovinezza suscita in Leopardi un indicibile moto di sentimenti e ricordi: ne derivano alcuni tra i Canti maggiori: Le Ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.
Il 1830: Dopo aver inutilmente sperato che le "Operette" vincessero il premio messo in palio dall'Accademia della Crusca (che toccò invece allo storico Carlo Botta), può egualmente partire per Firenze nel 1830, grazie ad una sottoscrizione procuratagli da alcuni amici toscani. Nel capoluogo toscano incontra Fanny Targioni Tozzetti, oggetto di una passione accesa quanto incorrisposta e ispiratrice di una serie di poesie amorose, il cosiddetto "Ciclo di Aspasia" (questo il nome sotto al quale si cela l'amata): Consalvo, Il pensiero dominante, Amore e morte, A se stesso, Aspasia.
Il 1831: Inizia nel 1831 i Paralipomeni della Batracomiomachia (cioè la continuazione della Batracomiomachia, già tradotta): operetta di genere eroicomico in ottave, ispirata ai moti patriottici di quell'anno. Le parti in causa, patrioti, truppe papaline e austriaci, vengono calati dentro una finzione zoomorfa, che li tramuta rispettivamente in Topi, Rane e Granchi. L'operetta uscì postuma nel 1845. Nel 1831 vede la luce a Firenze l'edizione dei Canti. Escono tra l'altro contemporaneamente i "Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831" del padre Monaldo (v. appunto pg. 558), qualcuno credette di poter attribuire l'opera al figlio, costringendo Giacomo a smentire la paternità di quel libro e aumentando il clima di antipatia e sospetto nei suoi confronti.
È degli ultimi anni il proposito di preparare una scelta delle massime più significative dello Zibaldone, da stampare con il titolo di Pensieri, proposito portato a compimento dall'amico Ranieri dopo la morte di Leopardi.
Nel 1836: per sfuggire alla minaccia del colera, si trasferisce alle falde del Vesuvio, dove compone due grandi liriche: Il tramonto della luna e La ginestra.
Nel 1837 improvvisamente muore, a soli 39 anni, per l'aggravarsi dei mali che già da tempo lo affliggevano.
per ulteriori approfondimenti sulla vita e le opere di Giacomo Leopardi vedi anche qua

Note biografiche su Leopardi

Giacomo Leopardi nasce a Recanati, nelle Marche, da una famiglia di nobile origine, ma economicamente dissestata dalla cattiva amministrazione, dovuta alla leggerezza e all’inesperienza del padre, il conte Monaldo. Alla salvezza del patrimonio si dedicò la madre del poeta, Adelaide Antici, una donna energica, che riuscì nell’intento ma a prezzo di duri sacrifici per se e per la famiglia. Il giovane Giacomo studiò con il padre e con due precettori, ma molto precocemente continuò da solo e trascorse sette anni di studio “matto e disperatissimo” nella biblioteca del padre dove si formò un vasto bagaglio culturale rovinandosi la salute. Tra il 1816 e il 1819 il poeta si convertì dalla religione cattolica, alla quale era stato educato fin da piccolo, all’ateismo e al materialismo illuministico. In questi anni cambiarono anche le sue idee politiche: da quelle reazionarie, cioè controrivoluzionarie, del padre a quelle democratiche e patriottiche, assecondate dall’amico Pietro Giordani. Le sofferenze per l’arretratezza culturale dell’ambiente di Recanati lo portarono al tentativo di fuga. Solo in seguito, nel 1822, ottenne il permesso di recarsi a Roma, dalla quale fece ritorno profondamente deluso per la meschinità degli uomini e per la frivolezza delle donne. Durante questo soggiorno si commosse soltanto visitando la tomba del poeta rinascimentale Torquato Tasso, al Gianicolo. Poco dopo essere tornato nella sua Recanati, amata e odiata allo stesso tempo e dove tornerà anche in altre occasioni, ripartì alla volta di Milano, passando poi a Bologna, Pisa e Firenze. Qui conobbe un esule napoletano, Antonio Ranieri, con il quale strinse una forte amicizia e insieme si trasferirono a Napoli, città dove il poeta morì nel 1837.
Le opere. Leopardi considerava la poesia un’isola felice nel mare dal dolore al quale è portato l’uomo. Tra la sue opere più importanti troviamo:
  • lo Zibaldone: una raccolta di appunti e riflessioni scritte giornalmente in prosa dal 1817 al 1832. Da queste annotazioni prese spunto per molti dei suoi Canti.
  • i Pensieri: possono considerarsi una ripresa più completa dello Zibaldone in quanto raccolgono a pieno le idee pessimistiche che caratterizzarono la vita di Leopardi. Vennero pubblicati da Antonio Ranieri dopo la morte dell’amico.
  • l’ Epistolario: composto di circa 900 lettere è considerato uno dei più belli capolavori dell’intera letteratura italiana per l’intensità dei sentimenti e la limpidezza espressiva.
  • le Operette morali: una raccolta di 24 componimenti risalenti al 1824, dei quali circa 17 sono dialogati. Gli argomenti sono abbastanza vari ma il tema è sempre quello dell’illusione umana e della visione pessimistica del poeta. Il titolo è stato scelto per uno scopo didascalico, quello di insegnare all’uomo l’accettazione del dolore e della debolezza che è in lui. Vennero pubblicate nel 1829, anno in cui Manzoni pubblicò I promessi sposi.
  • i Canti: l’unica raccolta, fra quelle elencate, non i prosa, infatti è una raccolta di quarantuno liriche varie per quanto riguarda i temi. Alcune sono di carattere filosofico, altre d’amore, altre ancora per la patria. Leopardi iniziò a scriverli nel 1818 e continuò fino a qualche giorno prima della sua morte, quindi continuò a scriverli durante i suoi viaggi da una città all’altra.
  • Per quanto riguarda la critica, troviamo note positive da parte del poeta Giosuè Carducci e negative da parte di Niccolò Tommaseo.
Il pensiero: Leopardi cominciò a acquisire un pensiero proprio, quello che caratterizzò poi la sua vita e tutte le sue opere, quando si convertì dalla religione cattolica alla concezione illuministica del mondo, fino a giungere al materialismo assoluto. Il poeta meditando sul destino dell’uomo giungeva alla conclusione dell’uomo come creatura debole e insignificante: vive e ,dopo inutili sofferenze, si annulla alla morte e quando questa avviene la natura non ne risente affatto. Questo pensiero nel Settecento era motivo di orgoglio per l’uomo che quindi era libero dalle superstizioni del passato e affidava alla scienza la sua fede, in quanto era vista come strumento di progresso, ma non fu così per Leopardi. Lui vide questo pensiero in modo pessimistico poiché avverte l’aspirazione dell’uomo all’assoluto e all’infinito e i limiti di questa creatura e ciò gli causa un dolore interiore. Visse perennemente nel cosiddetto dramma adolescenziale, cioè rimase deluso e scoraggiato dalla realtà perché non era rose e fiori come lui l’aveva immaginata. Nella maggior parte dei casi gli uomini superano questo momento rendendosi utili e inserendosi nella società e fu proprio questo che mancò a Leopardi, vivendo in un contesto ottuso come quello di Recanati. Questo gli provocò una chiusura interiore e il pessimismo totale verso la vita. Il poeta intuì anche i risvolti negativi della Restaurazione, l’egoismo e l’ipocrisia che riducevano in schiavitù i deboli e li condannavano all’infelicità. Divenne così antagonista del suo secolo ponendo in Il fiore del deserto, la penultima lirica dei Canti, l’ideale di umanità fondata sul sentimento di solidarietà universale. La concezione pessimistica di Leopardi è stata approfondita dal poeta stesso e si può dunque dividere in pessimismo personale, storico e cosmico.
Il primo, detto anche soggettivo, come dice il nome stesso riguarda solo la sua persona. A causare questo vi è la sua famiglia: la madre rivolgeva la sua attenzione solo all’amministrazione economica e con il padre, avendo idee politiche opposte, in quanto il conte credeva nell’ ancien régime e rifiutava la idee introdotte dalla Rivoluzione Francese di libertà e democrazia, entrò presto in conflitto. A questo si aggiunse il rapporto con la sua età: a venti anni si sentiva anziano sia fisicamente sia psicologicamente e a Recanati si sentiva come in una prigione, anche se il suo paese è sempre presente nelle liriche più belle. Il pessimismo storico, è anche chiamato progressivo, perché legato proprio alla storia di un uomo e di tutta l’umanità. Leopardi vede lo stato primitivo dell’uomo come inconsapevole felicità, poiché non si conoscevano le tristi verità e il dolore della vita umana, conosciute poi grazie al rigore e alla ricerca del vero, cioè alla scienza. Così confronta questo stato iniziale della storia dell’umanità con l’inizio della vita di ogni uomo, con la giovinezza che è il momento in cui l’uomo è felice perché non consapevole della realtà che lo aspetta. Il pessimismo cosmico è detto così in quanto investe tutte le creature sotto l’infelicità assoluta. Così Leopardi rivaluta la ragione, che è sì colpevole delle illusioni ma è l’unica cosa che rimane all’uomo per conoscere e unirsi agli altri fraternamente. La conclusione che si trae dal pessimismo di Leopardi è simile a quella di Jacopo Ortis, il protagonista del romanzo di Foscolo, che diede un taglio alla sua vita con il suicidio. Il poeta però condanna questo atto in quanto l’uomo è dotato dell’istinto di conservazione e del dovere di fratellanza verso gli altri.
per ulteriori approfondimenti sulla vita e sulle opere di Leopardi vedi anche qua

Pensiero e vita di Leopardi

Egli nasce nel 1798 a Recanati, piccola città appartenente allo Stato della Chiesa, questo ne condizionerà la vita poiché era uno stato molto chiuso e reazionario (chiuso alle innovazioni). La famiglia Leopardi faceva parte della nobiltà terriera ma si trovava in pessime condizioni economiche, il padre, Conte Monaldo era un uomo colto, ma anch’esso reazionario e attardato e aveva una notevole biblioteca, la madre era tesa a far quadrare i conti familiari facendo venir meno l’affetto, quindi rendeva l’ambiente grezzo.
A 5 anni Giacomo viene introdotto allo studio da precettori, i quali ne notano le doti al di fuori del comune, egli impara rapidamente e a 10 anni latino, greco ed ebraico. I precettori si resero conto di non potergli più insegnare niente, e quando se ne vanno, visto che lui si era estraniato dagli altri ragazzi, perde al guida e il contatto con l’esterno, da ora in poi non ha contatti con la natura esterna e studia nella biblioteca del padre, “7 anni di studio matto e disperatissimo”, diventanto così erudito, e iniziano così i problemi fisici, come la cecità e la gobba.
Tra il 1815-16 Leopardi compie il passaggio che lui chiama “dall’erudito al bello”, stanco della cultura che si era creato egli apre i suoi orizzonti alla poesia ed alla sua bellezza estetica, fino a quel momento aveva scritto solo saggistica e studi filologici, ma inizia a studiare da Dante fino ad Alfieri e compone molte liriche. In questo periodo egli conosce Giordani, che lo mette in guardia sul fatto che stanno subentrando nel mondo ideali democratici, così comincia a nutrire un sogno: abbandonare la sua casa “la tomba dei vivi” e inizia a vivere con sofferenza la chiusura di Recanati. Egli vuole andare a Roma e nel 1819 organizza di nascosto la fuga, ma il padre lo scopre e questo lo getta nello sconforto, facendogli provare la nullità di tutte le cose, che gli fa perdere anche il gusto della poesia, avviene così un altro cambiamento del suo pensiero “dal bello al vero”, egli abbandona la tematica del bello e abbraccia il vero, dando vita ad una poesia intrisa di pensiero. Il 1819 dà l’inizio ai “piccolo idilli”. Successivamente attraverso varie amicizie egli inizia ad essere conosciuto e diventa sempre più famoso. Nel 1823 va a Roma e vide come era fatto il mondo reale, entra in contatto con aristocrazia e medio-borghesia, ma ne resta disgustato e ne evidenzia la completa perdita degli ideali e dei valori nelle “operette morali” che compone una volta ritornato a Recanati. Nel 1825 gli si presenta l’opportunità di uscire da Recanati e mantenersi col proprio lavoro grazie all’editore Stella. Egli soggiorna a Milano e Bologna. Nel 1827 va a Pisa, qui si rigenera la sua vena poetica compone i “grandi idilli”; in questa fase egli inizia ad accusare i primi problemi di salute e torna a Recanati, dove vive nel palazzo del padre isolato dall’esterno ed immerso nella malinconia, ma nel 1830 accetta un’offerta degli amici e si trasferisce a Firenze, dove conosce Ranieri, che si accorge delle sue cattive condizioni e lo invita a Napoli. Nel primo periodo del soggiorno a Napoli, egli stava meglio e compone “La Ginestra”, frutto di un Leopardi maturo; quest’opera è importante perché fornisce una via d’uscita dal pessimismo leopardiano, egli dice che tutti gli uomini si devono affraternare e unire perché sono accomunati da un unico destino avverso. A Napoli muore nel 1837.

Informazioni su Leopardi

Leopardi nacque nel 1798 a Recanati (Marche). Suo padre, il conte Monaldo, era un uomo di cultura rigida e tradizionalista; sua madre, la marchesa Adelaide Antici, era una donna dal carattere rigido e severo, di fede cattolica tradizionalista, affettivamente distaccata da lui e dai suoi fratelli (Carlo e Paolina). Leopardi crebbe in un ambiente privo di calore affettivo. La sua formazione è tipica delle classi aristocratiche: cominciò a studiare sotto la guida del padre e di due sacerdoti, successivamente, all’età di undici anni (dal 1811 al 1817) proseguì da solo gli studi nella vastissima biblioteca del padre, imparando il greco, il latino, il francese e l’ebraico. Questo giovanile periodo di studi che egli definì “sette anni di studio matto e disperatissimo” da un lato lo segnarono per sempre nel fisico (la vista si indebolì e la schiena si deformò); dall’altro lo avvicinarono a un’idea del mondo classico inteso come patrimonio di valori intellettuali e esistenziali assolutamente irrecuperabile dai moderni. La sua formazione è stata influenzata soprattutto dalla lettura dei testi più celebri dell’Illuminismo (Voltaire, Diderot, Montesquieu) che lo porteranno: al rifiuto della religione, al materialismo e all’ateismo; dagli illuministi derivò anche una concezione sensistica della conoscenza e anche il suo spirito critico e polemico che caratterizzerà tutti i suoi scritti. Nel 1816, anno della “conversione letteraria”, Leopardi passò dagli studi sapienti alla composizione di testi poetici. Prese parte a un dibattito tra classicisti e romantici e in quest’occasione conobbe Pietro Giordani, con il quale si distaccò completamente dagli ideali reazionari ai quali era stato educato a favore di un classicismo progressista. Leopardi inizia lo Zibaldone. L’atmosfera chiusa e soffocante di Recanati e la difficile situazione familiare spinsero Leopardi nel 1819 a tentare la fuga dalla casa paterna, che fu però scoperta dal padre. Il fallito tentativo e l’aggravarsi della malattia agli occhi, determinarono una conversione filosofica, che egli definì “dal bello al vero”, ossia il passaggio dalla letteratura alla filosofia, e contemporaneamente l’abbandono della religione in favore di una concezione materialistica. Compose i Piccoli idilli, dei quali ricordiamo il primo e il più famoso: l’infinito. Nel 1822 Leopardi riuscì finalmente a lasciare Recanati e si recò a Roma.
Il soggiorno si rivelò deludente in quanto l’ambiente romano tanto idealizzato era in realtà corrotto e meschino, e caddero le speranze anche per un impiego. Costretto a ritornare a Recanati Leopardi maturò un cupo pessimismo, che lo spinse ad abbandonare la poesia (il cosiddetto silenzio poetico). A partire dal 1824, si dedica alla composizione delle prime venti operette morali. Leopardi soggiornò a Milano, Bologna, Firenze e Pisa; in quest’ultima avvenne un “risorgimento poetico” in Leopardi. Compose i canti pisano-recanatesi meglio conosciuti come Grandi idilli. L’aggravarsi della malattia agli occhi lo costrinse a ritornare a Recanati, dove rimane per due anni, chiuso in una cupa disperazione. Successivamente ritornò a Firenze dove conobbe Fanny Targioni Tozzetti, un amore non corrisposto. Trascorse l’ultimo suo periodo di vita a Napoli afflitto da una serie di disturbi fisici. Per cercare sollievo alle sue sofferenze trascorreva molto tempo nella Villa di Ranieri a Torre del Greco, alle pendici del Vesuvio, dove scrisse il suo testamento poetico: la ginestra. Morì a Napoli nel 1837, all’età di trentanove anni.
Giacomo Leopardi - Riassunto della vita e delle opere del poeta recanatese articolo

Opere di Giacomo Leopardi

Tra il 1809 e il 1816 Leopardi si dedicò a un’intensa attività filologica e di traduzione. L’inizio della sua produzione poetica risale agli anni 1817-1818. Le principali opere in prosa di Leopardi sono: lo Zibaldone, l’Epistolario, i Pensieri e le Operette Morali. Lo Zibaldone (scritto tra il 1817 e il 1832) nato come diario personale, dove Leopardi appuntava riflessioni, pensieri, abbozzi delle sue poesie, alla fine, raggiunse dimensione gigantesche per la quantità (4526 pagine manoscritte) e la qualità dei materiali accumulati. Infatti Leopardi nello Zibaldone annota e approfondisce tutti i temi del suo pensiero. L’Epistolario (scritto dal 1816 al 1837) comprende oltre novecento lettere indirizzate ad amici e familiari. Quest’opera è fondamentale per comprendere l’evoluzione della personalità, del pensiero e della poetica di Leopardi. I Pensieri raccolgono centoundici aforismi in cui troviamo affermazioni poetiche e filosofiche, nate dalle riflessioni appuntate nello Zibaldone. Le Operette Morali sono una raccolta di ventiquattro prose a carattere filosofico e satirico, sotto forma di dialoghi, ma anche di favole, miti, apologhi (scritto che tende a difendere qualcosa); il modello a cui Leopardi sì ispirò fu lo scrittore greco Luciano di Samosata, autore di diversi dialoghi satirici. Le Operette Morali sono caratterizzate da diversi temi: la teoria del piacere, il confronto tra passato e presente, il materialismo, la concezione della virtù, analizzata nei suoi aspetti negativi e positivi; approfondisce in particolare il concetto sull’illusione antropocentrica, in cui si afferma l’illusoria centralità dell’uomo nell’universo. Inoltre fu nelle Operette che il pessimismo cosmico raggiunse la sua massima espressione. In questa fase Leopardi ha una concezione della natura non più come madre benevola, bensì come matrigna crudele, in quanto indifferente alle sofferenze dell’essere umano, sottopone gli individui alla legge meccanicistica di trasformazione e distruzione. Di notevole importanza è anche il tema del suicidio, criticato da Leopardi in quanto accresce il dolore delle persone care: è proprio in nome di questo valore sociale che bisogna continuare a vivere.
Inoltre Leopardi invita gli uomini a consolarsi a vicenda, per rendere le sofferenze meno strazianti. Nelle Operette i contenuti tragici vengono mediati dalla prosa ironica e leggera. La composizione delle operette risale al 1824, durante il periodo del “silenzio poetico”, Leopardi era nella fase del pessimismo cosmico. Le prime due edizioni furono pubblicate, mentre per quanto riguarda la terza, la censura borbonica ne impedì l’uscita. Uscì postuma nel 1845. I Canti raccolgono trentasette componimenti poetici scritti da Leopardi tra il 1817 e il 1836. Al loro interno sono divisi in nuclei tematici e cronologici, risalenti ai vari periodi della vita dell’autore. Come nelle Operette morali l’edizione definitiva uscì postuma (1845).

Pensiero e poetica di Giacomo Leopardi

Nonostante il pensiero di Leopardi non sia organico e completo, nelle sue opere sviluppa sempre un pensiero filosofico. Il pessimismo di Leopardi, ossia la sua concezione dell’esistenza, ha un evoluzione nel corso delle sue vicissitudini. Distinguiamo due fasi:
  1. Il Pessimismo storico - L’evoluzione del pensiero di Leopardi ha inizio nel 1817, quando il poeta, intervenendo al dibattito classico-romantico, riflette sul contrasto fra natura (aspetto della poesia classica) e ragione (aspetto che attribuiva alla poesia romantica). In questa fase iniziale la natura(=antichità) è causa di felicità, in quanto concepita come “madre benevola”, permette agli uomini una visione pura e incontaminata delle cose, dove tutto era spontaneo e ingenuo, dove sono vivi i nobili sentimenti e le azioni eroiche. La ragione (=età moderna) è causa di infelicità, poiché in quanto razionale, distrugge le illusioni create dalla natura. Leopardi quindi sosteneva che le civiltà antiche erano felici grazie alla loro armonia con le leggi di natura, mentre in età moderna non fu più così in quanto l’uomo si è allontanato dallo stato di natura a favore del progresso. L’infelicità è condizione dell’uomo moderno, mentre la felicità è condizione dell’uomo antico.
  2. Il Pessimismo cosmico - La malattia agli occhi e il fallito tentativo di fuga da Recanati, indussero il poeta a riflettere sul dolore dell’esistenza. Leopardi modifica radicalmente il suo pensiero: la natura non è più madre ma matrigna, poiché prima inganna i suoi figli illudendoli che tutti sia possibile e realizzabile, quindi che l’uomo vive in una condizione di felicità; ben presto tali speranze vengono annientate dalla ragione, mostrando la verità dell’esistenza, fatta di dolore e sofferenza. Durante il periodo del silenzio poetico Leopardi inizia ad avere una visione materialistica e meccanicistica della realtà. Questo profondo pessimismo portò Leopardi a modificare nuovamente l’idea che aveva del rapporto natura-ragione. Ora la natura appare al poeta come una implacabile forza creatrice e distruttrice, in quanto genera gli uomini solo per lasciarli invecchiare morire fra mille sofferenze, non curante della loro felicità. È questo il pessimismo cosmico che nasce da una legge di natura a cui l’uomo è sempre stato sottoposto.

La teoria del piacere

Secondo la concezione leopardiana l’uomo è in condizione di felicità quando raggiunge il piacere infinito. L’uomo per sua natura non desidera singoli piaceri, ma piacere infinito. Ma questo desiderio non può essere mai soddisfatto interamente, per i limiti stessi della vita umana. Alla teoria del piacere si collega anche il concetto di noia, ossia il senso di insoddisfazione di fronte a tutto. L’uomo è in condizione di felicità quando è in attesa di qualche cosa oppure quando supera una situazione dolorosa (la quiete dopo la tempesta). Passato anche questo momento temporaneo non esiste la felicità vera e propria. Solo attraverso l’immaginazione e il ricordo l’uomo può abbandonarsi al piacere.

L'atteggiamento titanico

Con l’allontanamento definitivo da Recanati e la solidarietà di Ranieri, Leopardi inizia a maturare un atteggiamento titanico. Acquista la consapevolezza della reale condizione della vita dell’uomo; concepì l’esigenza di promuovere una società civile, fondata sulla solidarietà e l’amore fra gli uomini. Invita gli uomini a prendere coscienza delle leggi meccanicistiche ed accettare questa dolorosa realtà come base della convivenza civile, proponendo di far fronte alle sofferenze aiutandovi gli uni con gli altri unendovi in una “social catena”.

Vita, opere e poetica di Leopardi

La vita - Nasce come primogenito a Recanati, borgo dello Stato pontificio. La sua famiglia era la più importante nobiltà terriera, ma stava vivendo un periodo di crisi economica e infatti doveva osservare una rigida economia. Il padre Monaldo è colto e possiede una vastissima biblioteca, anche se di una cultura superata e accademica. Il suo orientamento politico è reazionario e ostile a ogni nuova idea che la Rivoluzione francese aveva portato. Giacomo cresce in questo ambiente bigotto e conservatore e in un primo momento le sue idee erano influenzate da questo. La vita familiare era gestita dalla madre Antici, donna dura e dedita alla cura del loro patrimonio in crisi. La sua immagine era autoritaria e priva di affetto.
Giacomo, come avveniva nelle famiglie nobili del tempo, era istruito da precettori ecclesiastici e a dieci anni continua i suoi studi da solo, chiudendosi nella biblioteca paterna per quei famosi “sette anni di studio matto e disperatissimo”, che indeboliscono il suo fisico già fragile. La sua intelligenza è straordinariamente precoce e apprende velocemente una vastissima cultura. Impara velocemente il latino, il greco e l’ebraico, fa studi filologici notevoli e scrive opere erudite come la Storia dell’astronomia e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. Traduce opere classiche latine e greche e scrive contemporaneamente tantissimi componimenti poetici, odi, sonetti, canzonette e tragedie.
In questi scritti, notevoli per un adolescente, emerge una cultura ormai obsoleta propria della sua famiglia. Anche sul piano politico Giacomo segue l’indirizzo reazionario del padre, distoglienti gli italiani dalle aspirazioni patriottiche.
La conversione “dall’erudizione al bello” - Tra il 1815 e il 1816 in Leopardi avviene quella conversione che lui stesso chiama “dall’erudizione al bello”. Abbandona la filologia ammirando i grandi poeti come Omero, Virgilio e Dante. Legge i poeti moderni, come Rousseau, Alfieri, Goethe, Foscolo. Ha però forti riserve nei confronti della cultura romantica. Un momento fondamentale per la sua formazione intellettuale è l’amicizia con Pietro Giordani, di orientamento classicistico, ma con idee democratiche e laiche. Giacomo trova in Pietro una figura dalla quale ricevere l’affetto che la famiglia gli privava, oltre che una guida intellettuale.
L’apertura al mondo esterno gli fa sentire di più l’esigenza di lasciare il palazzo paterno e Recanati. L’estate del 1819 prova a fuggire di casa, ma viene scoperto e fermato. Il fallimento lo fa entrare in crisi, perché perde parzialmente la vista e non riesce neanche più a leggere. Raggiunge la lucida percezione che tutte le cose siano il nulla: questo è il nucleo del suo sistema pessimistico. Qui la poesia di Leopardi compie un altro passaggio: prima era dall’erudizione al bello; adesso è dal bello al vero (dalla poesia di immaginazione alla poesia di pensiero).
In quest’anno Leopardi sperimenti nuovi generi letterari, che subito abbandona. Con l’Infinito comincia la stagione più originale della sua poesia. Continua lo Zibaldone (diario intellettuale), scrive altri idilli e scrive canzoni cominciando con All’Italia.
Le esperienze fuori di Recanati - Esce da Recanati (1822) e va a Roma dallo zio (Carlo Antici). Qui è disilluso. Gli ambienti letterari di Roma sono vuoti e la grandezza monumentale della città lo infastidisce. Di nuovo a Recanati scrive le Operette Morali, in cui esprime il suo pessimismo: un’aridità interiore (= blocco poetico) non gli permette di scrivere versi, per questo scrive in prosa per investigare sull’“acerbo vero”.
Ha l’occasione di lasciare la famiglia e di mantenersi con il suo lavoro intellettuale grazie all’editore Stella. Allora va Milano e a Bologna. Poi a Firenze ha rapporti con Vieusseux e con gli intellettuali che scrivevano per la rivista “Antologia”. A Pisa vive un “risorgimento” della sua condizione di salute, della facoltà di sentire e di immaginare. Nasce A Silvia, che è il primo tra i “grandi idilli”.
L’ultimo soggiorno a Recanati. Firenze e Napoli - Ma le condizioni di salute presto peggiorano e non riesce più a scrivere. Il finanziamento dell’editore Stella viene a mancare e Leopardi è costretto a tornare a Recanati, per un anno e mezzo, o “sedici mesi di notte orribile”. Gli amici fiorentini gli offrono un assegno mensile, così abbandona per sempre Recanati.
Esce dal suo io e stringe rapporti sociali più intensi. Partecipa al dibattito culturale e politico con posizioni polemiche contro l’ottimismo progressistico dei liberali. Si innamora di una donna (Tozzetti) e la delusione amorosa ispira un nuovo ciclo di canti, il “ciclo di Aspasia”. Stringe una fortissima amicizia con un giovane napoletano, Ranieri, e convive con lui fino alla morte. La famiglia alla fine gli concede un assegno mensile per aiutarlo nella sua misera condizione economica.
•• Dal 1833 convive a Napoli con Ranieri ed entra in polemica con l’ambiente culturale avverso al suo materialismo ateo. Questa polemica si sente soprattutto con l’ultimo grande canto, La ginestra. A Napoli muore.
Il pensiero - La natura benigna - L’opera leopardiana ha una base filosofica sempre in sviluppo. Il processo di formazione si segue nelle migliaia di pagine dello Zibaldone.
Il motivo è subito pessimistico: l’uomo è infelice. La felicità è un piacere sensibile e materiale, ma l’uomo non desidera UN piacere, ma IL piacere, che sia infinito, ma non può ottenerlo e per questo è infelice e ha un vuoto incolmabile nell’anima. Nasce il senso della nullità di tutte le cose.
La natura che per Leopardi è prima benigna, vuole bene alle sue creature e ha dato loro l’immaginazione e le illusioni, nascondendo a questi la loro vera condizione. Ecco perché gli uomini primitivi e gli antichi erano vicini alla natura (così come lo sono i bambini di ogni età). Erano felici perché ignorano la loro reale infelicità. Con la ragione, la civiltà è progredita, squarciando lo schopenhaueriano “velo di Maya” e facendo apparire all’uomo la sua reale condizione, rendendolo infelice.
Il pessimismo storico - La sua prima fase del pensiero ruota tutta intorno all’antitesi tra natura e ragione, tra antichi e moderni. Gli antichi avevano forti illusioni, compievano azioni eroiche, la loro vita era più attiva e intensa ed erano anche più forti fisicamente e dimenticavano il nulla e il vuoto dell’esistenza. Erano più grandi di noi sia nella vita civile sia in quella culturale. Il progresso della civiltà con la ragione ha spento le illusioni e ha reso i moderni incapaci di azioni eroiche, generando la corruzione dei costumi. La colpa dell’infelicità è da attribuire all’uomo stesso che si è allontanato dalla natura benigna.
Leopardi detesta e critica fortemente la sua civiltà contemporanea (periodo della Restaurazione), perché è inerte e corrotta. Qui nasce la tematica civile e patriottica contenuta nelle prime canzoni.
Il suo atteggiamento è titanico, perché il poetica è l’unico a conservare la virtù degli antichi e sfida da solo il destino maligno che ha condannato l’Italia a una così grande caduta di moralità.
Si parla di pessimismo storico: la condizione del presente è vista come un effetto di un processo storico di decadenza e di allontanamento progressivo dalla condizione originaria di felicità (come ignoranza dell’infelicità).
La natura malvagia - Leopardi si rende però conto che la natura, più che al bene dei singoli individui, sta attenta alla conservazione della specie in generale, infatti può anche sacrificare il bene del singolo generando sofferenza. Il male, quindi, non è un accidente, ma sta nel piano della natura. Leopardi si rende conto che è stata la natura a dare all’uomo il desiderio di felicità, senza dargli però i mezzi per soddisfarlo.
Leopardi inizialmente attribuisce l’esistenza del male al fato, proponendo il dualismo: natura benigna contro fato maligno. Ma dopo un percorso nello Zibaldone, nel Dialogo della Natura e di un Islandese, arriva a distruggere il fato e quindi il dualismo concludendo che la natura non è benigna, ma maligna.
La natura maligna per conservare il mondo fa nascere e perire gli esseri, e la sua concezione non è finalistica (natura che opera per il bene delle creature), ma meccanicistica e materialistica (la realtà è materia governata da leggi meccaniche). La colpa dell’infelicità non è più dell’uomo, ma della natura. L’uomo è una vittima innocente.
La natura è un meccanismo inconsapevole di leggi non regolate da una divinità, anche se lui poeticamente definisce la natura come una “divinità malvagia”, che opera per distruggere le sue creature.
Con il materialismo cambia anche il senso dell’infelicità umana: prima con il sensismo era percepita come una assenza di piacere (“teoria del piacere”), adesso l’infelicità è dovuta ai mali esterni a cui nessuno può sfuggire: malattie, elementi atmosferici, vecchiaia, morte.
Il pessimismo cosmico - La causa dell’infelicità è la natura stessa, che esiste da sempre e per sempre. Quindi tutti gli uomini, in ogni tempo e in ogni luogo, sono necessariamente infelici. Anche gli antichi che si illudevano di essere felici, erano vittime dei mali naturali. Il pessimismo storico della prima fase diventa qui pessimismo cosmico. L’infelicità non è legata a una condizione relativa dell’uomo, ma a una assoluta e diventa un dato eterno e immutabile della natura (anche se Leopardi credeva che gli antichi erano relativamente meno infelici dei moderni), quindi le due fasi non possono essere nettamente schematizzate.
La poesia civile e il titanismo vengono abbandonati: se l’infelicità è un dato di natura, anche la protesta e la lotta sono vane. L’atteggiamento si fa contemplativo, ironico, distaccato e rassegnato. L’ideale non è più l’eroe antico, ma il saggio antico, soprattutto quello stoico, che con la sua atarassia si distacca imperturbabile dalla vita. Questo è l’atteggiamento che caratterizza le Operette morali.
Ma l’atteggiamento di rassegnazione non è nell’indole di Leopardi e presto tornerà l’atteggiamento titanico di protesta, di sfida alla natura. Al termine della sua vita, nella Ginestra, sulla base del pessimismo arriverà a costruire una concezione della vita sociale e del progresso.
La poetica del “vago e indefinito”. L’infinito nell’immaginazione - La “teoria del piacere” è il nucleo della sua filosofia e il punto di partenza della sua poetica. Nello Zibaldone scrive che nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, ma può raggiungerlo con l’immaginazione e proprio con l’immaginazione si creano speranza e illusioni. La realtà immaginata è l’alternativa alla realtà vissuta che è di infelicità e di noia. L’immaginazione è stimolata dalla percezione di “vago e indefinito” e con questa immaginazione l’uomo trova l’appagamento (illusorio). Leopardi cerca di individuare queste realtà naturali che generano un sentimento di vago e indefinito nella sua “teoria della visione”, e tra questi è per esempio la vista impedita da un ostacolo (infinito), perché al posto della vista lavora l’immaginazione (come quando guardiamo l’orizzonte e ci immaginiamo un’altra realtà oltre quello). Affianco a questa “teoria della visione” Leopardi descrive anche una “teoria del suono” che genera sentimenti indefiniti, come un suono che si allontana lentamente.
Il bello poetico - La teoria dell’indefinito si unisce alla teoria poetica. Per Leopardi il bello poetico è il “vago e indefinito” che si esprime attraverso le immagini suggestive che ci hanno probabilmente affascinati da fanciulli. La “rimembranza” si fonde nella poesia e la poesia è il recupero della visione immaginosa della fanciullezza (che si ha con la memoria).
Antichi e moderni - Per Leopardi i maestri della poesia vaga e indefinita erano proprio gli antichi, che erano più vicini alla natura e quindi al momento della fanciullezza (erano immaginosi come i bambini). I moderni per Leopardi con la loro ragione hanno perso questa capacità di immaginare e anche di desiderare un ritorno alla fanciullezza. Avendo la ragione, sono infelici, quindi non possono più scrivere una poesia di immaginazione, ma solo una poesia sentimentale, fatta di filosofia, di idee e dalla consapevolezza dell’infelicità.
Leopardi scrive una poesia di immaginazione (del “vago e indefinito”) e tutte quelle visioni e suoni suggestivi che annota sullo Zibaldone saranno poi usati nelle sue opere. Leopardi, pur essendo moderno e avendo coscienza dell’infelicità e di una poesia sentimentale fondata sul pensiero, scrive usando l’immaginazione (almeno fino al 1830, dove capisce che l’immaginazione genera illusione).
Leopardi e il Romanticismo - Il classicismo romantico di Leopardi - La formazione di Leopardi classicistica. Dunque, nella polemica tra classicisti e romantici, Leopardi è a favore dei classicisti e scrive a proposito il Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica (1818), mai pubblicato e ignoto ai contemporanei.
Per lui la poesia è soprattutto espressione di una spontaneità originaria, di un mondo interiore costruito con l’immaginazione, che è proprio dei primitivi e dei fanciulli: è a favore anche dei romantici, perché sono contro le regole imposte, l’abuso ripetitivo della mitologia; ma è anche contro di loro perché le loro opere sono fine a se stesse e artificiose e sono troppo vicini al “vero”, che spegne l’immaginazione.
I classici antichi sono per lui un vero esempio di poesia spontanea e immaginosa. Leopardi è più romantico dei romantici realisti italiani, perché ripropone romanticamente i classici antichi, di cui si deve salvaguardare l’originalità e la spontaneità.
Si parla quindi di classicismo romantico in Leopardi (classicismo perché i modelli sono gli antichi, ma romantico perché devono mantenere la loro spontaneità e immaginazione). Non c’è separazione netta tra classicismo e romanticismo: Foscolo e Leopardi sono i più grandi romantici italiani, ma in entrambi le fondamenta sono classiche.
Leopardi, il Romanticismo italiano e il Romanticismo europeo - La poesia è il recupero del mondo fatto di immaginazione dell’infanzia, quindi è basata sul vago e indefinito e sulla rimembranza. Tra le varie forme poetica, quella più adatta è quella lirica, che è espressione immediata dell’Io, ed è un canto (da qui il nome della sua opera).
È lontano al Romanticismo europeo perché la sua filosofia è materialista, è illuminista e sensista, ma è in ogni caso vicino al Romanticismo per la tensione verso l’infinito, l’esaltazione della soggettività, il titanismo, il conflitto illusione-realtà, l’amore per il “vago e indefinito”, il culto della fanciullezza e del primitivo e il senso del dolore cosmico.
I Canti - Subito dopo la conversione “dall’erudizione al bello” (1816) fino alla grande crisi del 1819, Leopardi sperimenta vari generi letterari, che poi abbandona. Di questi esperimenti, due soli si concretizzano e arrivano alla stampa: le Canzoni e gli Idilli, poi uniti nei Canti.
Le Canzoni (1818-1823) sono di stampo classicistico scritte in linguaggio aulico, sublime e tradizionale. Le influenze sono di Alfieri e di Foscolo. Le prima Canzoni civili affrontano una tematica civile con base il suo pessimismo storico e sono cinque: (1) All’Italia, (2) Sopra il monumento di Dante, (3) Ad Angelo Mai, (4) Nelle nozze della sorella Paolina, (5) A un vincitore nel pallone. Leopardi è polemico e contro l’età presente, definendola inerte e corrotta, incapace di azioni eroiche. Esalta dunque le età antiche, generose. La più significativa e riassuntiva dei temi leopardiani è Ad Angelo Mai (polemica contro l’Italia, nostalgia dell’antichità, motivo del “caro immaginar” e dei “leggiadri sogni” distrutti dalla conoscenza razionale del “vero”, che accresce il senso del nulla e la noia.
Le ultime due sono (1) il Bruto minore e (2) l’Ultimo canto di Saffo, in cui non parla più lui in prima persona, ma lascia la narrazione poetica ai due personaggi dell’antichità, entrambi suicidi. Si delinea l’idea di umanità infelice non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta (pessimismo cosmico). Non si incolpa più la natura, ma gli dei e il fato, forze malvagie che perseguitano l’uomo. A queste si contrappone l’eroe singolo che si ribella alla forza che lo opprime affermando la propria libertà in un gesto di sfida suprema, dandosi la morte (titanismo eroico).
Altre canzoni della seconda fase: Alla Primavera (rievocazione nostalgica delle “favole antiche”, quindi della visione fanciullesca che avevano gli antichi e che hanno perso i moderni); l’Inno ai Patriarchi, o dei principi del genere umano (rievocazione dell’umanità primitiva, felice nella sua ingenuità); Alla sua donna (la sua mente crea un’immagine ideale e platonica della donna).
Gli idilli - Sono più intimi e autobiografici delle Canzoni. Il linguaggio è più colloquiale e semplice. Sono scritti tra il 1819 e il 1821 e sono: L’infinito, La sera del dì di festa (prima La sera del giorno festivo); Alla luna (prima La ricordanza); Il sogno; Lo spavento notturno; La vita solitaria, tutti pubblicati sulla rivista Il Nuovo Ricoglitore e poi raccolti nei Versi, infine nei Canti.
Negli anni precedenti scrive poesie pastorali, che non hanno nulla a che fare con il locus amoenus. Per Leopardi gli Idillli, scritti in endecasillabi sciolti, basandosi sul “vago e indefinito” (e non sulla solennità delle Canzoni) sono l’espressione di “sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo”, quindi Leopardi vuole rappresentare i momenti essenziali della vita interiore.
L’infinito ha come scenario una siepe, che è uno spunto per una vertiginosa meditazione sull’idea di infinito creata dall’immaginazione, partendo da sensazioni visive e uditive. Alla luna affronta il tema della ricordanza che, come l’immaginazione, rende più bello il reale, anche se la realtà è triste. La sera del dì di festa comincia con la notte, una scena suggestiva per la sua vaghezza che piace molto a Leopardi, passando per la visione dell’infelicità per arrivare a una vasta meditazione sul tempo che cancella ogni traccia dell’azione umana. Come nelL’infinito, nelLa vita solitaria si contempla la natura immobile e silenziosa. Il sogno è un discorso con una fanciulla morta affrontando il tema della giovinezza distrutta e delle illusioni non realizzate.
Il “Risorgimento” e i “grandi idilli” del 1828 - 1830 - Finita la stesura delle canzoni e dei canti, Leopardi smette di scrivere fino al 1928. Non scrive più poesia perché non ha più immaginazione e sentimento, ma solo “arido vero”, che lo porta a scrivere la prosa filosofica e di pensiero delle Operette morali. Qui si passa dal pessimismo storico al pessimismo assoluto, infatti abbandona gli atteggiamenti titanici e si distacca con ironia dalla realtà abbracciando lo stoicismo, scrivendo su questa filosofia il Manuale di Epitteto).
Quando si trova a Pisa, Leopardi scrive alla sorella Paolina, informandole di aver ritrovato l’ispirazione: è il “risorgimento” delle sue facoltà di sentire. Scrive allora Il risorgimento e poi A Silvia. Torna a Recanati e scrive Le ricordanze, Il sabato del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e Il passero solitario. Questi componimenti riprendono i temi e il linguaggio dei primi idilli: le illusioni, le speranze, le rimembranze, immagini e suoni vaghi e indefiniti, linguaggio semplice e musicale. Per questa ragione, sono definiti i “grandi Idilli”.
La distanza dai primi idilli - Questi grandi Idilli non sono la semplice ripresa degli Idilli di dieci anni prima. In questi c’è più consapevolezza del “vero”, la fine delle illusioni giovanili, la costruzione di una filosofia fondata sul pessimismo assoluto. Quindi, se la memoria recupera il passato e con lui la stagione dell’illusione e della speranza, a questo ricordo si accompagna anche la consapevolezza del “vero”. Dunque ci sono immagini liete, ma sono rarefatte e perdono ogni fisicità, perché create dalla memoria e accompagnate dalla consapevolezza del dolore, del vuoto dell’esistenza e della morte. I grandi Idilli, dunque, si distinguono dagli Idilli perché hanno il “vero”. C’è sia il “caro immaginar” sia il “vero”.
Non c’è più rivolta, né titanismo. C’è dominio razionale (acquisito con le Operette) davanti alla verità dolorosa dell’infelicità inevitabile di tutti gli esseri.
Il linguaggio non ha più espressioni intense e patetiche, ma è misurato e addolcito (non è di lotta aspra e tragica, ma tenero e dolce, ma anche desolato).
La metrica cambia: non c’è più l’endecasillabo sciolto, ma una sola strofa composta liberamente e senza schema fisso di endecasillabi e settenari. Anche le rime, le assonanze e gli enjambements non rispondono a nessuno schema fisso. La libertà metrica che rappresenta “il vago e l’indefinito” è una grande conquista per la poesia italiana, perché era ancora legata a schemi fissi (per esempio come quella di Manzoni e degli altri romantici).
Il “ciclo di Aspasia” - Sempre sul pessimismo assoluto e sul materialismo, con il distacco ironico delle Operette e con il recupero dell’età giovanile dei grandi Idilli, Leopardi riacquista un contatto diretto con gli uomini, i problemi e le idee del suo tempo. È più pronto e più combattivo nel diffondere le proprie idee. L’apertura si ha anche sul piano umano: stringe una grandissima amicizia con Antonio Ranieri e vive un amore autentico e passionale con la dama fiorentina Fanny Targioni Tozzetti. Poi rompe con questa e la forte delusione gli fa rendere conto di aver creduto all’inganno estremo: l’amore.
Da queste passione e delusione nasce il “ciclo di Aspasia”, nome greco, pseudonimo di Tozzetti. Sono cinque componimenti scritti tra il 1833 e il 1835: Il pensiero dominante; Amore e Morte; Consalvo, Aspasia e A se stesso. Tutte queste non sono fondate sul “vago e indefinito”, né scritte con il linguaggio semplice e musicale. Questa poesia è nuda, severa, senza immagini, fatta di puro pensiero, con atteggiamenti energici, combattivi, eroici. Il linguaggio è aspro e antimusicale. La sintassi è complessa e spezzata. Questa è la “nuova poetica” di Leopardi, diversa da quella del “vago e indefinito” dei grandi Idilli.
La polemica contro l’ottimismo progressista - Si instaura anche un forte rapporto con le idee del tempo. Si impegna nelle critiche polemiche contro tutte le ideologie ottimistiche, che esaltano il progresso e profetizzano un miglioramento della vita degli uomini grazie alle nuove scienze sociali ed economiche e alle scoperte tecnologiche. Critica anche le tendenze spirituali e neocattoliche, andando a favore delle correnti liberali che vedono l’uomo al posto di Dio nel cosmo.
Le sue concezioni pessimistiche escludono il progresso e il miglioramento della condizione umana: l’infelicità e la sofferenza sono dati di natura, eterni e inevitabili (pessimismo assoluto). Non c’è l’aldilà dello spiritualismo religioso nella sua visione materialistica e Leopardi bolla quelle credenze come favole infantili e sciocche.
La polemica si trova nella Palinodìa al marchese Gino Capponi (1831), inclusa nei Canti, ed è una satira contro l’ottimismo e il pensiero del progresso. Al di fuori dei Canti si trovno invece un abbozzo di inno Ad Arimane (1833), I nuovi credenti e i Paralipomeni della Betracomiomachia.
Nei Paralipomeni (= aggiunte) Leopardi scrive degli avvenimenti politici del tempo e del fallimento dei moti liberali. Critica il liberalismo progressista per via del suo pessimismo assoluto che nega ogni possibilità di miglioramento (politico e sociale) e vede l’umanità come vittima della natura.
La Ginestra e l’idea leopardiana di progresso - Con La Ginestra si ha una svolta essenziale nel suo pensiero ed è la lirica che chiude il suo percorso poetico (insieme con Il tramonto della luna). Si riprende il tema della polemica antiottimistica e antireligiosa, ma qui Leopardi non nega più la possibilità di un progresso civile; anzi, costruisce un’idea di progresso proprio sul suo pessimismo. La consapevolezza del “vero” e della condizione umana gli fa percepire come unica nemica la natura. E grazie a questa consapevolezza, gli uomini tutti potrebbero unirsi contro la natura. Il legame può far cessare le ingiustizie della società dando origine a un “onesto conversar cittadino” e alla solidarietà tra gli uomini, che nasce proprio dalla diffusione del “vero”, quindi dalla consapevolezza dell’infelicità.
La Ginestra è la massima realizzazione della “nuova poetica” anti-idilliaca: è un vasto poemetto in cui si alternano toni e immagini: dalla distruzione del vulcano e della sua lava, alla proiezione degli uomini nell’universo, alla minaccia della natura, alla dignità che dovrebbe essere dell’uomo.
Le Operette morali e l’“arido vero” - Sono composte nel 1824, subito dopo essere tornato dalla deludente Roma. Si aggiunge nel 1832 il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.
Le Operette morali sono prose di argomento filosofico e qui sviluppa gli appunti dello Zibaldone unendovi invenzioni fantastiche, miti, paradossi, canti lirici in prosa. Molte Operette sono dialoghi con una creatura immaginosa, una personificazione o un personaggio mitico. Altre volte i personaggi sono storici, altre ancora i personaggi storici sono mescolati a creature immaginose (come Tasso e il suo Genio). Ma in moltissime Operette che hanno l’impostazione di dialogo, i due protagonisti in realtà sono proiezioni di Leopardi stesso. Ma non tutte sono dialogiche: ci sono anche quelle narrative, altre sono prose liriche o raccolte di aforismi paradossali.
Tutte queste invenzioni ruotano intorno al suo pessimismo (infelicità inevitabile dell’uomo, impossibilità del piacere, noia, dolore…), senza generare cupezza, perché c’è molta ironia nella contemplazione del “vero”. A volte l’opera appare fredda, altre volte è intensa (quando si ricordano le illusioni fanciullesche, oppure la gioiosa vitalità degli uccelli).
Le Operette più vecchie si differenziano: Plotino è un dialogo sul suicidio, con un senso di solidarietà fraterna verso gli uomini. Nell’Operetta Al fonte Carlo Pepoli, Leopardi cerca di trovare e comprendere il suo “acerbo vero”, cioè il suo stato di aridità.
per ulteriori approfondimenti su vita, pensiero ed opere di Leopardi vedi anche qua

Frasi celebri di Giacomo Leopardi

“Sono convinto che anche nell'ultimo istante della nostra vita abbiamo la possibilità di cambiare il nostro destino.”
“La storia dell'uomo non presenta altro che un passaggio continuo da un grado di civiltà ad un altro, poi all'eccesso di civiltà, e finalmente alla barbarie, e poi da capo.”
“I migliori momenti dell'amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia, dove tu piangi e non sai di che, e quasi ti rassegni riposatamente a una sventura e non sai quale.”
“La noia è la più sterile delle passioni umane. Com'ella è figlia della nullità, così è madre del nulla: giacché non solo è sterile per sé, ma rende tale tutto ciò a cui si mesce o avvicina.”
“È curioso a vedere che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore.”
  • “Due verità che gli uomini generalmente non crederanno mai: l'una di non saper nulla, l'altra di non esser nulla. Aggiungi la terza, che ha molta dipendenza dalla seconda: di non aver nulla a sperare dopo la morte.”
  • "Il genere umano e, dal solo individuo in fuori, qualunque minima porzione di esso, si divide in due parti: gli uni usano prepotenza, e gli altri la soffrono. Né legge né forza alcuna, né progresso di filosofia né di civiltà potendo impedire che uomo nato o da nascere non sia o degli uni o degli altri, resta che chi può eleggere, elegga. Vero è che non tutti possono, né sempre."

    Domande da interrogazione

    1. Per cosa è morto Leopardi?
    2. Leopardi è morto per edema polmonare o scompenso cardiaco.

    3. Qual è il pensiero di Leopardi?
    4. Il pensiero letterario di Leopardi si articola in tre fasi importanti: il pessimismo storico, per cui la natura è benigna; il pessimismo cosmico, per cui la natura è maligna; il pessimismo eroico per cui la ragione e la solidarietà sono i valori che devono spingere gli uomini.

    5. Cosa rappresenta Recanati per Leopardi?
    6. Per Leopardi Recanati era un luogo chiuso, ristretto di mentalità, da cui cercò anche di scappare. Si rifugiava infatti sempre nella biblioteca paterna.

    7. Che malattia aveva Giacomo Leopardi?
    8. Giacomo Leopardi aveva la spondilite anchilopoietica giovanile.

    9. Quando nasce Giacomo Leopardi?
    10. Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798.

    11. Giacomo Leopardi chi era?
    12. Giacomo Leopardi era un grande poeta italiano dell'Ottocento.

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