Concetti Chiave
- La vita di Giovanni Pascoli è segnata dal trauma della perdita del padre, evento che influenzò profondamente la sua visione della giustizia e la sua produzione poetica, come dimostrano le liriche "X Agosto" e "La cavalla storna".
- La poetica del "fanciullino" di Pascoli esalta la capacità di vedere il mondo con stupore infantile, andando oltre la superficialità delle cose e promuovendo una funzione sociale della poesia come consolazione e pacificazione.
- "Myricae" rappresenta l'essenza lirico-simbolica della poetica pascoliana, caratterizzata da una continua ambivalenza tra dolore e serenità, e dall'utilizzo di un lessico preciso e simbolico per esprimere la complessità delle emozioni umane.
- La poetica del nido è un concetto centrale per Pascoli, rappresentando un luogo di felicità e protezione, ma anche di inquietudine per la costante minaccia che tale serenità possa essere infranta da eventi esterni.
- Nonostante le critiche ricevute da Benedetto Croce, che lo definì un poeta elementare, Pascoli si distingue per il suo vocabolario specifico e per la profondità e l'inquietudine celate dietro la sua apparente semplicità poetica.
Indice
Infanzia e traumi di Pascoli
Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, dove trascorre un’infanzia agiata e felice fino a quando, il 10 agosto 1867, il padre Ruggero, amministratore di una tenuta dei principi di Torlonia, viene ucciso con una fucilata mentre tornava a casa in calesse e sarà riportato dalla “cavalla storna”, cioè dai cavalli che sapevano la strada di casa (“portavi colui che non ritorna”). Il poeta indagherà personalmente sulle cause del delitto, ma rimarrà impunito. Questo trauma modifica famiglia: muore madre, fratello maggiore e hanno molti problemi economici. Pascoli sarà sempre accompagnato dal trauma della perdita e dalla modalità della perdita. Ciò muta la vita di Pascoli e la sua visione della giustizia e della politica, perché paradossalmente come accade sempre nella vita degli autori, gli assassini rimarranno non puniti e, invece, gli autori, per aver partecipato a una rivoluzione vengono incarcerati; nasceranno molte sensazioni di ingiustizia. A ciò sono legate liriche importanti: “X agosto” (X=croce, 10 numero romano), “La cavalla storna”.
Formazione e carriera accademica
Morti la madre e due fratelli, il poeta deve lasciare il liceo di Urbino per trasferirsi a Rimini con gli altri fratelli. Nel 1873 si iscrive alla Facoltà di Lettere all’Università di Bologna grazie a una borsa di studio, che perderà dopo la partecipazione a una manifestazione contro il Ministro della Pubblica Istruzione. È costretto a interrompere gli studi. Si avvicina agli ambienti socialisti, partecipando a una manifestazione che gli costerà alcuni mesi di reclusione, dopo i quali si allontana dalla politica attiva e riprende gli studi, laureandosi nel 1882 in Letteratura Greca con una tesi sul poeta Alceo. Dopo la morte del fratello maggiore, Pascoli diventa capofamiglia.
Vita familiare e relazioni
Esclusa dalla propria vita ogni relazione sentimentale, punta alla ricostruzione del nucleo famigliare paterno. Si stabilisce in Toscana con le sorelle Ida e Maria (Mariù). In questo periodo si configura il “nido” famigliare. Sospettoso verso tutto ciò che nasce ed esiste all’esterno del nido, ossessionato dalla gelosia verso le sorelle e verso le loro relazioni amorose, vive con angoscia il matrimonio di Ida, avvenuto contro la sua volontà. Più stretto allora si fa il rapporto con Maria, con la quale si stabilisce a Castelvecchio, Lucca, in una bella casa di campagna che sarà la residenza definitiva del poeta.
Maria non si separerà più da lui, divenendone dopo la sua morte la curatrice degli inediti e l’erede letteraria.
Successi letterari e insegnamento
Nel 1891 esce la prima edizioni di “Myricae”, e nel 1892 Pascoli vince il prestigioso concorso di poesia latina di Amsterdam, il cui premio gli verrà assegnato altre dodici volte. Dopo aver insegnato in diversi licei d’Italia (a Matera, a Massa, a Livorno), nel 1895 ottiene la nomina di professore di grammatica greca e latina all’Università di Bologna. Passa ad insegnare all’Università di Messina e di Pisa e nel frattempo pubblica “Poemetti”, “I canti di Castelvecchio” e i “Poemi conviviali”. Nel 1905 diventa titolare della cattedra di Letteratura italiana a Bologna, che fino ad allora era stata di Carducci. La partecipazione di Pascoli alla vita culturale fu costante ma senza momenti clamorosi: le sue collaborazioni alle riviste più prestigiose del periodo riguardarono soprattutto argomenti letterari. La più importante è quella con “Il Marzocco” di Firenze. Poco prima della morte, avvenuta a Bologna il 6 aprile del 1912, Pascoli pronuncia l’importante discorso “La grande Proletaria si è mossa”, dedicato a sostenere l’impresa coloniale italiana in Libia.
La poetica del fanciullino
La poetica del “fanciullino” presuppone una duplicità: da un lato, il fanciullino è presente potenzialmente in ogni uomo, è una figura umile e piccola che si oppone al superuomo dannunziano, dall’altro solo il poeta conosce il privilegio di farlo rivivere e di farlo parlare dentro di sé. Pubblicata nel 1897 sulla rivista fiorentina “Il Marzocco”, la prosa intitolata “Il fanciullino” è il più importante ed esplicito discorso programmatico di Pascoli sul poeta e sulla poesia. Il poeta coincide con il “fanciullino”, ovvero con quella parte infantile dell’uomo che negli adulti tende a essere normalmente soffocata e che invece nei poeti trova libera espressione. Il fanciullino vede ciò che in genere passa inosservato: egli individua accordi segreti tra le cose stabilendo tra di esse legami inediti e inconsueti. Il fanciullino guarda il mondo con uno stupore infantile alla luce del quale ogni cosa è una nuova scoperta. La poesia è il luogo in cui l’uomo dà voce al fanciullino che è in lui, lo lascia parlare. Il fanciullino ha la capacità di andare oltre la superficialità delle cose e di non essere contaminato dall’abitudine della conoscenza, che impedisce lo stupore. La poesia è consolazione,
pacificazione delle tensioni sociali. In questo modo viene riaffermata la funzione sociale del poeta.
Simbolismo e lessico pascoliano
Il simbolismo pascoliano vuole indicare la strada della rivelazione di una verità segreta. Il senso del mistero si esprime attraverso una catena di analogie simboliche. Il simbolismo pascoliano, inoltre, punta alla valorizzazione del particolare: infatti egli utilizza un lessico molto specifico e tecnico, onomatopee fonosimbolismi. Pascoli ha la necessità di essere preciso nella rappresentazione della realtà, e perciò si affida ai nomi concreti delle cose. Di qui la scelta di un vocabolario, in riferimento alla flora e alla fauna (ma anche ai mestieri agricoli), che non ha l’eguale della nostra letteratura per esattezza e pertinenza. Vi è la valorizzazione del frammento, attraverso l’impiego di paratassi a periodi brevi e brevissimi. Grazie alla sua cultura sulla flora e sulla fauna, Pascoli corregge “Il sabato del villaggio” di Leopardi, dicendo che rose e viole non nascono nello stesso periodo dell’anno e che quindi fosse impossibile che la donzelletta portasse entrambi i fiori nel mazzo. Leopardi così dimostra ignoranza nella conoscenza della natura.
Critica e opere principali
La critica ha individuato la parte più viva e intensa della produzione poetica pascoliana in tre raccolte: “Myricae”, “Poemetti”, “Canti di Castelvecchio”. Si è quindi parlato di “rapsodismo” pascoliano, cioè della tendenza a lavorare a più generi di scrittura contemporaneamente. Nel caso delle tre raccolte esiste però un’unità di fondo dell’ispirazione che corrisponde alla poetica del “fanciullino”. Nei “Poemetti” è forte la tendenza narrativa, nelle “Myricae” la tendenza lirico-simbolica ha il momento più alto, ma è presente anche nei “Canti di Castelvecchio”. Il titolo “Myricae” corrisponde, in latino, all’italiano “tamerici”, un arbusto sempreverde della macchia mediterranea, ricavato dalle “Bucoliche” di Virgilio. Nel titolo sono contenuti molti simboli e significati: innanzitutto, è un riferimento al classicismo, poiché Pascoli si riaggancia alla tradizione letteraria classica; c’è un riferimento tecnico nell’utilizzo del termine, perché l’arbusto sempreverde è destinato a non subire la parabola meccanicistica dell’esistenza e rappresenta un elemento vitale destinato a non morire e a non invecchiare mai. Virgilio, inoltre, usa l’aggettivo “humiles myricae”, ovvero tamerici umili; il concetto di umiltà è dato dal senso di semplicità della pianta, che non è ornamentale, ma umile e semplice. Ciò vuol dire che (analogia e metafora) semplici e umili saranno anche le parole usate da Pascoli nei suoi versi, che apparentemente sembrano elementari. Il riferimento tematico del titolo implica dunque l’enunciazione di una poetica del “basso”, del comune, mentre il rimando classico a Virgilio e al termine latino comporta tuttavia una compresente ricerca di elezione. Con l’aggettivo semplice però ci si può riferire anche alla dimensione di colui che scrive, dove per semplicità si intende la capacità di stupirsi di tutto ciò che semplice non è. Semplicità d’animo significa anche animo incontaminato. Sempreverde sarà anche quella parte del nostro animo leggera, scherzosa e pura che sopravvive nell’uomo per sempre, nonostante la crescita biologica. Questa è la parte che secondo Pascoli si deve preservare: bisogna essere per sempre dei fanciulli. Le tamerici sono delle siepi. Il concetto di siepe era già presente nella letteratura precedente: nell’ “Infinito” di Leopardi. La differenza è che, mentre in Leopardi la siepe è un limite che rappresenta la capacità dell’individuo di pensare e di sentire, e che bisogna sorpassare per toccare l’infinità, per Pascoli è un recinto, una protezione necessaria per proteggere la parte tenera, pura e fragile di noi. La siepe protegge il nido, è un muro di cinta e rappresenta la protezione dal male del mondo. Nella prefazione delle “Myricae” scritta da Pascoli per la terza edizione, il poeta affronta due temi centrali: il tema della morte invendicata del padre e il tema della natura quale grande consolatrice benefica. Pascoli vorrebbe costruire un contrasto tra le vicende dolorose della storia e tra la dimensione equilibratrice della natura, dominata invece da un principio di pace e di rasserenamento. In verità però il tema del rasserenamento naturale si presenta assai più complesso e ambivalente: infatti, è possibile scorgere in controluce il sentimento turbato dell’esclusione, del dolore, del mistero anche dietro l’apparente semplicità delle forme poetiche. Il tema della morte è il grande protagonista dell’opera. Ne dà l’annuncio anche “Il giorno dei morti”, componimento collocato in posizione introduttiva. In esso il poeta immagina che tutti i morti della famiglia abbiamo formato nel cimitero una nuova unità famigliare, più autentica e profonda di quella riservata ai pochi superstiti. Questi ultimi sono indifesi e nutrono il bisogno di riconciliarsi con loro, e invocano protezione e perdono. Da qui si genera un grande senso di inquietudine, che accompagnerà tutti i restanti componimenti. Il passato con il suo pesante fardello di dolore e di morte, ritorna sempre nella poesia di Pascoli, ossessivamente, e rimanda al trauma irrisolto della condizione di orfano. Di questo filone fanno parte testi come “X Agosto”, “L’assiuolo” e “Novembre”.
Myricae e il tema della morte
“Myricae” resta sospesa in questa ambivalenza, non c’è una vera e propria conclusione. Si potrebbe però considerare il testo dell’ “Ultimo sogno”, in quanto il raggiungimento della serenità coincide con un’immagine funebre, in virtù della quale può compiersi il ricongiungimento del poeta alla madre morta, e in cui la pace si identifica con la rinuncia a vivere.
X Agosto e il nido
X AGOSTO “X Agosto” è una poesia dedicata alla morte del padre, che Pascoli collega a quella di una rondine uccisa anch’essa senza motivo mentre torna al nido (che nel testo è indicato come “tetto”; le rondini fanno i nidi sotto i tetti delle case) dove l’attendono i suoi piccoli; il cielo, dall’alto della sua infinità e serena distanza, assiste alle due morti con un lacrimare di stelle cadenti (particolarmente fitte la notte del 10 agosto). Tuttavia, l’uomo e la rondine sono simboli del dolore universale e della malvagia ingiustizia che regola la vita sulla Terra. Nella poesia il poeta afferma di conoscere il motivo per cui la notte di San Lorenzo è piena di stelle cadenti: il cielo piange di dolore. Alla fine del componimento il poeta si rivolge nuovamente al cielo, ma questa volta con un atteggiamento più pessimista. Il cielo, infatti, è lontano e indifferente: si limita a ricoprire di un pianto di stelle la Terra, che nell’universo sconfinato è solo un granello minuscolo pieno di male. La morte della rondine e dell’uomo si definisce all’interno della tipologia cristiana del sacrificio di un innocente e di un giusto. Tuttavia, a differenza di quanto avviene nella simbologia cristiana, la Passione non comporta nessuna Redenzione.
Il nido fisicamente è un luogo della campagna, San Mauro, dove il poeta ha trascorso molti anni felici prima della morte del padre. Il luogo quindi non è casuale. Però, in realtà, quel luogo è anche una dimensione aspaziale e atemporale, ovvero una dimensione che ognuno si porta dentro di sé e che rappresenta la parte felice della nostra vita, ovvero l’infanzia, dove si hanno tutti gli affetti. Tutto sembra bello e c’è entusiasmo nei confronti della vita, non si avverte il senso del male.
I bambini sono preservati dalla cattiveria. Il nido, infatti, è un mondo incontaminato, ma in Pascoli è anche un mondo attraversato dall’inquietudine, ovvero dalla paura che quel momento di felicità possa essere turbato improvvisamente da un’imprevedibile negatività. Ogni aspetto della natura che dà Pascoli è sempre colto con immedesimazione sinestetica (accostamento di espressioni che appartengono a sfere sensoriali diverse). La conoscenza del nido è sensoriale, ma, nonostante ciò, è attraversata da inquietudine. In lui c’è un possibilismo, spera una redenzione in tutto ciò che è fuori dal nido. Ma la vita farà vedere, rivelerà che il male del mondo è irreversibile e non è possibile perdonarlo. Lui spera sempre in un riscatto. Quando si accorge che non c’è si chiude in una dimensione di ricatto del mondo.
Critica di Benedetto Croce
LA CRITICA DI PASCOLI Pascoli riceverà una critica negativa da parte del critico d’eccellenza di quel periodo, il quale nel bene e nel male ha condizionato tutta la cultura: Benedetto Croce. Ha realizzato una scuola di pensiero, la scuola crociana, che si opponeva alla scuola di pensiero di Giovanni Gentile, il quale ha realizzato la riforma dell’istruzione del periodo fascista. Croce ha definito Pascoli il “poeta dei bambini”, della campagna, delle piccole cose e degli insetti, degli animali e dei fiori. Inoltre, viene definito un poeta elementare. In realtà in Pascoli si trova un vocabolario specifico che fa sì che il poeta sia tutto tranne che elementare. La critica di Croce ha impedito a Pascoli di avere il giusto risalto, sono sempre state studiate le poesie più musicali e semplici. Croce stronca la sua scrittura e non si rende conto dell’inquietudine che celava dietro. In queste liriche l’uomo rappresenta la parte debole dell’universo, in quanto è sottoposto alla legge della natura e tutto ciò non fa le poesie di Pascoli solari e allegre.
Domande da interrogazione
- Quali eventi traumatici hanno segnato l'infanzia di Giovanni Pascoli?
- Come si è sviluppata la carriera accademica di Pascoli?
- Qual è il significato della poetica del "fanciullino" di Pascoli?
- Quali sono le caratteristiche del simbolismo e del lessico pascoliano?
- Come ha influenzato Benedetto Croce la percezione critica di Pascoli?
L'infanzia di Pascoli è stata segnata dall'omicidio del padre Ruggero il 10 agosto 1867, un evento che ha portato a gravi problemi economici e alla morte della madre e del fratello maggiore, influenzando profondamente la sua visione della giustizia e della politica.
Pascoli ha studiato Lettere all'Università di Bologna, ma ha dovuto interrompere gli studi a causa di una manifestazione politica. Dopo aver ripreso gli studi, si è laureato in Letteratura Greca e ha insegnato in vari licei e università italiane, diventando infine professore di Letteratura italiana a Bologna.
La poetica del "fanciullino" rappresenta la parte infantile e pura presente in ogni uomo, che il poeta riesce a far rivivere. Questa figura vede il mondo con stupore e scopre legami inediti tra le cose, esprimendo una visione poetica che va oltre la superficialità.
Il simbolismo pascoliano si basa su analogie simboliche per rivelare verità segrete, utilizzando un lessico preciso e tecnico, con onomatopee e fonosimbolismi, per rappresentare la realtà con esattezza, valorizzando particolari concreti della flora e della fauna.
Benedetto Croce ha criticato Pascoli definendolo un "poeta dei bambini" e delle piccole cose, sottovalutando la complessità del suo vocabolario e l'inquietudine presente nelle sue opere, limitando così il giusto riconoscimento del suo valore letterario.