Concetti Chiave
- Gabriele D'Annunzio ha iniziato la sua carriera poetica a sedici anni con opere che mostrano l'influenza di Carducci e temi di sensualità e dominio.
- "Il Piacere" (1889) è il primo romanzo di D'Annunzio, che esplora la vita decadente e artistica di Andrea Sperelli, con un uso intenso di introspezione e simbolismo.
- La "trilogia degli assassini", composta da "Il Piacere", "L'innocente" e "Trionfo della morte", esplora temi di voluttà e delitto, con influenze da Dostoevskij.
- Nel romanzo "Le vergini delle rocce", D'Annunzio espone il superomismo, ispirato da Nietzsche, con il protagonista che deve scegliere tra tre sorelle per generare un nuovo re di Roma.
- Le "Laudi" sono un ciclo poetico ambizioso che rappresenta una visione superomistica della vita e della storia, con influenze dalla poesia simbolista e dal Cantico delle creature di San Francesco.
Indice
Gli esordi letterari di D'Annunzio
D’Annunzio esordì da appena sedicenne con “Primo vere”, un libretto di poesie barbare a imitazione di Carducci, arricchito con alcuni esercizi di traduzione da Orazio, che ne accreditano l’immagine di apprendista scrupoloso e “scudiero dei classici”. Nel 1882, pubblicò la raccolta “Canto novo” in cui esprime un’accensione di sensi già morbosa e viziata che non sa concepire il rapporto tra i sessi al di fuori della soggezione e del dominio in cui fa la propria comparsa un inventario botanico e faunistico per suscitare un vocabolario esotico e prezioso. Nel 1883 pubblica “Intermezzo di rime”, il titolo allude ad un distacco dalla metrica barbara carducciana: i 26 componimenti sono infatti tutti sonetti in tradizionale rima, i temi vertono tutti inoltre sulla pornografia tanto che i critici la definirono “porcheria”. Nel 1886, uscì “Isaotta Guttadauro” un libro illustrato di pittori preraffaeliti a cui si sintonizza al loro livello: a livello di forme, riesumando alcuni metri di gusto medioevale come la ballata o la sestina; e di temi, coniugando il mondo rarefatto della letteratura stilnovista e cortese. Esordì però come narratore nel 1882 con “Terra vergine”, una raccolta di novelle di soggetto abruzzese ispirata a “Vita dei campi” di Verga, si compiace qui di caricare al massimo le tinte e i contrasti: emerge un’umanità sanguigna e selvaggia mossa da superstizione e violenza. Ciò non gli impedisce però di sfoggiare una preziosità di linguaggio in cui anche l’espressione dialettale viene utilizzata per abbagliare il lettore e rapirlo in un mondo esotico.
Il piacere e la figura di Andrea Sperelli
Pubblicato da Treves nel 1889, è il primo suo romanzo, qui il poeta trasfonde nel protagonista maschile Andrea Sperelli, dandy, artista dilettante, cultore dell’arte e della bellezza, collezionista di oggetti di valore, la propria anima e le proprie complicate vicende sentimentali [d’Annunzio sfrutta questo gioco di specchi per creare pettegolezzi e curiosità dietro il suo libro]. Andrea incarna quindi la figura decadente dell’esteta, che si prefigge come unico scopo di fare la propria vita, un’opera d’arte, e infatti la vicenda di svolge nella Roma dei palazzi aristocratici, dei monumenti barocchi e dei luoghi di ritrovo mondani. Il protagonista non cerca la propria ispirazione nella vita comune, nei confronti della quale nutre un profondo disprezzo, ma la trae da un’opera d’arte ogni volta diversa, infatti le stesse descrizioni e i gesti dei personaggi di d’Annunzio sono spesso la trasposizione letteraria di riconoscibilissime opere d’arte tanto da definire le sue opere tableaux vivants ossia quadri viventi. Il libro trova due donne opposte:
1. Maria Ferres, seconda amante del conte, a dispetto delle circostanze sa conservare un proprio intimo candore tanto da essere associata ad un bianco ermellino;
2. Elena Muti, prima amante del conte, seduttrice e carnale per la quale il narratore evoca il color porpora, emblema della sua natura passionale;
La singolare somiglianza che Andrea riscontra fra le due donne, in particolare nel timbro della voce, alimenta un allucinato scambio di identità, possedendo l’una attraverso il corpo dell’altra. La novità che viene introdotta dal poeta è la riduzione al minimo della trama narrativa, in cui al posto dei fatti provvedono la descrizione minuziosa degli scenari e un’abbondante introspezione che dà conto di ogni risonanza interiore prodotta nei protagonisti da ogni sollecitazione esterna. Il racconto tende dunque ad essere filtrato mediante il ricordo o l’annotazione diaristica e quindi ad essere soggettivizzata, in compenso vari episodi vengono sviluppati in maniera quasi esasperata dando l’impressione che l’esistenza sia un susseguirsi discontinuo di momenti staccati. A parziale correzione di questo effetto frammentario intervengono alcuni elementi simbolici, d’Annunzio adotta la tecnica musicale del leitmotiv di cui era maestro Wagner: nel tema dominante si trova racchiuso il senso ultimo dell’opera, all’interno del romanzo tale tecnica è declinata su diversi modi: Il motivo dominante torna a distanza, quando si riproducono certe situazioni o quando interviene il filtro della memoria che richiama dal passato parole o episodi significativi; gioca anche spesso sulla replica delle sequenze e delle inquadrature;
La trilogia del delitto
Nel riordino a posteriori della propria opera narrativa, d’Annunzio volle abbinare “Il piacere” ad altri due romanzi “L’innocente” e “Trionfo della morte” ponendoli sotto il simbolo della rosa, ciascuna storia è però indipendente l’una dall’altra quindi non formano una vera e propria trilogia, anche se tutte sviluppano il tema della voluttà, la passione carnale. In un primo momento, l’autore aveva però previsto un altro accorpamento con “Giovanni Episcopo”, “L’innocente” e “L’invincibile”, primo nucleo di “Trionfo della morte”, e qui il tema comune è quello del delitto, di cui si macchiano i rispettivi protagonisti:
- Nell’invincibile propone il caso clinico di un uomo affetto da mania suicida ereditaria, convinto di poter aver ragione della sua amante solo a patto di ucciderla e di uccidersi insieme a lei. Il protagonista Giorgio Aurispa vorrebbe affermare la propria personalità nell’arte come nella vita ma viene bloccato dall’inerzia poiché i sentimento della sua debolezza lo umilia, trova un capo espiatorio in Ippolita Sanzio, donna che lo incatena a sé con una forza irresistibile. Lo snerva con la lussuria e lui non vede altra via d’uscita che quella di uccidersi insieme a lei, causa prima della sua sconfitta.
- In Giovanni Episcopo il protagonista è invece un pover’uomo disprezzato da tutti la cui rabbia accumulata in anni di umiliazioni, esplode alla fine in un impeto omicida. Anticipato sulla “Nuova Antologia” in tre puntate all’inizio del 1891, poi pubblicato come romanzo presso l’editore napoletano Pierro, la vicenda è narrata dallo stesso Giovanni in un rotto e convulso monologo. Lui è un modesto impiegato, si innamora di una cameriera giovane di nome Ginevra ma la vita coniugale si trasforma presto in un incubo: la moglie, di cui è succube, lo tratta in modo scostante e distratto dalle preoccupazioni domestiche, Giovanni trascura il lavoro e perde il posto. Inoltre, il collega Giulio Wanzer si stabilisce a casa sua e diventa l’amante della moglie, ma dominato dalla forte personalità dell’uomo Giovanni non riesce a cacciarlo fino a che non mette le mani sulla moglie e sul figlio, e lo uccide in un impeto di rabbia.
- Nell’innocente il protagonista sopprime il neonato figlio della colpa, frutto di una relazione adulterina della moglie. Il protagonista Tullio Hermil, un ricco proprietario terriero sensuale è irresistibilmente attratto dalle donne con cui tradisce spesso la moglie Giuliana, dopo sette anni si ricorda finalmente dei propri doveri di marito ma scopre che anche la compagna ha continuato a tradirlo ed è incinta. Tullio le perdona questa debolezza ma non accetta il figlio della colpa così ne procura deliberatamente la morte, esponendolo al gelo di una notte invernale ed il romanzo è la confessione a posteriori.
Probabilmente venne influenzato da Dostoevskij, autore di “Delitto e castigo”, al fine di seguire i nuovi gusti e moda.
Il poema paradisiaco e i Romanzi del giglio
Il poema paradisiaco
Il suo primo libro di versi veramente importante, stampato presso Treves nel 1893, si nota chiaramente la componente simbolista del sogno e del mistero, inoltre abbassa in maniera significativa il tono del fraseggio avvicinandosi alla dimessa semplicità del parlato. Il paradiso a cui rinvia il titolo va inteso secondo una duplice valenza:
1. Dal senso etimologico di giardino, che in greco antico si dice appunto paràdeisos, lui si sofferma sulla stagione autunnale della decadenza, mostrandoci giardini umidi e in stato di abbandono, popolate di stature muscose e fontane asciutte;
2. Dal senso di traguardo e salvezza che rinvia il termine paradiso, ossia la condizione finale si redenzione a cui approda il personaggio poeta al termine dell’itinerario rappresentato nell’opera. Le prime due sezioni descrivono infatti un uomo soggetto alla prigione dei sensi sedotto da enigmatiche figure femminile, le larve, esili e pallide ma vampiresche, solo nella terza sezione con il ritorno all’orticello di casa coltivato dalla madre e dalla sorella, avviene la purificazione del protagonista, facendo diventare il poema una parabola di conversione verso un ideale francescano di vita casta e operosa;
Dopo la trilogia degli assassini, d’Annunzio concepì un altro ciclo narrativo dei “Romanzi del giglio”, dei quali fu portato a termine solo “Le vergini delle rocce” pubblicato prima a puntate sulla rivista Convito nel 1895, poi in volume presso Treves, ma dei seguiti “L’annunciazione” e “La grazia” non c’è traccia. D’Annunzio vede nel giglio, prima ancora che simbolo di purezza, l’emblema dell’autorità monarchica e ne mette in rilievo due caratteristiche: quella vitale e produttiva a motivo del calice ricco di polline, e quella potenzialmente letale, a causa della dolcezza snervante del suo profumo. Il motore della vicenda è la generazione del futuro re di Roma che avrebbe ristabilito il principio di autorità e dato inizio a un nuovo Rinascimento, il protagonista Claudio Cantelmo viene così chiamato a scegliere fra tre sorelle nubili, che incarnano tre qualità del giglio, quella che avrebbe dato origine ai natali:
- Massimilia è una figura claustrale, devota ed esempio di mistica purezza;
- Violante è bella ma ha il profilo malato della femme fatale;
- Anatolia è l’unica veramente vitale e quindi l’unica che potrebbe asservire perfettamente al ruolo di madre;
Questo romanzo è il manifesto del superomismo dannunziano, il protagonista riprende infatti gli spiriti antidemocratici e i giudizi sferzanti dell’esteta Andrea Sperelli lanciando parole d’ordine volte a guidare la classe eletta dei patrizi e dei poeti verso il ripristino del dominio sociale e politico dei pochi e dei migliori. Alle spalle concezione politica c’è la filosofia di Nietzsche da cui lo scrittore attinge, salvo adottarla alle proprie esigenze di restaurazione dei privilegi di classe. Il protagonista intessa inoltre alcuni dialoghi immaginari con il suo illustre antenato Alessandro Cantelmo, il quale svolge la funzione di coscienza autoritaria o di super-io sebbene intervenga non per impedire con la sua censura, ma piuttosto per esortare, parlando attraverso imperativi [sii quale devi essere, riassume la componente ascetica in quanto lui viene spronato a migliorarsi]. Claudio è infatti chiamato a passare dal piano dell’essere a quello del dover essere, quindi ad incarnare il modello ideale di riferimento, lui non è ancora infatti superuomo, o un superuomo mancato, condizione sottolineata dalla trilogia mai finita.
Primo romanzo di un’altra trilogia mai portata a termine, quella dei “Romanzi del melograno”, il piano prevedeva infatti che venisse seguito da “La vittoria” e il “Trionfo della vita”. Incentrati sugli stessi personaggi, all’inizio aveva però pensato di porre questo ciclo sotto le insegne dell’alloro, allusione alle virtù eroiche del protagonista. Il melograno invece, pur richiamando nella coroncina che sovrasta il frutto, questo carattere trionfale, apporta una significativa correzione di tiro in senso religioso, di una religione dionisiaca e neopagana, e in diverse culture esso rappresenta infatti la fertilità. Il trionfo della vita, che avrebbe dovuto consacrare l’eroe superuomo in un finale di apoteosi nietzschiana, avrebbe avuto anche il compito di rovesciare in positivo lo sbocco fallimentare di “Trionfo della morte”, che si conclude con la morte del protagonista suicida con la moglie. Ciò significa quindi che il poeta aveva pensato i tre cicli come collegati, e le tre trilogie avrebbero formato altrettante cantiche di un unico poema, sul modello della Commedia di Dante: i romanzi della rosa sono l’inferno, i romanzi del giglio il purgatorio e i romanzi del melograno il paradiso. Il romanzo contiene l’enunciazione più organica e compiuta delle convinzioni estetiche di D’Annunzio, i protagonisti sono Stelio Effrena, poeta e musicista e suo alter-ego, l’attrice Foscarina, dietro alla quale si nasconde Eleonora Duse, nella vita reale il poeta si era infatti avvicinato al teatro grazie alla fidanzata, e nel libro rende Stelio il portavoce di un progetto da lui accarezzato: fondare un teatro nazionale. Questo teatro, intitolato ad Apollo dio delle arti, sarebbe dovuto diventare il centro propulsore di una rinascita della civiltà classico-pagana, delle sue virtù eroiche e dei suoi ideali di gloria e di bellezza, dalla grande riforma del teatro musicale promossa da Wagner, d’Annunzio accoglie l’idea dell’opera d’arte totale, in grado di legare insieme poesia, musica e danza. Attraverso il proprio personaggio si candida a erede latino dell’arte wagneriana e inserisce nel romanzo due episodi che hanno il valore di un simbolico passaggio di consegne: nel primo Wagner malato di cuore sviene e Stelio lo soccorre, nel secondo vengono celebrati i funerali e Stelio porta il feretro del compositore. Inoltre, solo l’arte ha il potere di sottrarsi alle ingiurie del tempo, la prima vittima del tempo che fugge è proprio Foscarina, la quale vive con angoscia il suo progressivo appassire, presentando il sentimento della decadenza.
Il teatro e la poesia di D'Annunzio
Il teatro per D’Annunzio è lo strumento più potente offerto all’artista superuomo per soggiogare le folle attraverso la forza trascinatrice della parola, in ragione della maggiore risonanza emotiva che ha la declamazione di un testo rispetto alla sua lettura silenziosa. Egli vagheggiava un teatro di massa all’aperto, come quello dell’antica Grecia, capace di calamitare migliaia di persone e di conquistarle al sogno e alla volontà del drammaturgo vate, cioè del poeta a cui era riservato il compito di celebrare i valori della stirpe, in vista dei nuovi traguardi di prestigio che attendevano l’Italia. Il primo dramma, in prosa, “La città morta” venne rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1898, ambientato nella regione greca dell’Argolide, dove un archeologo disseppellisce non solo il tesoro di Micene ma anche gli orrori di lussuria e di sangue in seno a quella stirpe scellerata. Ne resta però coinvolto: geloso della relazione sbocciata tra la sorella, verso cui prova un’inconfessata passione incestuosa, e l’amico poeta, si libera della duplice ossessione uccidendola. Nella “Figlia di Ioro”, in versi, d’Annunzio catapulta le passioni insane e catastrofiche della tragedia greca in terra d’Abruzzo, sullo sfondo di un borgo mondano della Majella. Racconta la storia di Mila di Codro, la figlia del mago di Ioro, una prostituta sulla quale pende come una maledizione, la tragica sorte di portare il lutto nelle famiglie ma si redime innamorandosi di un giovane pastore di nome Aligi, il quale per lei abbandona la moglie. Su di Mila ha però anche messo gli occhi il padre di lui e quindi la rivalità sfocia nel patricidio, Aligi dovrebbe pagare per l’orrendo delitto ma la ragazza si autoaccusa di averlo armato e quindi finisce bruciata viva su un rogo.
Tornò alla poesia con il progetto ambizioso di una rappresentazione totale della vita e della storia con la sua visione superomistica in un ciclo intitolato “Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi”, a ciascuno dei 7 libri previsti, tanti quanti sono le stelle che formano in cielo la costellazione delle Pleiadi, d’Annunzio volle assegnare per titolo il nome mitologico di una stella. Questa scelta veicola una concezione immortale della natura, tale sentimento della divinità del mondo naturale viene rafforzato dal titolo complessivo perché il riferimento al cielo, al mare e alla terra è da collegarsi al dio Pan, personificazione della totalità della natura, a cui rende omaggio nel primo componimento. Quanto al genere della laude, vi è un’esplicita ripresa del Cantico delle creature di Francesco d’Assisi, il suo progetto fu realizzato solo in parte: i primi tre libri [Maia, Elettra e Alcyone] vennero stampati da Treves nel 1903, il quarto [Merope] nel 1912 e il quinto [Canti della guerra latina] solo nel 1933.
- Maia, poema di ottomila versi liberi in strofe di 21 versi distribuite in 21 canti in cui d’Annunzio abbraccia la vita in tutte le sue forme eroiche, facendolo diventare un poema di celebrazione dell’eletta stirpe di esseri superiori al cui genio l’umanità è tributaria dei traguardi raggiunti. L’autore non si limita però a descrivere, ambisce anche a entrare in questa stirpe di superuomini dando un tono solenne e ispirato al poema. Il vasto affresco rievoca inoltre la sua crociera in Grecia, un viaggio a ritroso nel mito esaltata nel culto della bellezza;
- Elettra, poema patriottico e celebrativo in cui il poeta riporta alla luce un passato glorioso fatto di eroi e geni, raccolti idealmente in un pantheon di padri della patria, da Dante a Garibaldi [a cui dedica la canzone “La notte di Caprera” che rievoca le sue imprese]. In questo quadro, è il presente a segnare una dolorosa discontinuità che spinge il poeta ad alzare la voce;
- Alcyone, capolavoro poetico di d’Annunzio, i testi danno infatti all’opera una forma narrativa da diario lirico se non da romanzo vero e proprio. Ci sono due protagonisti, il poeta e la sua compagna Eleonora Duse, battezzata con il nome di Ermione, e avviene uno spostamento geografico, dalle colline a nord est di Firenze, in particolare a Capponcina dove i due vivevano, alle coste tirreniche e alle pinete della Versilia. Questo viaggio si compie in estate, dal “commiato lacrimoso de la primavera” fino a settembre, come comprendiamo dai riferimenti al calendario agricolo della maturazione dei frutti e delle operazioni domestiche e campestri. La vacanza si risolve nell’ennesima occasione per mettere alla prova le ambizioni dell’uomo superiore, l’intento di raggiungere “un’ideal forma di esistenza” tocca qui il suo culmine, connotandosi come desiderio di immortalità, come sogno di diventare simile a Dio. La parabola dell’aspirazione passa attraverso quattro fasi:
1. Ebrezza dionisiaca: l’estate è infatti la stagione che rappresenta il tempo della fertilità e della maturazione dei frutti, a questa esplosione di vitalità gli uomini si abbandonano agli istinti, dimostrando di appartenere in toto al mondo naturale vivendo in piena sintonia con lei.
2. Immersione panica nella natura: l’estasi che ne deriva segna un progresso rispetto all’ebrezza dionisiaca, perché presuppone la piena identificazione con la natura stessa e l’individuo, pur vivendo in perfetta armonia con le eterne leggi della natura, resta sempre consapevole della propria identità e della propria finitudine. Nell’estasi panica invece si tuffa a tal punto nel grembo della natura da smarrirsi perdendo ogni coscienza della propria individualità, subentra quindi un sentimento di angoscia rappresentato dalla favola di Glauco il pescatore trasformato in divinità marina che una volta ritornato alla condizione umana, dispera di non poter godere del proprio privilegio.
3. Fase eroica: a emblema di essa propone il mito di Icaro, incarnazione del superuomo dannunziano in quanto godrà di una gloria immortale, il suo nome verrà sempre ricordato dai posteri. Il suo gesto titanico di volare incontro al sole, è una prova di coraggio, di affermazione di una volontà indomabile benché impotente
4. Con l’arrivo di settembre si entra in un clima di disarmo e di disillusione, accentuando il sentimento del tempo e dell’inarrestabile declino della vita, in quanto subentra l’autunno, la stagione del tramonto e della decadenza
Sperimenta la strofa lunga, una nuova forma metrica in cui i versi aumentano di numero e sono legati fra loro da rime, alliterazioni, assonanze e richiami fonici.
- Forse che sì forse che no, nonostante sia un romanzo appare evidente l’influenza del passato teatrale e lirico del poeta, i miti moderni della macchina, della velocità e del volo passano da Maia, ad Icaro fino alla figura di Paolo Tarsis, automobilista spericolato e pilota aereo che sfoga le sue pulsioni superoministiche nell’agonismo sportivo. In lui la volontà di potenza trova appagamento nella vittoria e nel primato, inaugurando il tipo di umano atleta e del recordman, l’impresa più ardita che tenta e a cui affida la sua fama è la trasvolata del mar Tirreno, dalle coste del Lazio a quelle della Sardegna ai tempi proibitiva. La trama sportiva si intreccia anche con una storia d’amore che sembra ostacolare le sue ambizioni, con Isabella Inghirami, una vera femme fatale che sviluppa anche atteggiamenti emancipati e i capricci della moderna società borghese, ed intrattiene anche una relazione incestuosa con il fratello Aldo.
- La Leda senza cigno, l’ultimo romanzo di D’Annunzio, del mondo romanzesco non resta che la figura fatale della protagonista femminile paragonata alla seducente Leda del mito, per la quale Zeus si trasformò in cigno. Qui però scompare completamente l’eroe superuomo che avrebbe dovuto affermare la propria volontà a scapito della nemica, la trama narrativa è quella di certe cronache giudiziarie o di certi romanzi d’appendice. La donna, un’avventuriera cinica e disperata al tempo stesso, che gira da un albergo all’altro con un losco complice per approfittare della dabbenaggine maschile, prima irretisce un giovane ricco facendogli sottoscrivere a proprio favore un’assicurazione sulla vita, dopodiché ne procura la morte architettando una finta disgrazia.
La prosa memoriale e il Notturno
- Le faville del maglio, nel secondo decennio del Novecento, d’Annunzio inizia a sperimentare con il genere della prosa memoriale per circostanze contingenti: costretto all’esilio in Francia per sfuggire ai creditori, il poeta non esitò a mettere il proprio ingegno a servizio di qualunque committente. Il direttore del “Corriere della sera” Luigi Albertini gli offrì l’opportunità di pubblicare alcuni pezzi sulla terza pagina del quotidiano [dedicata agli articoli di tema culturale] e lui gli mandò alcune pagine autobiografiche che corrispondono a “Le faville del maglio”. Il titolo rinvia alla tipica azione del fabbro che con un grosso martello, maglio, batte sull’incudine un ferro arroventato per dargli la forma desiderata e facendone scaturire scintille, come se il poeta volesse portarci nella sua officina di scrittore. Inoltre, per dare ai propri ricordi il sapore fresco dell’immediatezza, decide di adottare la forma diaristica al tempo presente, e a creare l’illusione concorrono anche delle date fittizie apposte ai singoli brani.
- Il notturno, la prosa memoriale di d’Annunzio, a cui appartengono anche opere come “Contemplazione della morte” e “Libro segreto”, presenta caratteristiche vistosamente diverse rispetto al passato, anzitutto nella struttura episodica e frammentaria. L’autore aveva infatti compreso che nel nuovo secolo, sotto l’incalzare delle avanguardie, si era venuto ormai generando un clima sfavorevole al romanzo e all’opera di impianto architettonico. Il 16 Gennaio 1916, d’Annunzio perse l’occhio destro e rischi di rimanere cieco anche dall’altro per il distacco della retina, per sopperire alla perdita momentanea della vista si fece tagliare dalla figlia Renata i fogli di carta in tante strisce, facendo così nascere “Il notturno”. Il nucleo originario è costituito dalla rievocazione in forma diaristica dei giorni che precedettero la morte di Giuseppe Miraglia, eroico amico pilota, la parte aggiunta in seguito presenta invece un andamento più memoriale, trascorrendo liberamente dagli ultimi eventi al passato remoto dell’infanzia pescarese.
Domande da interrogazione
- Quali sono stati gli esordi letterari di Gabriele D'Annunzio?
- Chi è Andrea Sperelli nel romanzo "Il piacere" di D'Annunzio?
- Cosa rappresenta la "trilogia del delitto" di D'Annunzio?
- Qual è il significato del "Poema paradisiaco" di D'Annunzio?
- Come si caratterizza il teatro di D'Annunzio?
D'Annunzio esordì a sedici anni con "Primo vere", una raccolta di poesie barbare ispirate a Carducci. Successivamente, pubblicò "Canto novo" nel 1882, "Intermezzo di rime" nel 1883 e "Isaotta Guttadauro" nel 1886, mostrando una progressiva evoluzione stilistica e tematica.
Andrea Sperelli è il protagonista del romanzo "Il piacere", un dandy e artista dilettante che incarna l'esteta decadente. La sua vita è un'opera d'arte, ambientata nella Roma aristocratica, e il romanzo esplora le sue complesse vicende sentimentali.
La "trilogia del delitto" comprende i romanzi "Il piacere", "L'innocente" e "Trionfo della morte", uniti dal tema della voluttà e della passione carnale. Ogni storia è indipendente, ma tutte esplorano il tema del delitto e delle sue conseguenze.
Il "Poema paradisiaco" rappresenta un viaggio di purificazione e redenzione. Il titolo allude sia al giardino autunnale della decadenza sia alla condizione finale di salvezza, culminando in un ideale francescano di vita casta e operosa.
Il teatro di D'Annunzio è concepito come uno strumento potente per soggiogare le folle attraverso la parola. Egli immaginava un teatro di massa all'aperto, capace di celebrare i valori della stirpe e di guidare l'Italia verso nuovi traguardi di prestigio.