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CAPITOLO IV

LA FIGURA DEL MANNARO NELLA TRADIZIONE

LETTERARIA ROMANZA: I LAIS DI

BISCLAVRET, BICLAREL E MELION

Il corpus dei testi analizzati in seguito permette un'analisi delle modalità in cui la

figura del mannaro è stata trattata nella tradizione letteraria romanza.

Focalizzandosi sulle molteplici affinità che presentano le diverse opere è

interessante, inanzi tutto, passare al vaglio la cornice culturale in cui prende atto

la narrazione. Essa presenta, infatti, una varietà di personaggi che svolgono,

all'interno dei vari racconti, funzioni analoghe e a cui vengono assegnate

caratteristiche culturalmente predefinite: si vedano, ad esempio, le affinità che

collegano tra di loro le mogli fedifraghe dei protagonisti e le caratteristiche simili

che contraddistinguono i sovrani incontrati nello svolgersi delle narrazioni.

Inoltre, è interessante analizzare come la figura del mannaro sia stata filtrata

attraverso i valori tradizionali tipici della cultura cavalleresca e come, in questo

modo, ne siano stati giustificati i crimini compiuti. Infatti, la figura del mannaro

si inserisce, in questi testi, nel filone tradizionale e letterario del romanzo eroico

cavalleresco. Per questo, di seguito, verranno analizzati: il lai di Bisclavret,

contenuto nella raccolta di dodici lais scritta da Maria di Francia, e i due lais

anonimi di Biclarel e Melion. Inoltre, verranno prese in analisi la leggenda

73

anglosassone di Arthur e Gorlagon ed il poema francese intitolato Guillaume de

Palerme. L'analisi inizierà partendo dai lais, una particolare forma fissa della

poesia, diffusi soprattutto nelle attuali terre di Francia e Germania, ed in

particolar modo dal lai di Bisclavret.

4.1 Maria di Francia

Maria di Francia fu una poetessa francese che visse nella seconda metà del XII

secolo, il cui capolavoro fu una raccolta di dodici lais, brevi racconti in versi,

composti da ottosillabi a rima baciata, scritti in antico francese, composti tra il

1160 e il 1175. L'etimologia della parola lai è tuttora incerta, ma una delle ipotesi

più credibili è la derivazione dalla parola celtica laid, che significa canto, dalla

quale si presuppone derivi anche il termine tedesco lied; questa ipotesi

etimologica è supportata dal fatto che i lais venivano cantati o recitati con

l'accompagnamento di arpa o viola.

Questi racconti in versi presentano, ciascuno, un prologo ed un epilogo, sono

stati composti in forma poetica e sono caratterizzati da una struttura tripartita,

classica e costante, basata su: introduzione dell'argomento, svolgimento, e

conclusione (o epilogo). I luoghi citati a volte sono mitici altre volte reali.

Le fonti da cui sono stati tratti tali componimenti sono diverse: in alcuni lais si

tratta di fonti orali, in altre di fonti scritte, mentre, altre volte ancora, la storia

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viene presentata semplicemente con l'accenno dell'Autrice: Secondo il racconto

che conosco. L'autrice, in questo modo, riesce a mantenere le tematiche trattate

su una linea di confine tra la cultura popolareggiante e la coscienza d'arte,

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muovendosi, quindi, tra la credenza tradizionalista e l'invenzione favolosa.

Maria di Francia dichiara, nel prologo generale che introduce la raccolta, di aver

scritto i suoi testi derivandoli da leggende bretoni; essi, infatti, sviluppano le

tematiche dell'amore cortese, trascrivendo leggende della Materia di Britannia.

Tutti i suoi racconti narrano, comunque, vicende d'amore, spesso adultero, che

fungono poi sistematicamente da motore dell' aventure che si svolge sullo sfondo

del mondo reale, ma che vedono la presenza di elementi del meraviglioso,

mescolando tematiche e tono cortesi, con la magia delle leggende celtiche, le

immagini ed i topoi di derivazione evangelica ed, infine, elementi tipicamente

ovidiani. Ella opera, infatti una metamorfosi del testo, non solo in funzione della

società feudale anglonormanna, ma anche cogliendo gli aspetti della sua

progressiva moralizzazione cristiana e della dottrina dell'asservimento alla figura

87

del monarca. Alcuni dei lais possono essere raggruppati secondo un tema

86 S. Battaglia, Il mito del licantropo nel "Bisclavret" di Maria di Francia, in «Filologia romanza», fasc.

3, n. 11, 1956, pp. 229-253.

87 Per una lettura complessiva dell'opera di Maria di Francia, Gianfranco Folena suggerisce di soffermarsi

su una più ampia definizione del rapporto che essa istituisce con le sue fonti e di conseguenza con la

tradizione di cui si fa interprete.

Nel Medioevo romanzo (…) il concetto del tradurre si allarga da quello della pura trasmissione di

contenuti, al rifacimento e alla metamorfosi del testo, piuttosto Umarbeitung che Uebersetzung: il

Transferre si indica allora con il Tradere.

G. Folena, Volgarizzare e tradurre: idea e terminologia della traduzione dal medioevo

italiano e romanzo all'umanesimo europeo in La traduzione, saggi e studi, Lint, Trieste 1973, pp. 57-

120, e nuova edizione in volume, col titolo di Volgarizzare e tradurre, Einaudi, Torino1991, pp. 10-17.

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dominante, per esempio: Yonec, Lanval e Bisclavret sono accomunati dalla

presenza del paranormale, Milun e Fresne dalla tematica del rapporto genitori- figli,

Deus amanz e Laustic dall'amore triste. I protagonisti non sono grandi eroi o

famosi re, ma semplici cavalieri e semplici dame, spesso ingabbiati in

situazioni drammatiche, che tendono a ripresentarsi in situazioni topiche: come il

caso della donna malmaritata, del marito vecchio e geloso, dei genitori che

allontanano il figlio. Il tutto si svolge, spesso, in luoghi magici riservati agli iniziati.

Fu, proprio, Maria di Francia ad adattare il lai bretone alla forma del racconto in

versi, in cui lo stile lirico si accompagnava a quello narrativo, conferendo un

ruolo inedito allo studio psicologico. In generale, il lai è caratterizzato da una

costruzione melodica simmetrica, oltre che dall'uso di ritornelli, quindi, la

struttura presenta la ripetizione di versi tra loro identici, ed è, contemporaneamente,

ricca di varianti, ossia, ripetizioni di versi dalla struttura melodica e ritmica identica

ma di contenuto differente.

4.2 Il lai di Bisclavret.

Il lai di Bisclavret, deriva da una leggenda che circolava in Bretagna e

Normandia, ma ha radici nelle credenze più antiche della Grecia arcaica, e conserva

l'evidenza di esemplari rapporti con la tradizione celtica. Esso è composto di

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318 versi, dei quali: 14 compongono la breve introduzione, 300 la struttura del

racconto inteso in senso stretto, e 4, infine, la chiosa.

Scritto nel XII secolo, questo componimento poetico racconta di un Cavaliere di

Artù, barone di Bretagna, amato delle sue genti e dal suo re, che tre giorni a

settimana scompare misteriosamente, senza che nessuno sappia dove egli vada.

Sotto le continue insistenze della moglie, il barone di Bretagna le rivela di essere

un licantropo, e di aggirarsi, nei giorni predetti, sotto forma lupina per la foresta,

avido di prede. Egli le confessa, inoltre, che, prima della sua trasformazione in

belva, deve nascondere i suoi vestiti in un luogo sicuro, per recuperarli una volta

esaurito il momento della trasformazione bestiale, per tornare umano. La moglie,

disgustata, architetta il tradimento, e con l'ausilio un altro cavaliere che ruba i vestiti

al marito durante la trasformazione, costringendolo, così, a rimanere in forma

lupesca, condanna il marito a restare prigioniero delle sue spoglie lupine per

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sempre. Quando il re giunge, durante una battuta di caccia, nei pressi del

licantropo, egli lo riconosce e gli rende omaggio, dimostrandosi sottomesso e

servizievole e conquistandosi così la benevolenza del sovrano, che lo porta con

sé a corte. Un giorno si presenta a corte proprio il cavaliere che, cospirando con

la moglie di Bisclavret, lo aveva tradito ed imprigionato in tali spoglie animalesche,

ed il licantropo, avendolo riconosciuto, lo attacca ferocemente, con grande

88 Proprio intorno alla funzione delle vesti ruota il dramma del cavaliere-lupo (il mannaro è versipellis

nella tradizione latina): non può infatti rimanere sospeso tra i due stati del suo essere, quello quotidiano

e quello della trasformazione rituale.

G. Lachin, Maria di Francia: la tradizione, la traduzione, il tradimento, in Omaggio a Gianfranco

Folena, Editoriale Programma, Padova 1993, pp. 207-233.

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sorpresa della corte, che era abituata a vederlo docile e mansueto. Proprio in nome

della consueta socievolezza dell'animale, la corte non lo punisce, ed il re lo porta

con sé durante una nuova battuta di caccia. Essi decidono di passare la notte proprio

nel maniero che un tempo era di proprietà di Bisclavert, ora nella mani della moglie

fedifraga e dell'amante cospiratore; non appena il licantropo giunge in presenza

della moglie, la attacca ferocemente, staccandole il naso con un morso. L'animale

sarebbe stato punito per questo comportamento inspiegabile, se un cortigiano non

avesse intuito la causa dell'aggressione e non avesse suggerito al re di interrogare

la donna. A questo punto, ella confessò la natura delle proprie azioni passate e fu

costretta a restituire al lupo gli abiti umani, che gli erano stati sottratti con

l'inganno. Così Bisclavret riprese sembianze umane ed il re, una volta

riconosciutolo, gli rese tutti i suoi precedenti dominii, decidendo, invece, di

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condannare all'esilio la moglie del barone ed il suo amante. Essi se ne andarono

raminghi ed ebbero molti figli, riconoscibili perché le femmine nacquero con

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il volto segnato dall'antico tradimento: senza naso (esnasees).

È opportuno analizzare l’etimologia del termine Bisclavret, che in

anglonormanno significa lupo parlante (bleiz lavaret), poichè tale termine viene

usato da Maria di Francia in maniera concorrente e complementare rispetto a

89 Anche in Le Morte d’Arthur, capolavoro tardomedievale di Sir Thomas Malory, viene citata una

vicenda simile: quella di Sir Marrok che, come raccontato da Maria di Francia, fu tradito dalla moglie e

costretto a mantenere la forma lupina per sette anni.

90 G. Lachin, Maria di Francia: la tradizione, la traduzione, il tradimento, in Omaggio a Gianfranco

Folena, Editoriale Programma, Padova 1993, pp. 207-233.

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garwaf, l’equivalente in francese normanno.

Vi sono, infatti, nell'uso dei due termini, dei distinguo fondamentali: Bisclavret non

è violento come gli altri licantropi e l’apposizione della lettera maiuscola del nome

indica che egli è unico, e non una categoria. Differentemente da ciò che ci si

potrebbe aspettare, questo licantropo non ha l'attitudine criminale di un feroce

assassino e non ne ha nemmeno le sembianze, e ciò è confermato, nel corso della

narrazione dal fatto che viene scambiat

Dettagli
A.A. 2017-2018
200 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/09 Filologia e linguistica romanza

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martinazuccolo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filologia romanza e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Barbieri Alvaro.