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DISUGUAGLIANZA E PROGRESSIVITÀ NELL’IRPEF GIULIO DOMENICHINI

l’istruzione e l’edilizia pubblica. Nonostante queste difficoltà, il reddito, e in particolar

modo il reddito pro capite, è la grandezza maggiormente utilizzata e preferita dagli

economisti per misurare il livello di disuguaglianza economica.

Per misurare il livello di benessere degli individui, viene spesso utilizzato il consumo in

alternativa al reddito, soprattutto per studi di tipo empirico. I motivi sono sia di tipo

pratico che di tipo teorico. Nei paesi in via di sviluppo, ad esempio, è molto più facile

ottenere informazioni sui consumi che non sui redditi dei singoli individui in quanto la

qualità della vita di molte persone dipende anche da una forma di consumo che non

riflette una percezione di reddito in quanto si tratta del consumo di beni autoprodotti.

Da un punto di vista teorico, il consumo viene preferito poiché fornisce indicazioni sul

reddito in un’ottica di medio-lungo termine.

Anche utilizzare il consumo come grandezza di riferimento può però portare a dei

problemi e paradossi. Se considerassimo, ipoteticamente, un nucleo familiare composto

di persone anziane che consumano poco e destinano la maggior parte del reddito al

risparmio, si potrebbe cadere nell’errore di classificare questo nucleo familiare come

povero, il che non rispecchierebbe la realtà dei fatti.

Il patrimonio, inoltre, può essere un indicatore del livello di benessere, in quanto

possedere la proprietà di uno stock di capitale genera benessere non solo grazie al flusso

di reddito ma anche attraverso il prestigio sociale e il senso di sicurezza che esso fornisce

al proprietario. È possibile quindi considerare il patrimonio come una indipendente fonte

di utilità per il suo possessore. Non sarebbe però equo prendere in esame solo il

patrimonio e non il reddito o viceversa. Proprio per questo motivo in Italia è stato

introdotto l’Indicatore della situazione economica (Ise) che tiene conto (pur con pesi

diversi) sia del reddito sia del patrimonio di un individuo (Lanza, 2015).

Il benessere però può anche non essere inteso solamente in termini monetari. Secondo

l’approccio delle capacità di Sen (2003) non vanno considerate solamente le risorse

disponibili per un individuo ma altresì il loro potere d’acquisto e la loro utilità.

Dal punto di vista pratico, questo metodo necessita di affidabili risorse informative non

sempre agevoli da reperire. Tale procedura può essere perciò affiancata ad altre misure

della disuguaglianza o, in alternativa, si può costruire un indice sintetico

multidimensionale che tenga conto delle varie disuguaglianze e le sintetizzi in un unico

valore. Un esempio è l’Indice di sviluppo umano, che cataloga i vari paesi tenendo conto

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DISUGUAGLIANZA E PROGRESSIVITÀ NELL’IRPEF GIULIO DOMENICHINI

non solo del Pil pro capite ma anche di altri indicatori come, tra gli altri, la speranza di

vita e il tasso di alfabetizzazione.

Infine, secondo la teoria chiamata Economia della felicità, uno degli obiettivi principali

dell’uomo è proprio il raggiungimento della felicità, la quale fornisce quindi il termine

di riferimento per valutare il livello di benessere. Questo metodo però si basa su auto-

valutazioni che i singoli soggetti forniscono riguardo la propria felicità, e tali stime sono

quindi molto soggettive e difficilmente paragonabili. In questo tipo di analisi, il reddito

non è considerato l’elemento cardine per il raggiungimento del benessere ma solamente

uno dei fattori, insieme alle condizioni di salute e alle relazioni socio-familiari. È stata

però osservata una correlazione crescente tra reddito e felicità, il che significa che,

tendenzialmente, chi possiede un reddito maggiore sta meglio di chi vive in condizioni

economicamente meno floride. L’utilità marginale in questa relazione è però

decrescente, il che significa che un’unità aggiuntiva di reddito ha effetti diversi se

percepita da individui con redditi bassi o da individui con redditi alti: la felicità infatti

cresce molto più rapidamente in corrispondenza di livelli di reddito bassi. Inoltre, grazie

al paradosso di Easterlin, si nota che non vi è un aumento della felicità media individuale

a seguito del crescere del reddito complessivo di un paese, in quanto ciò che realmente

conta è il reddito relativo, ossia il reddito individuale confrontato con il reddito percepito

dalle altre persone che compongono la società. In aggiunta a questo, l’uomo possiede

un meccanismo di adattamento che induce ad apprezzare un aumento di reddito solo per

un periodo limitato di tempo, dopo di che quel miglioramento della situazione

economica non genererà felicità e l’individuo rivedrà le proprie ambizioni verso l’alto.

Per questi due motivi la felicità aumenta in modo meno che proporzionale rispetto al

reddito o può addirittura non crescere per niente (Easterlin, 1974).

Per quanto riguarda l’unità di tempo da prendere a riferimento per studiare la

distribuzione del reddito, la scelta ricade sul reddito percepito nel corso dell’intero ciclo

vitale (analisi “life-cycle”) in quanto in quest’ultimo caso la misura della disuguaglianza

non risente di sbalzi improvvisi nel livello di reddito dovuti ad esempio da una

condizione di disoccupazione o malattia. Il problema principale dell’analisi “life-cycle”

è che spesso non si hanno informazioni adeguate che rappresentino la situazione

economica dell’individuo per l’intera durata della sua vita.

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DISUGUAGLIANZA E PROGRESSIVITÀ NELL’IRPEF GIULIO DOMENICHINI

L’unità di riferimento per la valutazione del benessere può essere il singolo individuo

oppure il nucleo familiare. Pur se il singolo individuo presenta vantaggi dal punto di

vista pratico, applicativo e di raccolta delle informazioni, spesso è preferita la famiglia

principalmente per tre motivi: innanzitutto per il ruolo di sostegno che essa fornisce

nelle fasi iniziali e finali della vita di un individuo non autosufficiente; in secondo luogo

perché la famiglia permette di godere di diverse economie di scala e, ancora, se si

utilizzasse come riferimento l’individuo, si commetterebbe l’errore di classificare

nullatenenti alcune categorie di persone, come bambini e casalinghe, quando invece il

loro livello di benessere dipende dal reddito guadagnato dagli altri membri della

famiglia. Sembra quindi essere il nucleo familiare l’unità di riferimento più consona per

valutare il livello di benessere anche se ci sono due problemi, uno di carattere sostanziale

e uno di tipo metodologico: non sempre tutte le persone all’interno di una famiglia

godono dello stesso reddito e inoltre il problema risiede nella scelta dell’unità di

riferimento per analisi empiriche, all’interno delle quali si preferisce prendere a

riferimento l’individuo in modo tale da tenere conto anche delle differenze numeriche

nella composizione dei nuclei familiari.

Nel caso si utilizzi come riferimento il nucleo familiare, bisogna avvalersi di scale di

equivalenza ossia di vettori di coefficienti, che associano ad ogni categoria di famiglia

un numero di componenti equivalenti, con l’obiettivo di standardizzare le eterogeneità

demografiche. Se il reddito familiare viene diviso per il coefficiente della scala, si

ottiene il reddito equivalente, il quale non dipende dalla numerosità o da altre

caratteristiche demografiche del nucleo familiare.

Esistono varie tipologie di scale di equivalenza e scegliere la più adeguata non è affatto

semplice. Nessuna scala è manifestamente superiore alle altre, ma tutte presentano dei

pro e dei contro. La scelta di una scala di equivalenza rispetto ad un’altra dipenderà

quindi dal contesto nel quale deve essere utilizzata e a seconda dagli obiettivi che un

determinato studio empirico si pone. (Baldini & Toso, Diseguaglianza, povertà e

politiche pubbliche, 2009)

1.2. LA MISURA DELLA DISUGUAGLIANZA: I PRINCIPALI INDICI

Nell’analizzare i principali indici di diseguaglianza considereremo sempre un insieme

di N individui i cui redditi sono stati già trasformati in equivalenti e quindi comparabili

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DISUGUAGLIANZA E PROGRESSIVITÀ NELL’IRPEF GIULIO DOMENICHINI

fra loro. Inoltre, questi redditi devono essere maggiori o uguali a zero e almeno uno di

essi deve essere strettamente positivo.

All’interno di questo capitolo incontreremo indici che associano ad ogni distribuzione

di redditi un numero che ne stima il grado di concentrazione, detti indici sintetici e indici,

quali ad esempio la curva di Lorenz, che non forniscono il vantaggio di riassumere questi

dati in un unico valore. Un indice sintetico, inoltre, garantisce sempre la possibilità di

ordinare in modo completo i vettori di reddito. Il valore numerico di questi indici molto

spesso è compreso tra 0 e 1, dove in corrispondenza dello 0 tutti i redditi sono uguali fra

loro, mentre con l’indice pari a 1 ci troviamo nella situazione in cui la disuguaglianza è

massima.

Esistono tre approcci per costruire un indice di disuguaglianza: il metodo statistico che

cerca di misurare la disuguaglianza con misure oggettive anche se non inevitabilmente

monetarie, l’approccio di benessere che dipende fortemente da come sono impostate le

funzioni di benessere sociale e il metodo assiomatico che consiste nell’identificare a

priori degli assiomi che tali indici devono rispettare e nel procedere, in un secondo

momento, alla costruzione di essi. Il problema principale dell’approccio assiomatico è

dato dal fatto che più proprietà assiomatiche vengono considerate e meno sono gli indici

in grado di soddisfare queste ipotesi (Baldini & Toso, Diseguaglianza, povertà e

politiche pubbliche, 2009).

1.2.1. Indici di approccio assiomatico e statistico

Iniziamo la nostra analisi dalle proprietà che secondo la letteratura dovrebbero essere

rispettate per concentrarci poi sull’approccio statistico e su quello di benessere sociale.

Un indice di diseguaglianza dovrebbe rispettare l’anonimità, l’indipendenza dalla media

e dalla popolazione, il principio del trasferimento e quello della scomponibilità per

gruppi.

L’assioma dell’anonimità garantisce che se si scambiano i redditi di due individui, come

ad esempio quello di un ricco e di un povero, l’indice della disuguaglianza non cambia,

in quanto esso è indipendente dalle identità dei soggetti presi in considerazione. Un’altra

importante proprietà è quella dell&r

Dettagli
A.A. 2020-2021
98 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/03 Scienza delle finanze

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Giulio_Domenichini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Scienza delle finanze e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Zoli Claudio.