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La soluzione che egli individua infine è quella della repubblica democratica

federativa, in grado di possedere i vantaggi interni del regime

repubblicano e quelli esterni del regime monarchico e che potrà quindi

difendersi dagli attacchi e sopravvivere più a lungo.

1.5.2 Rousseau, il Contratto Sociale

Jean Jacques Rousseau fu un filosofo e pensatore illuminista. Anch’egli

contrattualista diviene famoso grazie al suo capolavoro il Contratto

sociale. Scrittore, musicista, filosofo e pensatore politico, Rousseau, già nel

Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini

(1755), si interrogava sulla nascita della disuguaglianza tra gli uomini,

ritenendo che essa non fosse all’origine nello stato di natura, ma che si

fosse generata successivamente, assieme alla formazione della società.

Rousseau infatti compie una differenziazione tra l’uomo allo stato di natura

e l’uomo della società civile, dominato dalla corruzione, dalla falsità,

dall'oppressione e dai bisogni superflui “L'uomo è nato libero e ovunque si

15

trova in catene” . Una delle ragioni della nascita della società civile è da

ricondursi, secondo Rousseau, allo sviluppo della proprietà privata e quindi

15 J.J. Rousseau, Il Contratto Sociale, Amsterdam, 1762, tratto da Cioffi, Luppi, O’ Brien,

Vigorelli, Zanette, Dialogos, cit. pag.276 - 20 -

alle controversie tra gli uomini. Da questo presupposto Rousseau

sottolinea che non è possibile per gli uomini tornare allo stato di natura ma

auspica allora una società civile giusta, nella quale l’uomo potrà vivere

secondo morale. Nel Contratto Sociale, il filosofo descrive la sua idea di

stato basata su un contratto: esso è uno Stato democratico, il quale

consente agli uomini, da un lato di riunirsi in una sola entità, e dall'altro di

conservare la propria libertà e uguaglianza, nel nuovo Stato: il popolo è il

Sovrano. La tradizione teorica in cui Rousseau si muove è dunque quella

del contrattualismo, ma la sua concezione del contratto è profondamente

innovativa. Mentre il contrattualismo affidava la fondazione della società

politica a un duplice atto: la decisione di costituirsi in società e la decisione

di assoggettarsi al sovrano, rinunciando in tutto, o in parte alla propria

libertà e ai diritto originari, Rousseau non ammette il concetto di

alienazione ad altri, il sovrano, della libertà di cui ogni individuo è titolare

per natura. Il patto del filosofo ginevrino è un patto di associazione, non di

sottomissione, perché ciascuno dei membri, cedendo alla comunità la

propria sovranità, si ritrova in realtà sovrano di se stesso. L’atto costitutivo

della comunità deve avvenire sul piano dell’uguaglianza assoluta. Il

cittadino di Rousseau vive una duplice funzione: è Sovrano, poiché la

Sovranità appartiene al popolo di cui fa parte, e Suddito, nel momento in

cui egli decide di sottostare alle Leggi che egli stesso ha contribuito a

formare. A questo punto la riflessione arriva a sostenere che “il potere

Sovrano non ha alcun bisogno di offrire garanzie ai sudditi, perché è

16

impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri” . Sovranità è

esercizio della volontà generale ed è, per Rousseau, infallibile, inalienabile

e indivisibile. Rinunciare alla sovranità equivale a rinunciare alla libertà e,

quindi, alla qualità stessa dell’essere umano. Tuttavia la volontà generale

non corrisponde al concetto di maggioranza. L’autore del Contratto, infatti,

intende con essa la somma delle volontà particolari volte al bene comune.

È convinzione di Rousseau che solo l’interesse comune, inteso come

principio e fine dello stato, renda possibile l’accordo degli interessi

particolari. Una delle degenerazioni possibili del concetto di volontà

16 Ivi pag. 277 - 21 -

generale è entrata nella storia della Rivoluzione Francese nella figura di

Robespierre. Il rivoluzionario francese era convinto di sapere quale fosse la

volontà generale della comunità, e quindi di conoscere cosa fosse bene

per i cittadini, vedremo nei capitoli successivi con quali conseguenze. Il

filosofo svizzero inoltre teorizza la separazione fra sovranità e governo e

delinea le sue opinioni circa le forme di governo esistenti. A tal proposito la

democrazia, in cui tutto il popolo, o gran parte di esso, esercita funzioni di

governo, è idealmente la forma migliore ma poco opportuna e praticabile.

Le preferenze di Rousseau vanno piuttosto all’aristocrazia elettiva, poiché

“è l’ordinamento migliore e più naturale che i saggi governino per suo e

17

non per loro profitto” . Serrata è invece la critica alla monarchia il cui fine

non è il bene pubblico ma l’interesse personale del re. Le tesi di Rousseau

riscossero un enorme successo in Europa ed influenzarono sia la

costituzione di quelli che di a poco sarebbero diventati gli Stati Uniti

d’America, sia i principi della rivoluzione francese.

1.6 A un passo (falso) dalla democrazia: le rivoluzioni di

fine secolo

Le teorie esposte finora dimostrano che la riflessione politica ha

caratterizzato sempre il pensiero filosofico occidentale. Dal periodo

classico fino alla modernità, i filosofi si sono interrogati sulle questioni

relative allo stato, alla società e al potere. In questo senso ora è possibile

sottolineare come, nel corso dei secoli, il termine democrazia - inteso,

questa volta, nell’accezione contemporanea, di sistema governativo in cui

il popolo è sovrano, nelle diverse configurazione messe a punto dai teorici

della filosofia - sia stato considerato sempre un sistema inopportuno e

puramente utilizzabile su un piano ideale e speculativo. Tuttavia il pensiero

illuminista e le condizioni in cui versavano gli stati occidentali sul finire del

‘700, hanno condotto a due eventi fondamentali, che segnano

definitivamente una rottura epocale con la società e la politica precedente:

le rivoluzioni americana e francese. È bene sottolineare fin da adesso che -

17 J.J. Rousseau, Contratto Sociale, trad. di R. Mondolfo, in Opere, (a cura di) P. Rossi,

Sansoni, Firenze, 1972, tratto da Cioffi, Luppi, O’ Brien, Vigorelli, Zanette, Dialogos, cit.

pag.510 - 22 -

seppur va riconosciuta la valenza storica fondamentale delle rivoluzioni, al

fine di studiare il percorso del sistema democratico fino ai giorni nostri – le

manifestazioni della volontà popolare, per la prima volta nella storia in

guerra contro la sovranità, non hanno contribuito, in nessuna delle due

circostanze, a creare i presupposti per l’istaurazione di uno stato

democratico, e rappresentativo, basato sui diritti di uguaglianza e libertà

politica. Nel secondo capitolo analizzeremo queste situazioni in maniera

approfondita, concentrando l’attenzione sui cambiamenti portati alla

politica dall’assoluta novità, conseguenza delle rivoluzioni, del suffragio.

1.6.1 La rivoluzione americana

Nella seconda metà del diciottesimo secolo le colonie americane del regno

inglese, stanche della propria sudditanza politica ed economica si

ribellarono alla madre patria e scatenarono una rivoluzione per

l’indipendenza, la cui conseguenza fu la nascita degli Stati Uniti

d’America. L’atto principale della rivoluzione, che cambierà per sempre la

storia del continente americano fu, nel 1776, la promulgazione, il 4 luglio a

Filadelfia, della Dichiarazione d’indipendenza. Tale storico documento fu

redatto da Thomas Jefferson, John Adams e Benjamin Franklin, e venne

firmato dai delegati delle Tredici colonie. Avveniva così la secessione

dall’Inghilterra e dall’Europa delle colonie del nuovo mondo. I nuovi stati

indipendenti scelsero come ordinamento costituzionale quello della

repubblica federale di tipo rappresentativo. Il 17 settembre 1787 fu

approvata, quindi, la Costituzione americana, che scelse una soluzione di

tipo bicamerale: la camera dei rappresentanti, composta da membri eletti

da ciascuno stato in numero proporzionato ai suoi abitanti, e la camera dei

deputati, composta da due senatori, eletti per ogni Stato. Queste due

camere costituivano il Congresso, che aveva il potere di imporre le tasse,

di provvedere alla difesa e al benessere della federazione di Stati. Il potere

esecutivo era conferito invece al Presidente, eletto da un certo numero di

elettori, mentre il potere giudiziario lo aveva una Corte Suprema.

Quest’ordinamento si basava sulla rappresentanza, ma soprattutto sulla

divisione dei poteri. La scelta dei nuovi Stati, riuniti sotto un ordinamento

- 23 -

del genere, rappresentò per gli studiosi europei il concretizzarsi delle

teorie politiche di Montesquieu. La Costituzione statunitense rappresenta

inoltre il primo esempio di democrazia rappresentativa nel mondo.

La nuova nazione democratica, divenuta tale grazie alla lotta per

l’indipendenza, simbolo della libertà politica ed economica, in realtà

manteneva dei tratti profondamente razzisti e antidemocratici. Canfora

sottolinea, come già dalla rivoluzione inglese è possibile trovare la formula

“diritto innato” relazionata alla libertà. Questa nozione apparentemente

innocente cela un presupposto etnico, che giustifica la schiavitù come

conseguenza di un fattore dovuto alla razza. Nella Costituzione Americana,

l’istituto della schiavitù, come ha sostenuto Robert Dahl, viene accettato, e

in un certo senso garantito, attraverso una legislazione contro gli schiavi

fuggitivi. Inoltre la nuova costituzione democratica impedisce il voto alle

donne, ai nativi e agli Afroamericani. Ma come mai uno Stato che asseriva

i diritti degli uomini e alla libertà non metteva in discussione l’istituto della

schiavitù? Canfora risponde a tale quesito riportando la tesi di Henri

Bangou, storico nero della Guadalupa, il quale sostiene che le ragioni

principali sono di tipo economico e religioso. Egli infatti a proposito del

nord America scrive che esso è “l’esempio della relatività economica,

18

storica e politica della nozione di libertà”. L’economia infatti, il vero

motore economico dell’indipendenza, non necessitava dell’abolizione della

schiavitù. Al termine della guerra e successivamente alla pubblicazione

della Costituzione, non c’era più neanche traccia dell’incoerenza, per la

quale durante il periodo bellico venivano arruolati gli schiavi

promettendogli in cambio la libertà. Per quanto riguarda il mantenimento

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A.A. 2011-2012
123 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher csgrobby di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Giardini Federica.