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P
dubbio Euripide. Il primo capitolo prende il nome di La danza
e, come ci suggerisce Margherita Rubino, «[…] ha più
incatenata
del saggio che della narrazione. Qui la Fusini conduce un riesame
scena per scena dell’Ippolito; nel ripercorrere la tragedia però im-
55
mette elementi totalmente diversi» . Fusini, infatti, si accosta
molto da vicino al dramma euripideo passando in rassegna tutte
le azioni e motivazioni dei personaggi sulla scena, cercando però
di dare ad esse un significato più profondo, quasi arcaico, radi-
cato nella notte dei tempi in cui tutto prende forma e si compie.
Sin dal primo capitolo, la Fusini ci dice come il mondo dell’Ip-
sia assolutamente dominato dagli dei e che, proprio dagli
polito
dei scaturiscono le azioni e le disgrazie umane. Le divinità rego-
lano il corso della vita terrena, spesso da tiranni più che da bene-
fattori, e rivelano tutta la loro malignità quando gli uomini non li
riveriscono come dovrebbero. Da questa inadempienza prende le
sue mosse il dramma euripideo, infatti:
[…] gli dèi sono fatti così, godono di essere onorati dagli uomini, e
per converso irati si scagliano contro chi li dimentica. Ora accade che
Ippolito, figlio di Teseo e dell’Amazzone, non la riverisce (la dea Afro-
dite) come dovrebbe. La chiama addirittura la peggiore delle dee, di-
sprezza il letto, scansa le nozze. È sempre nella selva, congiunto con la
vergine Artemide, in una relazione con lei così intima che certamente
Nadia Fusini, Feltrinelli, Milano 1990, p. 11
La Luminosa. Genealogia di Fedra,
54 Margherita Rubino, il melangolo, Genova 2008, p. 80
Fedra. Per mano femminile,
55
Tesi di laurea di Giovanna Vivinetto - A.A. 2015/2016, Università degli studi di Roma "La Sapienza"
II. 39
Analisi del mito di Fedra: fonti a confronto
non si addice a un mortale. L’intimità di Ippolito con la vergine Arte-
mide è senza dubbio eccessiva: questo eccesso è la hybris di Ippolito,
la sua tracotanza colpevole. 56
L’antefatto mitico è tutto qui, riassunto in poche righe dalla
Fusini: Ippolito va contro l’ordine arcaico della riverenza divina,
per cui tutti gli dei devono essere ugualmente onorati allo stesso
modo dagli uomini. Nel momento in cui si trasgredisce questa
legge antica, gli dei si scagliano contro i colpevoli in vendette di
portata inaudita. Così Afrodite, offesa dall’inadempienza del gio-
vane, lo punisce instillando nel cuore della matrigna un amore
tremendo per il figliastro. Fedra, infatti, «Da giorni, dentro il pa-
lazzo, soffre pene misteriose, piange, ma tace. […] La dea vuole
provocare terrore, riscuotere pietà, e dunque mette in moto
57
l’azione» . Fedra giace distesa nel suo letto da giorni, in un si-
lenzio malato, sofferente e veli pesanti le gravano sul capo, quasi
a estraniarla da un mondo che preannuncia la sua disfatta. Nel
momento in cui metterà piedi fuori dal palazzo regale, allora ini-
zierà il conto alla rovescia che la porterà alla morte. A pensarci
bene, si può vedere nella sofferenza di Fedra una dicotomia to-
cioè legata al luogo: se Fedra soffre e si tormenta in interni,
pica,
in ambienti chiusi ed isolati, Ippolito d’altro canto vive in ac-
cordo con la natura, in ambienti aperti, naturali. E probabilmente
già da questo primo indizio possiamo intravedere l’estrema in-
conciliabilità tra i due personaggi e i loro sentimenti. L’esistenza
di Fedra è tutta rivolta verso l’interiorità, quella di Ippolito si
proietta verso l’esterno. Ma per ora sappiamo che Fedra: «È
chiusa nel suo dolore, intatta come Ippolito nella sua gioia. Desi-
dera solo raggiungere l’infelice termine della morte, come Ippo-
58
lito il bosco» . Non sappiamo tuttavia perché Fedra soffre: il
dramma è ancora tutto interiore, gli equilibri per adesso si man-
tengono in una precaria stabilità.
Nadia Fusini, Feltrinelli, Milano 1990, pp. 13-
La Luminosa. Genealogia di Fedra,
56
14 Ivi, p.14
57 Ivi, p. 16
58
Tesi di laurea di Giovanna Vivinetto - A.A. 2015/2016, Università degli studi di Roma "La Sapienza"
40 Il nodo insoluto di Fedra
Avanza il Coro sulla scena e tendo l’orecchio ai lamenti di-
sperati della regina che provengono dal palazzo: «Le donne di
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non sanno di cosa si tratta, e cantano la loro angoscia»
Trezene .
coro ha un ruolo importantissimo all’interno del dramma: è
Il che scruta dall’esterno, che cerca di comprendere, di ra-
l’occhio
zionalizzare gli atteggiamenti di Fedra e che si pone degli inter-
rogativi. Il coro in Euripide insomma costituisce il “pubblico
che istituisce una sorta di continuità dell’azione tra
sulla scena”
il palco e gli spalti. L’elemento corale sottolineato da Fusini è
perché si pone in continuità diretta soprattutto con Eu-
rilevante
ripide ma anche con Seneca, anche se in quest’ultimo il coro di-
venta quasi una cornice, un’eredità del modello greco che però
alla perfezione. Finalmente la nutrice ridesta Fedra
non funziona
dal suo torpore e la conduce all’aperto: «[…] via dall’ombra del
60
palazzo, alla luce. In casa, Fedra non smaniava che per la luce» .
La nutrice cerca di farsi interprete dello stato sofferto della sua
padrona, la quale però si mostra distante, assente, non pare ascol-
Improvvisamente si ridesta: «“Sollevatemi”, canta. “Il nodo
tare.
delle mie membra si sta sciogliendo. Aiutatemi. Sorreggetemi il
61
capo, tenetemi su per le braccia”» , implora alla nutrice di scio-
glierle i capelli. La Fusini scrive di Fedra come una malata che:
«Vorrebbe assecondare quel sentimento di un nodo che si scio-
glie, sì che le giunture stesse sembra che cedano, ma allo stesso
62
tempo invoca sostegno dalle sue donne» . Ecco che appare l’im-
magine del nodo: un nodo che però rimane perché Fedra
insoluto
tace, si consuma nel silenzio. L’immagine del nodo è centrale nel
la
mito di Fedra: ne parleremo a breve. Ritorniamo al dramma:
nutrice e il coro di donne le si avvicinano, ma a loro resta preclusa
la parola; sanno solamente che Fedra soffre e vuole morire, però
non vuole dire e tace. Non la capiscono, e se ne dolgono. Fusini,
inoltre, si sofferma sull’origine cretese di Fedra, interpretata dalle
come elemento di estraneità: in questo la regina
donne ateniesi
Ibid.
59 Ibid.
60 Ivi, p. 17
61 Ibid.
62
Tesi di laurea di Giovanna Vivinetto - A.A. 2015/2016, Università degli studi di Roma "La Sapienza"
II. 41
Analisi del mito di Fedra: fonti a confronto
non può essere compresa, perché, nonostante ricopra un ruolo di
primo piano nella società greca, è pur sempre una straniera.
Se la nutrice e le donne di Trezene non la comprendono, è perché
sono greche, e la vorrebbero orientare a un atteggiamento greco verso
la morte. Ma nel mondo da cui viene, Fedra ricorda, la morte non è il
nulla. Chi muore non va nel nulla. Va in un altro mondo, dove stanno i
morti. In quel mondo infero Fedra vuole entrare a testa alta, con la sua
luce intatta. […] Per questo Fedra non soffre di morire, ma per quel
desiderio che sporcandola la farà morire male. […] Tutto in lei si
strappa. 63
Così sia Fedra sia le donne ateniesi si fanno portavoce di due
credenze diverse sulla concezione della morte: per la prima la
morte è un mezzo che conduce ad un’altra vita, sotterranea, in-
fernale (in accordo con le antiche credenze cretesi); per le se-
conde, donne evolute e moderne, la morte porta al nulla: con la
morte si spegne definitivamente la luce dell’esistenza. Ed è pro-
prio questa luce che Fedra vuole mantenere pura, così come il
suo onore, soprattutto morendo. Tale divergenza di credenze
porta in primo piano il dramma della straniera, costretta a lasciare
la propria terra e a restare incompresa in quella d’arrivo, estranea.
È un dramma intimo, spietato, per certi versi molto attuale, che
viene affrontato sia da Euripide quanto da Seneca (basti pensare
alle vicissitudini di Medea). Tuttavia l’estraneità insita nelle sue
conoscenze ataviche e retrograde (agli occhi delle donne greche),
permette a Fedra di guardare da lontano la divinità, con la diffi-
denza di chi conosce e sa i rischi che corre nello sfidare il dio, a
differenza delle donne di Atene: «Fedra, la principessa cretese
venuta in Attica come sposa di Teseo, sa che col dio non si vince.
Le hanno narrato, bambina, che col dio non si vince. Le hanno
narrato, bambina, la storia di Io, trasformata in vacca, eterna-
mente straziata dal pungolo del desiderio per volontà di Era. E
per un capriccio, o vendetta divina, non accadde alla madre Pa-
64
sifae di desiderare l’amore di un toro?» . Fedra sa, più di tutte,
per quella storia materna che le pende addosso, che il dio può
Ivi, p. 18
63 Ivi, p.19
64
Tesi di laurea di Giovanna Vivinetto - A.A. 2015/2016, Università degli studi di Roma "La Sapienza"
42 Il nodo insoluto di Fedra
essere un’atroce rovina. Tutto si colora di un tetro panteismo tra-
linea col mondo euripideo, in cui il dio è in tutto e da cui
gico, in
non si può sfuggire.
Improvvisamente Fedra desidera la montagna, i boschi, i
prati; vuole ardentemente cacciare le cerve insieme ai cavalli e
alle cagne: delira. Anela vanamente quel mondo naturale (quel
mondo in cui Ippolito vive e da cui è protetto), che le è e sarà
precluso: vuole essere Ippolito. La nutrice la interrompe e, di
scatto, la regina rinsavisce e si vergogna delle proprie parole, pa-
role cariche di morte che si riempiono di nuovo di silenzio.
«Lotta così col dio. Tenta di sconfiggere il dio col silenzio. Ma
Fedra è la in lei appare ciò che la devasta. […] Quando
luminosa;
Fedra parla, nella parola ella genera il suo segreto. […] La cosa
di Fedra nasce nella parola, e la parola, Fedra dimostra, ha po-
65
tenza omicida.» comunque una parola che esprime inco-
. Resta
municabilità, inconciliabilità tra il desiderio sessuale e la dram-
matica realtà delle cose. La sventura di Fedra viene da lontano,
dalla disgrazia divina che ha annientato le figlie del Sole, e lei è
la terza sventurata. Infatti, spiega Fusini: «L’idea di contamina-