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Eliot. Eliot è un poeta americano naturalizzato inglese; egli parla della classicità avendo come punti di

riferimento Virgilio e Dante. Parlando di Virgilio nel ’45 in qualità di presidente della Società virgiliana, egli

sostiene che è possibile definire un classico in funzione della rilettura cristiana di Virgilio, grazie soprattutto

all’eco che ha avuto l’Eneide nelle letterature medievale e, in particolare, moderne. A Eliot, inoltre, interessa

problematizzare il concetto di classico, di cui esistono vari impieghi. Secondo Eliot, Virgilio portò a maturazione

la lingua letteraria latina, e per questo è un classico. Quindi il concetto di classico equivale a “maturità”, un

concetto che varia da un’epoca all’altra. Tuttavia il poeta classico non ha consapevolezza d’esserlo: è la distanza

storica a vederlo come tale. La maturità deve riguardare, inoltre, sia l’epoca storica che la maturità della propria

mente: quest’ultima maturità è data dall’estensione degli interessi spirituali, ma anche dalla maturità del lettore

nel riconoscere un classico. Inoltre, secondo Eliot questa maturità si esplicita riconoscendo uno stile come

comune, caratterizzato, nel caso del classico Virgilio, da una maggiore complessità del periodo e da una

raffinatezza musicale.

* Il concetto di “canone” e di “classico” in Harold Bloom

* I tre caratteri del testo canonico

* L’intercanonicità

* L’angoscia dell’influenza (lo scrittore e il suo modello)

* La modalità di lettura in “solitudine”

*Esempi da “Il canone occidentale” di Bloom

Harold Bloom è nato nel 1930 e la sua produzione inizia a partire dagli anni ’70 con l’opera “Cabala

and Criticism”. Il concetto di classico viene affrontato nell’opera significativa “The anxiety of influence”, in cui

emerge l’idea che uno scrittore per diventare classico deve affrancarsi dai modelli a cui si ispira. Secondo Bloom

gli scrittori più riusciti sono quelli che vincono il rapporto con il modello. In “A map of misreading”, Bloom

sostiene che i fraintendimenti interpretativi in alcuni casi sono anche produttivi. “Il canone occidentale”, uscito

nel 1994, è la sua opera più importante ed ha provocato sin da subito varie antipatie perché si è imposto come

assoluto, autorevole. Questo libro, che ha un titolo normativo, non è altro che una provocazione, che viene

lanciata proprio nel momento in cui, in questi anni, gli studi culturali acquisiscono spazi in ambito accademico.

Bloom si sente depositario di una modalità di lettura dei testi che, se si perde, si perde la capacità di leggere testi

lontani nel tempo. La provocazione di Bloom è quella di segnalare all’interno dell’accademia statunitense

l’inadeguatezza dello studio di alcuni testi. Il canone di Bloom, tuttavia, è facilmente attaccabile: ad esempio egli

pone al centro della tradizione letteraria occidentale Shakespeare e Dante (letto, però, in lingua inglese). I testi

di questo canone, infatti, vengono recepiti e letti nel mondo anglofono, quindi si tratta di un canone occidentale

orientato nella cultura in cui chi scrive si trova. Una critica al testo è, non a caso, che nel canone elaborato da

Bloom sono presenti soprattutto autori anglofoni, e quelli occidentali sono comunque tradotti in inglese. Gli

studi culturali criticano appunto i syllabus accademici perché ritenuti parziali e classisti. In Italia il pensiero di

Bloom è più comprensibile per la tradizione italiana perché egli è conservativo. La critica tematica in Italia fu

portata da Sollors. In Italia, inoltre, la questione aperta da Bloom riguardava molto l’ambito accademico,

soprattutto in funzione della riduzione dell’estetico, operato dagli studi culturali. A Bloom non interessa l’aspetto

morale della tradizione; ciò che gli interessa è il posto e il contributo artistico che l’autore ha dato alla tradizione,

e i rapporti tra gli autori (idea “intercanonica”). Per Bloom, uno scrittore canonico è anche intercanonico, cioè

si può ritrovare come modello tra scrittori diversi: si pensi, in tal senso, a Dante che per Bloom è modello per

ben dodici autori canonici. Quindi per Bloom la canonicità si manifesta anche attraverso l’intercanonicità, per

cui il testo letterario e l’autore non vengono assolutizzati. L’importante per Bloom è non ridurre i testi letterari a

temi sociali. Inoltre Bloom individua i tre caratteri estetici che fanno un autore canonico, ossia: 1) acutezza

cognitiva; 2) energia linguistica; 3) forza d’invenzione. Tutte queste capacità sono condensate nel testo

letterario e sono capacità che lo scrittore risolve positivamente solo quando produce. La periodizzazione attuata

da Bloom è ripresa da Vico e dai principi della “Scienza Nuova” (1725). Vico ha una concezione ciclica della

storia umana, per cui le epoche si succedono in base ai corsi e ricorsi storici. In particolare, Bloom riprende Vico

per distinguere varie fasi nella tradizione occidentale; ne individua tre: 1) teocratica; 2) democratica; 3)

caotica. Nella fase democratica avviene la grande rivoluzione dei romantici (Dickens, Dickinson, Ibsen, Tolstoj,

Whitman, etc.) ed è l’età del superamento dell’antico regime. Nella fase caotica i modernisti prendono le loro

mosse dalla rivoluzione freudiana, in cui si privilegia la dimensione dell’inconscio. Il caos fa riferimento

all’individuazione degli obiettivi di questi scrittori che rivoluzionano gli schemi tradizionali (Joyce, Woolf,

Proust, Kafka, etc.). Dopo l’età caotica, per Bloom c’è il ritorno all’importanza della cultura orale e il ritorno

dell’età teocratica, in cui vi è la centralità dell’oralità, della visualità e, quindi, delle arti figurative. Bloom

prevede alla fine un’inarrestabile perdita degli studi letterari dei testi. Secondo Bloom, inoltre, la letteratura di un

certo livello ha delle forme chiuse, ossia è troppo complessa a livello cognitivo e immaginativo per essere

immediatamente accessibile. Altro concetto interessante elaborato da Bloom è la “solitudine della lettura”: per

leggere e capire un determinato testo bisogna rileggerlo più volte e per fare ciò ci vuole tempo e solitudine.

Secondo Bloom, inoltre, la critica deve cogliere l’originalità di un testo letterario, ossia la capacità di saper

resistere ad ogni spiegazione culturalista o assimilazione, risorgendo da epoca in epoca ai problemi di

interpretazione. Per Bloom non può esistere una struttura canonica senza un’influenza letteraria; l’influenza

letteraria che possiamo studiare in un testo è traducibile nel rapporto tra autore A e autore B: gli scrittori sono

interpreti dei modelli nelle loro opere. Insomma, il canone è una gara in divenire, un costante superamento di

modelli.

* Il mito letterario

* Miti classici e miti moderni

* Corpus dei testi su “Fedra”: struttura del corpus

* Fonti classiche: Euripide, Ovidio, Seneca

* Fonti moderne: Racine, D’Annunzio, Yourcenar

Il mito, secondo Trousson, distingue tra tema dell’eroe e tema di situazione. Fedra è tema di situazione

perché la vicenda è narrabile attraverso i rapporti della protagonista con Ippolito e Teseo. Non è un mito, quindi,

svincolato dalla storia e dai personaggi (a differenza del mito di Prometeo, ad esempio). Il testo di Euripide è il

primo pervenutoci, ma non il primo in assoluto: si pensa, infatti, che Sofocle avesse scritto una Fedra ed

Euripide stesso un “Ippolito velato” precedente. Questi testi sono però scomparsi in quanto non sono stati

tramandati. Prima delle fonti c’è innanzitutto il folklore, ossia una tradizione orale che non è codificata con un

nome e cognome. La fabula del mito di Fedra è antichissima: si ritrova persino nella Genesi e nel folklore

orientale. Ciani allude, inoltre, ad un retroterra antropologico del mito letterario, anche figurativo. Da un lato

abbiamo il mito nella sua veste classica, affrontato da Euripide, Ovidio e Seneca; dall’altro quello nella sua

veste moderna, trattato da Racine, D’Annunzio e Yourcenar. In Euripide c’è traccia di un doppio Ippolito,

nome con cui si chiama il dramma. Fedra è molto più giovane di Teseo ed è quindi molto più vicina ad Ippolito

che a Teseo: questo dettaglio non è molto evidente in Euripide ed in Seneca; la divergenza cronologica verrà

accentuata soprattutto in D’Annunzio. In Euripide questo fattore non è detto, lo desumiamo a posteriori. Lo

schema di base è caratterizzato da riscritture del mito, che presenta varianti e invarianti. Fedra è la figlia di

Minosse e Pasifae, e nasce da una situazione drammatica. Poseidone, infatti, per vendicarsi di una mancanza di

Minosse, il quale non gli ha sacrificato il toro venuto dal mare, con un inganno fa innamorare Pasifae di un toro;

dalla congiunzione di Pasifae con il toro nasce il Minotauro, un mostro che viene nascosto da Minosse dentro il

labirinto costruito dall’architetto Dedalo. Fedra è, quindi, la sorellastra del Minotauro e sorella di Arianna, colei

che aiuta Tereso ad uscire dal labirinto servendosi di un gomitolo. Arianna verrà successivamente abbandonata

dall’amato Teseo e si suiciderà gettandosi da una scogliera. Fedra cerca di giustificare la sua passione

richiamando la sventura toccata alla linea femminile della sua famiglia. Gli dei puniscono i prediletti di altri dei

per farsi guerra a vicenda. Gli umani sanno di essere sottoposti ad un destino estraneo, stabilito dagli dei. Lo

schema divino del mito è bilanciato da tre divinità: Poseidone, che è legato a Teseo, e due divinità femminili,

Afrodite, dea dell’eros e della passione irrefrenabile, personificazione di una legge di attrazione, legata a Fedra,

e Artemide, dea della caccia, dei boschi, dea casta legata a Ippolito. Fedra e Ippolito sono vittime delle divinità

contrapposte. Ippolito è devoto ad Artemide, verso cui fa sacrifici. Fedra si considera vittima impossessata di

Afrodite, mentre Ippolito si considera protetto di Artemide. Afrodite si vendica con Fedra perché Ippolito la

disprezza e non le tributa gli onori, tenendosi lontano dalle donne (in questo caso, molte idee di Ippolito

riflettono la misoginia di Euripide). Poseidone è legato a Teseo ed entra in scena due volte: quando Fedra ricorda

il passato della madre e quando Teseo lo invoca per maledire ed uccidere il figlio, colpevole di aver stuprato la

matrigna. Poseidone è quindi la causa diretta della morte di Ippolito. Lo schema degli dei

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
22 pagine
3 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/14 Critica letteraria e letterature comparate

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Introduzione alla letteratura comparata e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Sinopoli Franca.