Estratto del documento

 IL LOCUS OF CONTROL:

«il grado con cui le persone si aspettano che il rinforzo o il risultato delle

loro azioni sia contingente al loro stesso comportamento o dipenda dalle

caratteristiche personali piuttosto che essere in funzione del caso, della

fortuna, o del caso o sia sotto il controllo degli altri, o semplicemente

imprevedibile» (Rotter, 1990 pag 489).

Letteralmente significa “luogo della causalità” ovvero dove si

verifica ciò che ha causato quella situazione, e può essere esterno

(appartenente a fattori non controllabili dal soggetto) o interno

(caratteristiche legate alla persona, come l’intelligenza). 47

 LA STABILITÀ O COSTANZA RISPETTO ALLA CAUSA: si

possono distinguere cause stabili come l’abilità da cause instabili

come la fortuna. La dimensione della stabilità influenza i

cambiamenti nelle aspettative di un soggetto dopo che ha ottenuto un

successo o un insuccesso. Se attribuiamo un insuccesso alla nostra

scarsa abilità (causa stabile) l’aspettativa di un successo futuro

diminuisce rispetto al caso in cui il fallimento fosse stato attribuito a

cause instabili quali la fortuna;

 LA CONTROLLABILITÀ: quanto le cause possono o meno essere

controllate, o meglio quanto l’individuo si sente responsabile di

quello che è successo (Weiner, 1986 citato in www.lavoro.gov.it)

Numerosi studi hanno messo in rilievo gli stretti rapporti tra attribuzioni e

compiti cognitivi ed in particolare gli effetti delle stesse sulla fiducia in se

stessi in situazioni di apprendimento e sulla sensazione di impotenza

rispetto al compito.

Coloro che attribuiscono un insuccesso ad una causa controllabile, interna e

instabile, come per esempio il scarso impegno personale, hanno buone

probabilità di riuscire in compiti futuri perché la convinzione di poter

controllare la situazione li porterà ad impegnarsi maggiormente per ottenere

il successo desiderato. Inoltre la loro determinazione li porterà a mettere in

atto strategie che consentiranno effettivamente di raggiungere il successo.

La conseguenza di tutto ciò sarà il rafforzamento della loro attribuzione.

Attribuire invece il proprio insuccesso ad una causa stabile ed

incontrollabile porta ad avere un basso concetto di sé che induce a non

impegnarsi abbastanza poiché ritenuto inutile.

In generale, i soggetti che hanno un alto senso di autoefficacia personale

attribuiscono all'impegno individuale il motivo della loro riuscita; quelli che

hanno un basso senso di autoefficacia attribuiscono i loro fallimenti alla

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mancanza di abilità, con la conseguenza che di fronte ad un compito si

trovano in una situazione di profondo stato d’ansia e stress psicologico. In

tali casi il locus attributivo viene generalmente spostato esternamente

generando situazioni di “impotenza appresa” e previsione di fallimento;

l'aspettativa di fallimento, attribuita ad esempio a mancanza di abilità,

porterà il soggetto a non perseverare nel cercare delle soluzioni al compito

da svolgere e quindi a fallire e a deprimersi generando un circolo vizioso

(Bandura,1988).

3.4 L’autostima

William James (1890) ha definito l’autostima come il rapporto tra il “Sé

percepito” di una persona e il suo “Sé ideale”: il Sé percepito equivale al

concetto di sé, alla conoscenza di quelle abilità, caratteristiche e qualità che

sono presenti o assenti; mentre il Sé ideale è l’immagine della persona che

ci piacerebbe essere. Secondo James una persona soffrirà di bassa autostima

se il Sé percepito non riesce a raggiungere il livello del Sé ideale. L’entità

della discrepanza tra come ci vediamo e come vorremmo essere è infatti un

segno importante del grado in cui siamo soddisfatti di noi stessi.

Il concetto di autostima e di autoefficacia sono spesso confusi tra loro ma in

realtà esistono delle differenze.

L’autostima non è il giudizio sulle proprie capacità è piuttosto il giudizio sul

valore della propria persona e dipende sia da fattori interni, cioè dagli

schemi cognitivi della persona, dalla sua personale visione della realtà e di

sé stessa, sia da fattori esterni, come ad esempio i successi ottenuti e il tipo

di “messaggi” che riceviamo dalle altre persone.

Tuttavia per poter compiere certe azioni e mantenere un impegno costante

fino al raggiungimento del risultato non è sufficiente una buona autostima,

mentre è determinante provare un forte senso di autoefficacia. Il senso di

efficacia fa prevedere gli obiettivi che si potranno perseguire e la qualità

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delle prestazioni mentre l’autostima vi influisce. L’autostima ha anche

diverse fonti rispetto all’autoefficacia (Bandura, 1986).

Riprendendo la definizione di James, l’autostima è il risultato del confronto

tra i successi concretamente ottenuti e le proprie aspettative, tuttavia le

persone sviluppano un’idea di sé anche sulla base di come sono trattate o

viste dagli altri che fungono così da specchio; questa immagine riflessa con

il tempo diventa quello che pensiamo di noi stessi.

L’autostima non è dunque un concetto statico perché essa continua a

modificarsi nel corso della vita a seguito di esperienze, di successi ed

insuccessi, dei feedback ricevuti e a seconda del modo in cui tutto ciò viene

vissuto e percepito.

Soprattutto durante l’infanzia il bambino interiorizza ciò che l’ambiente in

cui vive gli comunica su se stesso e può accadere che cominci a considerare

le opinioni che gli adulti hanno su di lui come realtà oggettive. Il problema

nasce nel caso in cui queste opinioni siano negative, accompagnate da

critiche e giudizi denigratori; questo porta ad assumere giudizi negativi su se

stessi e a sentirsi spesso inadeguati (Francescato e Giusti, 1999).

Da questo punto di vista l’autoefficacia è meno influenzata da fattori esterni

e come visto in precedenza le fonti sono diverse.

3.5 Lo sviluppo dell’identità nel disabile intellettivo

I problemi che il disabile intellettivo presenta nella sua relazione con la

realtà che lo circonda non derivano soltanto dalle sue carenze cognitive ma

anche da altri fattori, alcuni attinenti ad esempio alla sfera affettivo -

emozionale. In presenza di ritardo mentale l’incidenza di disturbi psichici e

la manifestazione di “comportamenti problema” è notevolmente più alta che

nella popolazione normale (30-60%) e ciò è in parte spiegato dalle

particolari caratteristiche della personalità, che risulta più fragile e

suggestionabile, quindi più influenzabile da eventi esterni. 50

Tuttavia dato che il grado di ritardo cognitivo condiziona la natura dei

disturbi emotivi si osservano situazioni differenti: in presenza di un ritardo

lieve-medio i tratti comportamentali più frequenti sono depressione, ansia,

deficit dell’attenzione, disturbi ossessivo-compulsivi, paura d’essere

rifiutato, bassa tolleranza alle frustrazioni, tendenza al ritiro e alla

dipendenza, mentre nei casi di ritardo grave i sintomi sono chiusura

relazionale, stereotipie e condotte auto aggressive (Mazzonetto e Dinelli,

2006).

Nei disabili intellettivi si riscontra un incompleto sviluppo della psiche, un

mancato raggiungimento del pensiero logico-astratto ed una scarsa

coscienza di sé. Il costruirsi della personalità nel disabile intellettivo è

condizionato dal fatto che il disturbo cognitivo precoce altera il modo in cui

il soggetto interpreta la realtà ed il ritardo mentale stesso rappresenta un

elemento che incide negativamente sulla qualità delle relazioni che

l’ambiente stabilisce con il bambino fin dalle prime fasi del suo sviluppo

(Ibidem).

A causa del deficit cognitivo spesso questi disabili manifestano una struttura

interna caotica e una notevole dipendenza dagli altri. Il loro senso d’identità

è debole e caratterizzato dal timore di agire, il che determina uno scarso

senso di autoefficacia e un’autonomia molto limitata. La carenza di identità

lascia bisogni insoddisfatti, che creano a loro volta tensioni emotive che

sono originate e alimentate dalla presenza di continue frustrazioni (Ibidem).

A ciò si aggiunge una scarsa capacità di gestire l’ansia e una marcata

impulsività dovuta alla minore capacità di prevedere il risultato delle proprie

azioni (Ibidem).

La presenza di disabilità intellettiva determina spesso una compromissione

precoce della relazione madre-bambino. I neonati con deficit sensoriali e/o

cognitivi hanno difficoltà a percepire ed integrare i segnali della madre,

rispondendo in modo parziale o inadeguato (Mannoni, 1996). La madre non

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riesce ad attribuire significati agli atteggiamenti del bambino e a

sincronizzare le sue risposte con i bisogni del figlio.

C’è spesso una discrepanza tra bambino idealizzato e bambino reale ed i

genitori possono assumere un atteggiamento di negazione-rifiuto e/o di

iperprotezione con atteggiamenti ambivalenti che creano confusione nel

bambino. Questo comportamento contradditorio provoca delle conseguenze

negative sull’organizzazione e sulla maturazione del sé del bambino

(Mazzonetto e Dinelli, 2006).

L’acquisizione di comportamenti adattivi efficaci dipende dalle sfide

cognitive concrete che l’individuo deve affrontare durante la crescita e dalla

valutazione dei risultati che ha ottenuto sperimentando le possibili soluzioni.

Il senso di autoefficacia, che man mano si sviluppa sulla base di tali

esperienze, risulta di fondamentale importanza nel successo di tutto il

processo adattivo.

La disabilità riduce di fatto le possibilità di sperimentare se stessi

nell’ambiente generando difficoltà intellettive e relazionali di varia entità e

manifestazione. I bambini disabili spesso hanno ridotte probabilità di

sviluppare un adeguato senso di autoefficacia perchè le occasioni in cui essi

possono sperimentare successi sono molto rare, da un lato a causa della

disabilità e dall’altro perché sovente i loro genitori tendono a proteggerli

eccessivamente o a sottovalutare le loro reali capacità.

Dal momento che il senso di autoefficacia determina il nostro modo di

rapportarci alla realtà, l’atteggiamento del disabile nei confronti

dell’ambiente è caratterizzato da condotte di rinuncia e di scarsa

motivazione.

Quando una persona sperimenta a lungo o spesso delle situazioni che non è

in grado di controllare subentra una sindrome di impotenza che Seligman

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

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