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Uno, nessuno e centomila

«Ho scritto, inoltre, un romanzo: Esso comprende il significato e l’essenza di tutta l’opera mia. Sarà come il mio testamento letterario; dopo la sua pubblicazione dovrei tacere per sempre».

Struttura

Il romanzo è articolato in otto libri, a loro volta suddivisi in capitoli titolati per un totale di 63 (8+12+10+7+8+6+8+4).

Libro primo

Importante è l’incipit del romanzo, in cui vediamo il protagonista soffermarsi davanti allo specchio, un oggetto centrale che ricorrerà più volte, in quanto luogo di frantumazione del vero. Da un particolare fisico irrilevante fattogli notare dalla moglie, Vitangelo sprofonda in un abisso di riflessioni, per cui si intuisce già come gli eventi nel romanzo saranno ben pochi, e lasciano spazio al continuo flusso di coscienza del protagonista. L’indole riflessiva di Vitangelo infatti spiega come da un’osservazione irrilevante possano scaturire considerazioni e

abissi di riflessioni che gli scavo dentro come un tarlo, tanto da ridurre il suo spirito come una tana di talpa, senza che appaia nulla al di fuori. Inizialmente crede di dover cercare un solo estraneo, ossia una sola versione di sé per gli altri: per farlo, pensa di poterlo cogliere allo specchio, in un attimo. Si rende però conto che riesce a intravedere nessuno, solo un corpo, un guscio vuoto, che potrebbe essere occupato da chiunque. Il capitolo 8 riassume le sue riflessioni e le conclusioni che ne ha tratto, in particolare: "… mi proposi di scoprire chi ero io almeno per quelli che mi stavano più vicini, così detti conoscenti, e di spassarmi a scomporre dispettosamente quell'io che ero per loro". Libro secondo Vitangelo, nel rivolgersi direttamente ai lettori, è convinto che tutti impazzirebbero se si mettessero a riflettere come lui sulla propria identità e sulla percezione che ne hanno gli altri. Emerge in questicapitoli del libro secondo il relativismo pirandelliano, per cui la realtà è paragonata in più punti a del fumo, quindi a qualcosa di evanescente. Vitangelo riflette anche sulla natura dei rapporti sociali, per cui noi crediamo di intenderci con un'altra persona, quando in realtà non ci intendiamo affatto. Il capitolo sulla casa sembra riprendere il tema del nido pascoliano, che già si ritrova in altri romanzi di Pirandello, che è sempre attento alla descrizione degli interni. Già da questo libro inoltre emerge la distinzione tra città e campagna, che si ritroverà poi nell'explicit, per cui la città appare un luogo negativo, costruito, in cui si vive "per qualche cosa che non c'è e che vi mettiamo noi; per qualche cosa che dia senso e valore alla vita". Nell'ultimo capitolo Vitangelo riflette su come la moglie non ami veramente lui, ma quel Gengè che lei si era costruita, che.

Aveva gusti e sentimenti diversi da lui, e come un'ombra usufruiva del suo corpo nell'amare la moglie. Nel momento in cui Vitangelo si oppone a questa costruzione artificiosa, facendo aprire gli occhi alla moglie sulla sua vera identità, questa fugge, perché non era lui che amava, ma una certa costruzione di lui.

Libro terzo

Anche questo libro è contraddistinto dalle fitte elucubrazioni del narratore. Il secondo capitolo contiene un'anafora del cognome, Moscarda, che richiama la mosca, e quindi i concetti di decomposizione e morte, in particolare anticipa la morte interiore del personaggio. Il nome del protagonista però è ossimorico, in quanto Vitangelo richiama l'angelo della vita. In questo libro poi è introdotta la figura del padre, che in qualche modo ricorda la figura paterna di Luigi Pirandello; da subito il narratore fa capire la natura del rapporto con il genitore dicendo che lo guardava con un sorriso un po' di compatimento.

un po' di derisione. Il capitolo sul seme sembra un riferimento al Tristram Shandy, che nell'incipit parla del suo concepimento. Il padre di Vitangelo, usuraio, è descritto in modo antitetico rispetto al figlio, che vive costantemente nell'ombra del padre, anche dopo la morte di quest'ultimo. Un critico, Pasquale Guaragnella, ha anche trovato influssi kafkiani nella descrizione del padre. Il padre di Vitangelo, lavoratore, è l'emblema della società borghese: il figlio invece da tutti è considerato un inetto, vive grazie all'attivismo del padre. Gli affari sono portati avanti da due amici di famiglia, Quantorzo e Firbo. Centrale è il capitolo sette, che affronta le tematiche principali della poetica pirandelliana. Il critico Giovanni Macchia ha osservato come il discorso che fa Vitangelo sul rimanere agganciati e sospesi a un unico atto della nostra vita, proviene dal monologo del Padre nei Sei personaggi, che a sua volta si

Rifaceva a un concetto espresso da Maurice Blondel (1861 – 1949), che scriveva "Mi trovo quasi loro prigioniero".

Le parole che seguono sono pronunciate da Pirandello nell'intervista rilasciata al giornalista Alberto Magni, edita sul quotidiano romano "L'Impero", il 2 maggio 1924:

"La realtà non esiste, siamo noi che creiamo la realtà minuto per minuto, passo per passo, e la realtà di questo non è la realtà di quello, e quella di ieri non è quella di oggi. Importa la percezione che ne abbiamo nella vita di ogni giorno. E questa percezione cambia secondo ognuno di noi, quindi la medesima realtà può assumere, nello stesso momento, volto diverso in base alla persona che la vive. Non solo. La percezione cambia dentro ciascuno di noi con il passare del tempo. La percezione che ciascuno di noi ne ha oggi, non è la stessa percezione che ne avrà domani. La realtà si frantuma in un'infinità."

di tutto cercare di convincere Marco di Dio a pagare l'affitto, ma senza successo. Poi decide di fare un esperimento: si traveste da pazzo e si presenta a casa di Marco di Dio e Diamante, fingendo di essere un uomo ricco e potente. Inizialmente, i due sono spaventati e cercano di scappare, ma poi Vitangelo riesce a convincerli che è solo un gioco e che in realtà è lui il proprietario della casa. Marco di Dio e Diamante sono confusi e non capiscono cosa sta succedendo, ma alla fine accettano la situazione e si mettono a disposizione di Vitangelo. Questo esperimento dimostra come la percezione delle persone possa essere influenzata da fattori esterni e come sia facile manipolare la realtà.

Dal notaio, poi nella sua banca, dove sono conservati i documenti relativi alle sue proprietà. Già Vitangelo, che esprime a parole i suoi pensieri, comincia a essere considerato pazzo. A fine libro diventa chiaro il suo proposito: fa sfrattare i due poveri, ma solo per trasferirli in un'altra sua proprietà. Se allo sfratto veniva dichiarato peggiore del padre, un crudele usuraio (anche se tutti sapevano che non era lui a occuparsi dei suoi affari), alla notizia della donazione, è da tutti bollato come pazzo. Il narratore aggiunge: "Perché avevo voluto dimostrare, che potevo, anche per gli altri, non essere quello che mi si credeva". Nel sesto capitolo troviamo anche un riferimento a Kafka, con il riferimento a uno scarafaggio; citazione colta anche dal critico Pasquale Guaragnella.

Libro quinto

Il libro inizia con un riferimento agli affari della banca di Vitangelo: al padre si perdonavano alcuni estri, perché sapeva ben gestire la

propria attività; lo stesso trattamento non è però riservato al protagonista, considerato da subito pazzo, per la noncuranza verso la gestione del denaro, fondamentale per gli altri. Segue poi il capitolo dedicato a Dida, la moglie, che percepisce un Vitangelo diverso da quello che realmente è, a cui attribuisce gusti, idee e pensieri diversi: è il suo Gengè, che Vitangelo avverte come estraneo. "... due estranei, stretti così – orrore – estranei, non solo l'uno per l'altra, ma ciascuno a sé stesso, in quel corpo che l'altro si stringeva". Anche in questo caso quindi emerge il giudizio fortemente negativo di Pirandello sul matrimonio. Sono presenti, come al solito, capitoli contraddistinti dai soli pensieri del protagonista, che vediamo ad esempio ragionare con il cane, che sembra essere anch'esso sopraffatto dalla stanchezza e dalla noia, un po' come le pecore in.

“Cantonotturno di un pastore errante dell’Asia” di Leopardi. Rientrando a casa, Vitangelo vede Quantorzo, e intuisce subito la ragione per cui è venuto. Ragiona su come ci siano nella stanza non tre persone, bensì otto, per la percezione che ciascuno aveva di sé e degli altri due: Vitangelo, dal canto suo, dice di non contare più per sé stesso. Comincia quindi una discussione accesa con Quantorzo, che d’accordo con Firbo voleva impedire a Vitangelo altri episodi di pazzia improvvisi, perché la responsabilità sarebbe poi ricaduta su di loro. Il protagonista protesta che, nonostante tutti sappiano che non è lui a occuparsi degli affari, ha addosso l’etichetta di usuraio. “… non m’ero mai veduto fino a poco tempo addietro com’essi mi avevano sempre veduto, cioè uno che vivesse tranquillo e svagato sull’usura di quella banca, pur senza doverla riconoscere apertamente”.

questa proposta viene respinta con disprezzo. Alla fine, Vitangelo si rende conto che non può tornare indietro e che la sua unica possibilità è accettare la sua nuova identità come "Uno".

più avanti ammette che provava orrore all’idea di essere intrappolato in una nuova fo

Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
7 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Targaryen01 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Castellano Francesca Pia.