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MISSIONE E NECESSITA'
Il pensiero imperialistico non fu eccezionalmente ricco, ma fu costantemente nutrito. Esso si fondò
essenzialmente su due argomenti, o“duplice mandato”: benefici economici per gli stati (e per le
classi operaie), doveri culturali nei confronti delle popolazioni inferiori. Tali considerazioni non
accesero eccessivi dibattiti, in quanto in generale considerati evidenti. Gli imperialisti concordavano
sul fatto che la civiltà da essi diffusa era buona in quanto razionale: logica nel pensiero, tecnologica
nella produzione. Viene spontaneo però dubitare della buona fede degli imperialisti, in quanto la
sottile linea che intercorse tra buoni fini e grossolano sfruttamento fu spesso oltrepassata.
Marck Twain: l'avanguardia del processo di civilizzazione è sempre il wisky, cui seguono i
missionari, gli emigranti, e una banda di cercatori di se stessi.
4. IDEE E INTERESSI ECONOMICI
Nell'analisi dell'espansione economica del diciannovesimo secolo un argomento è d'obbligo: dietro
l'impero s'intravvede il luccichio dell'oro. Quale che fosse la giustificazione addotta per convincere
l'opinione pubblica della sua necessarietà, è chiaro che il motore di tutto furono gli interessi e i
profitti privati. E' inoltre semplicistico pensare, a conferma di ciò, che vi sia un perfetto rapporto di
causalità tra l'espansione commerciale e quella territoriale: di frequente accadde che i teorici in
patria seguissero una certa linea, mentre la politica nelle colonie ne realizzava un'altra (l'eccezione è
l'india, che divenne la fonte principale della potenza economica britannica).
Di fatto, in ogni caso, il termine imperialismo ha acquistato la precisa connotazione di sfruttamento
economico. Il suo critico più importante fu Hobson, a cavallo del secolo; lo precedettero molti altri
che invece videro nella colonizzazione un vantaggioso e onesto fattore economico.
Teorie dell'imperialismo economico
Il nucleo principale delle teorie economiche sulle colonie fu, prima degli ultimi decenni del secolo,
inglese. All'inizio dell'800 uomini come smith, ricardo e bentham scrissero trattati economici
fortemente contrari al monopolio coloniale, tanto che questa fase viene definita era
antimperialistica, e andrebbe dalla pubblicazione del saggio di smith La ricchezza delle nazioni del
1776, alla soppressione degli atti di navigazione e delle leggi protezionistiche sui cereali degli anni
40 del secolo. È interessante però che in questo periodo, accanto alle dichiarazioni ostili, assai
numerose, e spesso dalle stesse persone, furono gli argomenti in favore del mantenimento delle
colonie. Ciò non è tanto dovuto all'incoerenza dei singoli, quanto più al continuo affacciarsi di
considerazioni nuove, e al rapido mutare delle esigenze. Un critico ha affermato che fu proprio
dall'opposizione all'antico sistema mercantile di colonizzazione che nacque la dottrina che completò
l'imperialismo dello scambio. Quello che si vuole dire è che già in questa fase antimperialistica
esisteva un ideologia dell'imperialismo, tesi ancor più certa se si pensa alla GB di quel tempo,
costantemente alla ricerca di aree verso le quali esportare. Tale ideologia era fondata su una
reinterpretazione del pensiero economico classico (l'approccio liberale dell'economia basato sul
laissez-faire). Da ricordare tra i vari nomi quello di wakefield e di gibbon, tra i primi e i più
importanti tra coloro che giunsero alla conclusione che per risolvere il problema di eccedenza di
capitale, in patria, della sovrabbondanza e della stagnazione economica, era necessario aprire
nuove vie d'investimento e di emigrazione, ovviamente le colonie. Il dibattito che lo coinvolse
all'inizio del secolo fu all'origine della successiva teoria dell'imperialismo, anticipò le teorie di marx
e lenin sulla necessità di esportazione del capitale e alla lontana persino quelle di fine secolo sulla
necessità di un lebensraum (spazio vitale). Tutto questo, giova ripeterlo, successe in un inghilterra
all'epoca ritenuta imperialista.
Il vivo interesse economico quindi creatosi della GB per le colonie passò in Francia solo negli anni
70, e per altro le argomentazioni furono spesso una tarda rielaborazione di precedenti teorie inglesi.
Il più importante fra gli economisti sostenitori dell'imperialismo fu Leroy-Beaulieu, che attinse
ampiamente dagli inglesi pur dissentendo in qualche punto. I suoi scritti ebbero in ogni caso vasta
influenza nell'opinione pubblica. Sono da ricordare tra i sostenitori pure Ferry, primo ministro, che
fu però accusato di fare affermazioni a posteriori per giustificare un operato non accettato
dall'opinione pubblica (ma utile ai suoi fini personali), e Chailley-Bert. Le linee principali del
pensiero economico francese furono tracciate da questi tre, e costituirono la base del protezionismo
tipicamente francese caratteristico di tutta la sua azione coloniale.
Quanto alla germania, il problema dell'impero andava al di là dei mercati, e riguardò per lo più la
questione sociale: le condizioni precarie dei lavoratori, le difficoltà parlamentari di una nazione
neonata, la disoccupazione e il conseguente malumore sociale avrebbero potuto essere dirottati
verso un impero in costante crescita. Le basi della teoria imperialistica della germania vanno
ricercate in Fabri, ma il nucleo essenziale si solidificò con il dibattito accademico dei
kathedersozialisten, i socialisti della cattedra, che diedero vita all'idea di un vero e proprio
imperialismo sociale. Loro principale portavoce fu shmoller, la cui posizione contrastava con la
concezione liberale di tipo inglese ed era più vicina a un protezionismo di tipo francese.
Da segnalare che con l'estendersi delle tariffe protettive nel continente negli anni settanta e ottanta,
anche in GB si diffuse una corrente filoprotezionistica, sempre con un ottica favorevole all'impero,
il cui massimo sostenitore fu Chamberlain.
(Il protezionismo è una politica economica, opposta a quella libero-scambista, che tende a
proteggere le attività produttive nazionali dalla concorrenza di stati esteri mediante interventi
economici statali.
Il libero scambio è un sistema di commercio internazionale nel quale merci e servizi possono
circolare attraverso i confini nazionali senza barriere doganali, siano di tipo tariffario o non
tariffario. In un sistema di libero scambio, quindi, le autorità di governo non discriminano tra le
importazioni a vantaggio delle produzioni interne, né sovvenzionano le esportazioni di prodotto
interno sul mercato internazionale. In assenza di vincoli doganali, le quantità e i prezzi dei beni e
servizi commerciati dipendono esclusivamente dalla domanda e offerta, vale a dire dalle forze di
mercato.)
[il testo approfondisce meglio le posizioni specifiche dei vari economisti citati, ma secondo me
nell'ottica dell'esame riassumerli è superfluo, e la panoramica soprascritta sufficiente]
Teorie e argomenti contro l'imperialismo economico
Dagli anti-imperialisti l'espansione era considerata espressione di oggettiva rapacità e con nessuno o
poco beneficio per il genere umano. Certamente l'origine di questa posizione era marxista, perchè
nella visione di marx l'espansione era parte integrante del capitalismo, tanto inevitabile quanto
basata sullo sfruttamento.
Quantunque i socialisti fossero destinati a essere i principali critici dell'imperialismo, la prima
significativa opera sui suoi svantaggi economici venne da un liberale inglese, e fu Imperialism, a
study, di J.A Hobson. Le idee ivi enunciate andavano al di là dell'imperialismo stesso, poiché
derivavano da una più ampia visione sociale: egli, sotto l'influenza di spencer e ruskin, si opponeva
all'individualismo, e proponeva una teoria organicistica delle relazioni sociali, per la quale la
questione cruciale era il benessere dell'intera società, non dei suoi singoli membri. Tutti i suoi studi
partono da tale postulato, e convergono nell'opera sopracitata, che merita una breve considerazione
in quanto considerata il più importante saggio sull'imperialismo. Tutto ruota attorno alla domanda: a
chi giova l'imperialismo? H. dimostra come la risposta sia una sola: ai capitalisti. “l'imperialismo
aggressivo che costa tanto caro ai contribuenti, che è di così scarso valore per industriali e
commercianti, che è foriero di tanti incalcolabili pericoli per i cittadini, è fonte di guadagni per chi
effettua investimenti e, non riuscendo a trovare in patria il modo di impiegare lucrosamente i suoi
capitali , preme perché il governo lo aiuti a compiere all'estero investimenti lucrosi e sicuri”. In
sostanza,e riassumendo, per h. il problema stava nella mal distribuzione della ricchezza, senza la
quale le merci avrebbero senz'altro trovato nel mercato interno uno sbocco più che sufficiente,
senza alcun bisogno di colonie e imperi (teoria del sottoconsumo).
Tale posizione rimase fino alla guerra la più efficace contro l'imperialismo, anche se una critica
analitica non venne dall'inghilterra ma dalla germania, dai socialisti: essi ebbero come base
unificante la comune conoscenza di marx, ma le loro spiegazioni e integrazioni seguirono due linee
ben distinte: i revisionisti , tra i quali il più conosciuto è il tedesco Bernstein erano evoluzionisti
sociali non legati alla tesi di una rivoluzione imminente; i marxisti ortodossi rimasero invece fermi
sul dogma rivoluzionario. In generale si concordava insomma sul imperialismo in quanto funzione
economico politica del capitalismo, ma su questa relazione nacquero moltissime e sottili differenze
d'interpretazione, riassumibili ancora una volta in due correnti: da un lato, stabilire se il socialismo
dovesse condannare l'imperialismo nella sua totalità, dall'altro se l'imperialismo fosse davvero solo
una politica del capitalismo o se fosse in fondo parte di un processo storico inevitabile.
Da ricordare riguardo questo dibattito sono Lenin, col suo l'imperialismo fase suprema del
capitalismo, la cui posizione è evidente dal titolo, e Rosa Luxeburg, che con L'accumulazione del
capitale fornisce la più pesante critica all'economia del capitalismo, e dell'imperialismo, prima della
guerra.
Il divorzio tra teoria e pratica
Non c'è dunque disaccordo sul fatto che l'imperialismo ebbe le sue componenti economiche; per
tutto il secolo impero fu, per lo meno in quanto speranza, sinonimo di ricchezza. Ma sono fondati i
dubbi sul realismo di tale considerazione: nei fatti, il sistema capitalistico industriale non inondò di
capitali o di merci i suoi possedimenti oltremare, quando nei primi anni