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IV. DEE ED INTERESSI ECONOMICI
Davvero ci furono benefici economici in seguito all'imperialismo? Gli Europei si resero portatori di una superiorità culturale e si presero il compito di migliorare le "razze inferiori", un mandato esemplare che celò un grossolano sfruttamento. Il critico più importante dell'imperialismo fu Hobson, sua affermazione è che la macchina del governo fu usata per interessi privati, capitalistici, per garantirsi profitti economici al di fuori del proprio paese. L'Europa "razionalizzatrice" regolava le sue istituzioni industriali e finanziarie, e sistemava i suoi metodi economici con una raffinatezza eguagliata solo dai metodi militari. Così facendo il commercio estero e gli investimenti di capitale estero aumentarono in modo incredibile. Di solito non c'è stata proporzione diretta nel rapporto tra l'espansione del commercio e degli investimenti europei e l'espansione territoriale.
Unica eccezione fu l'Inghilterra che fece del commercio in India la fonte della sua potenza economica. Mentre la Francia ad esempio, specializzata in commercio di articoli di lusso, trovò ben pochi mercati idonei nella fascia di Africa tropicale sotto il suo controllo. Comunque sta di fatto che il termine imperialismo ha acquistato da allora il significato di sfruttamento economico.
Teorie dell'imperialismo economico. Le prime teorie economiche sulle colonie furono inglesi. Nei primi anni dell'800 l'antico sistema coloniale andava disgregandosi, questo diede luce ad una nuova valutazione degli intenti e dei profitti dell'impero. Per gli intellettuali del tempo il monopolio coloniale era visto come drenaggio finanziario inutile e che solo un flusso libero di mercato avrebbe favorito l'economia. In parole povere, si cercava una compatibilità tra la dottrina del libero mercato e il mantenimento dell'impero coloniale. Queste idee furono alla base di
Un periodo anti-imperialista, tipico della Little England che andò dalla pubblicazione dell'opera di Smith, La ricchezza delle Nazioni fino alla soppressione dei Navigation Acts e delle Corn Laws, negli anni '40 del diciannovesimo secolo. Ma recenti riesami di pensiero dimostrano che nell'era della Little England esisteva già un inizio di ideologia a supporto dell'imperialismo. In verità quasi tutte le teorie pro-imperialismo furono generate in questo periodo in cui l'Inghilterra era considerata anti-imperialista.
Agli inizi del diciannovesimo secolo l'Inghilterra va incontro ad una forte depressione economica, resa più grave dalla disoccupazione e dal problema demografico. Tutto ciò alimentò una serie di nuovi argomenti in favore della colonizzazione. In particolare il problema demografico mise tutti d'accordo nel ritenere che attraverso le colonie si sarebbe stati in grado di diminuire l'eccesso di popolazione.
manodopera.Wilmot-Horton fu il primo ad argomentare la materia, proponendo che lo Stato aiutasse le famigliepovere inviandole nei territori disponibili in Canada proprio ipotecando i fondi per le famigliepovere inglesi.Wakefield sosteneva più o meno la stessa cosa, con la differenza che le famiglie stesse avrebberodovuto pagare indirettamente il loro viaggio e che l'emigrazione sarebbe dovuta essereprevalentemente di giovani, piuttosto che da poveri, così che il paese si sarebbe liberato di unaquota di popolazione in grado di lavorare (meno disoccupazione in patria) e di generare figli(risoluzione del problema demografico). Fu definito "piano di colonizzazione sistematica" eaggiungeva che non era di terra, ciò che l'Inghilterra aveva bisogno ma bensì di usarla. Per usarla almeglio bisognava incrementare gli scambi tra importazione di viveri e esportazioni di manufatti e lecolonie erano il campo ideale per effettuare questo mercato in
Quanto libero da restrizioni. Egli sosteneva inoltre che importante era il tipo di distribuzione della popolazione sulla terra, proponeva pertanto la concentrazione forzata della popolazione, da ottenere alzando sensibilmente i prezzi della "terra libera", cosa che avrebbe imposto agli emigranti di lavorare per alcuni anni in un centro già costituito. Questo avrebbe contribuito a migliorare la mancanza di divisione di lavoro, necessaria perché la produttività fosse redditizia.
Torrens. Fu in accordo con le teorie di Wakefield, e si concentrò a trovare una soluzione per la sovrabbondanza di manodopera e di capitale. Infatti egli prevedeva che ad un certo punto ci sarebbe stato un eccedenza di capitale per il quale non sarebbe stato possibile investire all'interno del paese. Le colonie erano la soluzione, aprendo un campo di espansione di vantaggioso impiego per capitali e manodopera britannica. Si formò dunque l'idea di aprire nuovi mondi.
Come ad esempio l'Australia meridionale, affinché fossero sfruttati al meglio dagli Europei, specie per quel che riguarda le terre che non venivano sfruttate al meglio dagli indigeni.
Chamberlain. Segretario delle colonie dal 1895 al 1903. Elaborò il concetto di "imperialismo costruttivo" che sosteneva il diretto collegamento tra sviluppo coloniale, prosperità interna e benessere sociale. Le regioni dell'impero ancora non sviluppate in senso commerciale avrebbero dovuto essere considerate come proprietà da convertire in mercati. A questo scopo lo Stato avrebbe dovuto aiutare le colonie. Per far ciò bisognava sacrificare in parte il libero mercato per instaurare una grande unione economica. Ma molti politici si opposero, interessati solo a tariffe preferenziali che avrebbero consentito ai loro prodotti un facile accesso ai mercati britannici. Ma poco dopo Chamberlain insistette, caldeggiando l'"imperial preference".
(rapporto preferenziale con l'impero). Egli sosteneva la pericolosità del libero scambio, in quanto il mercato inglese sarebbe stato escluso da ogni commercio vantaggioso protetto da dazi doganali, premi e sussidi delle altre nazioni dell'Europa continentale. Così suggerì di tenere unito l'impero mediante vincoli economici. Quando divenne membro del Gabinetto propose l'"imperial preference" in politica. I dibattiti che ne seguirono furono la causa della scissione di numerosi partiti così la riforma tariffaria fallì. Francia. Il vivo interesse economico della Gran Bretagna per le colonie attraversò la manica intorno al 1870. Gli interessi della Francia però erano sensibilmente diversi soprattutto perché i francesi si trovavano un passo indietro rispetto agli inglesi, per tanto le loro teorie spesso furono semplici rielaborazioni di quelle inglesi. La Francia non aveva problemi di ordine demografico (dunque)l'emigrazione passò in secondo piano) ma bensì, aveva a cuore il protezionismo, dunque elemento essenziale dell'economia coloniale francese fu la ricerca di nuovi mercati. Paul Leroy-Beaulieu. "De la colonisation chez les peuples modernes" Il suo libro conteneva un ampio esame della prima colonizzazione europea e una breve valutazione dei vantaggi della colonizzazione per lo Stato moderno e per la sua economia. Attinse da Wakefield e Torrens pure dissentendo da essi. Non vedeva infatti, vantaggi per quel che riguarda l'emigrazione ma abbracciava volentieri le teorie sul libero mercato. In particolare un commercio interno tra le colonie non si sarebbe potuto distruggere né con barriere doganali, né con guerre. Proprio perché la Francia non aveva problemi di densità demografica non aveva possibilità di creare colonie di emigranti così cercò di puntare su colonie commerciali con amministrazione francese e manodopera indigena.proprio come accadde in Algeria. Jules Ferry. Appoggiò le tesi del collega affermando che la colonizzazione era il miglior affare in cui possa impegnarsi il capitale di un paese antico e ricco. Sostenne con vigore il protezionismo mettendo in guardia la Francia dai pericolosi rivali tedeschi e americani. Chailley-Bert. Fece una critica ai due su citati. Per lui le colonie non erano ancora arrivate all'era del commercio, ma ferme ancora a quella dell'agricoltura. Infatti le popolazioni indigene non erano consumatori francesi, perché non erano in grado di pagare i prodotti francesi, non perché non volessero. Pertanto il commercio interno era improbabile, e avrebbe dovuto attendere finché l'agricoltura avesse raggiunto un grado sufficiente di sviluppo. Per Chailley esistevano dei periodi economici (agricoltura-commercio-industria) di cui era possibile ridurre la durata, ma non turbare nell'ordine di sviluppo. Germania. La Germania aveva raggiunto.l'approccio di Schmoller era più orientato verso un intervento statale autoritario per risolvere i problemi sociali derivanti dall'industrializzazione capitalista. Questo approccio si rifletteva anche nella sua visione dell'imperialismo tedesco. L'imperialismo tedesco non era basato sull'espansione coloniale come nel caso di altre potenze europee, ma era guidato dalla necessità di risolvere i problemi demografici e di mercato interni. I tedeschi erano consapevoli che senza colonie, i loro problemi sarebbero diventati sempre più gravi. L'ideologia imperialistica dei "socialisti della cattedra" emerse da un dibattito accademico, con Schmoller come principale portavoce. Schmoller criticava la politica britannica del libero mercato, definendola socialmente pericolosa e inadatta a risolvere le divisioni di classe causate dall'industrializzazione capitalista competitiva. Secondo Schmoller, lo Stato doveva assumere un atteggiamento benevolmente autoritario nei confronti della popolazione e risolvere le differenze nazionali anziché accettarle. Sebbene il suo approccio fosse influenzato dal marxismo, era più orientato verso un intervento statale per risolvere i problemi sociali.Il pensiero di Schmoller aveva fini ben differenti; egli voleva infatti allentare la tensione interna indirizzandola verso canali esterni in modo proprio di evitare la lotta di classe. Teorie e argomenti contro l'imperialismo economico. Espansione vista come espressione di volontaria rapacità che non portò nessun beneficio. Visione naturalmente di pensiero marxista che vedeva nell'imperialismo parte integrante del capitalismo e basata sullo sfruttamento. Proprio per questo motivo i socialisti erano destinati ad essere i maggiori accusatori dell'imperialismo, ma in realtà la prima significativa opera sugli svantaggi economici della colonizzazione fu di un liberale inglese. J.A. Hobson. Scrisse "Imperialism a Study" il più importante saggio sulla ideologia imperialistica. Hobson prese a cuore soprattutto la "questione sociale". Sosteneva che se non vi fosse stata cattiva distribuzione della ricchezza, le merci avrebbero trovato nel
Mercato interno: uno sbocco soddisfacente, ma soprattutto non ci sarebbero state persone con a disposizione un surplus di capitale eccedente le loro capacità.