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CAPITOLO 4: LEGALITA’, LEGITTIMITA’ E REGOLARITA’. LO STATO E LA GUERRA NELLA SOCIETA’

INTERNAZIONALE CLASSICA.

L’origine dell’ordinamento politico-giuridico moderno è associata a un doppio trauma ugualmente produttivo di violenza:

1) Scoperta del nuovo mondo che, oltre a innescare una competizione immediata x la conquista delle terre e dei mari

divenuti “disponibili”, si riverberò sulla stessa Europa aprendo un nuovo ciclo di lotte x l’egemonia, imponendo il

problema del tutto nuovo e sino allora inimmaginabile di un ordinamento spaziale di diritto internazionale valido x

l’intero globo terrestre e sfuggendo, nello stesso tempo, alla capacità mediatrice del papato.

2) La scoperta di un nuovo modo del Cristianesimo, originata e propagata dalla Riforma, spezzò definitivamente

l’impalcatura politica e spirituale dell’universalismo medievale e diffuse, sulle sue rovine, un’epidemia di conflitti

confessionali e guerre civili di religione, guerre senza limiti non solo perché estreme ma anche perché inclini a minare

o dissolvere le basi di qualunque ordine internazionale .

L’ordinamento politico-giuridico moderno (e il pensiero che lo accompagna: Hobbes, Bodin, Grozio) fu la risposta a

questa ondata di decomposizione. L’edificio classico dello jus publicum europaeum intrattenne fin dal principio una

relazione silenziosa ma necessaria col proprio opposto: la barbarie della guerra civile.

Sul territorio europeo si affermò una pluralità di stati, territorialmente compatti e dotati di un’amministrazione centrale e di

confini stabili. La politica internazionale si riorganizzò essenzialmente come politica interstatale, x la stessa ragione x la

quale la guerra riprese forma solo come guerra tra stati. L’equiparazione tra politica internazionale e politica interstatale è

il contrassegno riconosciuto del sistema internazionale moderno, oltre che suo principale tratto di eccezionalità rispetto a

tutti quei contesti nei quali i rapporti di fedeltà politica non erano esclusivi. Il principio di sovranità si impose come il

principio normativo fondamentale o costituzionale della politica internazionale moderna, quello che stabilì chi fossero i

soggetti politici e giuridici della coesistenza e affermò l’idea della società di stati come forma di organizzazione politica

dell’umanità, al posto di idee alternative quali quella di un impero universale o di una comunità cosmopolitica di singoli

esseri umani o di uno stato di natura e di guerra hobbesiano.

Attorno all’aspetto interstatale della convivenza internazionale continuò sempre a fiorire una società transnazionale fatta

di scambi commerciali, migrazioni di individui e gruppi, credenze comuni, istituzioni indifferenti ai confini. La natura

essenzialmente interstatale della politica internazionale moderna mantenne sempre un contenuto meno totalizzante e allo

stesso tempo + incisivo. La centralità dello stato significò la superiorità materiale degli stati sugli altri soggetti. Se gli stati

poterono essere considerati come i protagonisti x eccellenza della politica internazionale è perché concentrarono su di sé

la maggior parte delle risorse di potenza e perché grazie a ciò si dimostrarono gli attori + efficaci del sistema

internazionale, a maggior ragione nella dimensione politicamente cruciale dell’impiego della violenza. Gli stati si imposero

come gli unici titolari della piena legittimità internazionale, in quanto soggetti esclusivi dello jus publicum europaeum e, in

assenza di un legislatore internazionale dotato del potere di porre norme valide erga omnes, anche perché unici soggetti

in grado di creare norme comuni, amministrarle, interpretarle, legittimarle, adattarle al mutamento o imporle con la

minaccia e l’uso della forza. fu nelle questioni relative alla pace e alla guerra che l’aspetto interstatale delle relazioni

internazionali si ritagliò uno spazio rigorosamente riservato e chiuso (circoscritto) nei confronti dell’esterno. Se, in

qualunque, ordinamento internazionale, il primo passo verso la limitazione della guerra è la definizione di chi ha diritto e a

quali condizioni di combatterla, il diritto internazionale moderno risolse tale problema riconoscendo tale diritto a tutti gli

stati e negandolo a tutti gli altri soggetti: promuovendo il massimo della non discriminazione in un senso, ma legandolo al

massimo della discriminazione nell’altro. La guerra dello jus publicum europaeum non ebbe mai niente a che spartire con

la guerra di tutti contro tutti di Hobbes, anzi non può essere compresa se non come risposta specifica ad essa e al suo

modello storico-concreto, le guerre civili di religione. Rispetto alla totale indeterminatezza di queste ultime, la guerra

interstatale si presentò come un fenomeno circoscritto, aperto non a chiunque avesse avuto la forza di combattere, come

sarebbe in un’anarchia senza limiti, ma solo a chi avesse assunto la forma giuridica dello stato e avesse rispettato le

procedure dello jus publicum europaeum. Scrive Schmitt: in questo modo il diritto internazionale europeo riuscì

nell’impresa di limitare la guerra con l’ausilio del concetto di stato. Un ordinamento internazionale che si fonda sulla

liquidazione della guerra civile e che limita la guerra trasformandola in un duello europeo tra stati, si legittima di fatto

come ambito di relativa razionalità. L’uguaglianza dei sovrani fa sì che questi siano tra loro partner bellici equiparati e

tiene lontani i metodi della guerra d’annientamento.

Se ogni tentativo storico di limitazione della guerra deve essere almeno in grado di stabilire a quali condizioni sia legittimo

ricorrere alle armi, quali mezzi sia lecito impiegare e quali requisiti debba avere la guerra perché sia guerra, per

rispondere a tali quesiti l’ordinamento politico-giuridico moderno poté disporre di un insieme straordinariamente efficace

di strumenti, nel quale confluì e si perfezionò l’intera esperienza occidentale della guerra: la preferenza x la battaglia

aperta e se possibile decisiva, l’idea dell’ordine e della disciplina, la disponibilità alla spersonalizzazione del comando e

alla mediazione giuridica della realtà. Le chiare distinzioni tra interno ed esterno, guerra e pace, neutrale e non neutrale,

militare e civile consentì di sottoporre la violenza a un triplice rigoroso processo di clausura.

a) Fu necessario circoscrivere la guerra rispetto a ogni altro tipo di violenza. Guerra in quanto violenza “pubblica”, rivolta

contro soggetti altrettanto “pubblici” e chiaramente distinta dalla condizione opposta della pace. Rispetto alla varietà

quasi infinita delle solennità. La guerra privata non divenne + solo ingiusta, ma non fu + nemmeno guerra (ribellione,

pirateria, ma non guerra in un contesto in cui l’unica guerra possibile sarebbe stata la guerra legale e l’unica guerra

legale la guerra tra stati). Bull: lo sviluppo del concetto moderno della guerra come violenza organizzata tra stati

sovrani è stato il risultato di un processo di limitazione e confinamento della violenza. Nel mondo moderno si è

abituati a contrapporre guerra tra stati a pace tra stati, ma la vera alternativa storica alla guerra tra stati è una

violenza + diffusa.

b) Fu necessario circoscrivere la violenza all’interno della guerra. Idea della clausura della battaglia, intesa

contemporaneamente come luogo della decisione e recinto della violenza, ma di una violenza appunto

“parsimoniosa”, proprio perché interamente rivolta alla decisione. Da questa idea riprese alimento il mito della

battaglia decisiva come battaglia in grado di risolvere in un colpo solo l’intera guerra, rinserrandola in una sola

occasione, come la lettura clausewitziana delle campagne napoleoniche.

Lo strumento in cui la clausura della battaglia trovò la propria sistemazione giuridica fu l’istituto dell’occupatio bellica,

cioè la presa di possesso provvisoria di un territorio da parte dell’esercito di un altro stato. Il divieto rivolto

all’occupante di apportare mutamenti costituzionali nel territorio occupato non istituì solo una comunità giuridica

provvisoria tra il nemico e gli abitanti del territorio occupato, ma rinserrò definitivamente la guerra all’interno del solo

aspetto interstatale della convivenza internazionale. Nell’istituto dell’occupatio bellica la concezione della guerra

terrestre continentale come pure guerra di combattenti, cioè come uno scontro tra eserciti statali contrapposti, fuse

dentro di sé tutte le distinzioni costituenti dello jus publicum europaeum: quella tra diritto pubblico e diritto privato, tra

l’ambito militare e gli altri ambiti, tra i rispettivi protagonisti di tali ambiti (combattenti e non combattenti).

c) Perché la clausura della guerra e, al suo interno, della battaglia potessero essere assicurate fino in fondo, dalla 2°

metà del ‘600 cominciò a essere perseguita la clausura stessa dei combattenti rispetto ai non combattenti (una

clausura istituzionale, culturale, iconografica e fisica). L’isolamento dell’esercito rispose a esigenze logistiche,

amministrative, disciplinari, il suo effetto conclusivo fu quello di isolare progressivamente le istituzioni militari dal

complesso della società, sottoponendole a regole, rituali, modelli comportamentali propri. L’uniforme e la reclusione in

spazi chiusi divenne un segno di distinzione in più.

DISCIPLINA  la diffusione dei procedimenti disciplinari non fu prerogativa esclusiva delle istituzioni militari, ma divenne

una formula generale di controllo estesa anche a collegi, scuole, ospedali, caserme. Insieme a una ripartizione dello

spazio fondata sulla specificazione di luoghi e del tempo. Questa imponente impresa di disciplinamento x quanto

generalizzata trovò proprio nel militare il suo modello, dove la disciplina prese la sua forma + rigorosa, dando corpo

all’idea di esercito “regolare” = esercito ispirato a una nozione di regolarità, tramandata attraverso un esercizio

permanente e garantita da un sistema di sanzioni e vigilanze gerarchiche. La disciplina impose anche un modello di

sobrietà della violenza.

Le guerre in Europa divennero guerre tra simili, cioè tra eserciti regolari strutturati secondo linee gerarchiche e

ordinamenti paralleli (incentrati sulla distinzione orizzontale tra le 3 armi principali: fanteria, artiglieria, cavalleria; su quella

verticale tra ufficiali e truppa e sull’unità di reggimento) e accomunati da uno stesso codice comportamentale bellico

rispettoso dei cerimoniali aristocratici. Il fondamento di questa simmetria si trovava sul terreno giuridico, attraverso un

reciproco riconoscimento di diritto internazionale che conteneva già un’affermazione di

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A.A. 2014-2015
27 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/04 Scienza politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher BarbaraM92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Politica internazionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Barbara Pisciotta.